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Dossier

Un pesce su 5 viene dalla pesca illegale che impoverisce i mari

Un pesce su 5 viene dalla pesca illegale che impoverisce i mari

La pesca illegale è un business che rappresenta il terzo crimine più redditizio, per lo sfruttamento delle risorse naturali, dopo il taglio di legname e l'estrazione mineraria. Il report “Fishy networks: uncovering the companies and individuals behind illegal fishing globally” della Financial Transparency Coalition (Ftc) , una rete globale che riunisce società civile e governi di tutto il mondo per arginare i flussi finanziari illeciti, rivela che questa pratica riguarda almeno un quinto della pesca nel mondo per un valore di oltre 23,5 miliardi di dollari all'anno. 

L’Africa risulta il continente più colpito, con una perdita di circa 11,2 miliardi di dollari l’anno: lungo le sue coste si concentra il 48,9% delle navi industriali e semi-industriali coinvolte nella pratica illegale. L’Argentina perde tra 2 e 3,6 miliardi di dollari in termini di pesca illegale. L’Indonesia 4 miliardi di dollari, equivalenti alle esportazioni annuali di gomma del Paese.

“La pesca illegale è un'industria enorme che minaccia direttamente i mezzi di sussistenza di milioni di persone in tutto il mondo, in particolare quelle che vivono nelle comunità costiere povere nei Paesi in via di sviluppo già colpiti dalla pandemia di Covid-19, dalla crisi del costo della vita e dall'impatto del cambiamento climatico”, ha affermato Matti Kohonen, uno degli autori del rapporto e direttore esecutivo della Ftc.

In tutto il mondo, calcola la Fao, 820 milioni di persone dipendono dalla pesca per il proprio sostentamento. In alcune regioni come l'Africa occidentale, fino a un quarto della forza lavoro è coinvolto nella pesca. Il consumo di pesce rappresenta anche un sesto dell’assunzione di proteine animali da parte della popolazione mondiale e più della metà in Paesi come Bangladesh, Cambogia, Gambia, Ghana, Indonesia, Sierra Leone e Sri Lanka.

Stando a quanto emerso dallo studio, le prime dieci aziende coinvolte sono responsabili di un quarto di tutti i casi segnalati: otto provengono dalla Cina, una dalla Colombia e un’altra dalla Spagna. Il rapporto avverte che quasi nessun Paese richiede informazioni sugli armatori quando registra le navi o richiede licenze di pesca, il che significa che i responsabili di queste attività non vengono individuati e puniti, con il risultato che spesso vengono applicate solamente multe ai capitani delle navi e all'equipaggio. 

Per Ftc, al contrario, gli armatori dei pescherecci dovrebbero essere tenuti a segnalare la proprietà effettiva finale al momento della registrazione di una nave o della richiesta di una licenza da parte delle organizzazioni regionali di gestione della pesca, degli Stati di bandiera e degli stati costieri. La raccolta dei dati sulla proprietà, consentirebbe l'applicazione di leggi per combattere il riciclaggio di denaro, i reati fiscali e finanziari, creando così modalità per affrontare i reati e gli abusi legati alla pesca.

I pescherecci battenti bandiera dell’Asia – in particolare la Cina, che ha di gran lunga la più grande flotta d’altura del mondo – rappresentano il 54,7% della pesca illegale segnalata da parte di navi industriali e semindustriali, seguiti dall’America Latina (16,1%), dall’Africa (13,5 %) e dall’Europa (12,8%). L’8,76% delle navi illegali identificate utilizza bandiere di comodo come Panama e Isole Cayman, che hanno controlli permissivi e tasse basse o nulle.

La relazione chiede a Ue, Stati uniti e Giappone, che insieme rappresentano il 55% del mercato ittico, a intensificare il loro impegno per contrastare la pesca illegale eliminando i fattori trainanti che consentono in primo luogo il segreto finanziario, come l’utilizzo di società di comodo.

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