sabato 31 luglio 2021
La prevenzione significa cura e presidio del territorio, ma anche coinvolgimento delle comunità. Il clima che cambia richiede capacità di adattamento e di mitigazione
Imparando a salvare i boschi salviamo noi stessi

Ansa / Vigili del fuoco

COMMENTA E CONDIVIDI

La Sardegna è una terra che brucia da sempre, lo sappiamo. E non solo: in queste ore l’emergenza-roghi riguarda anche la Sicilia, come altre volte in passato. Tuttavia i megafire, i grandi incendi che superano la capacità tecnica di estinzione, erano finora stati rari e limitati: Curraggia-1983 e Coghinas-1994, per fare alcuni esempi, arrivarono a 7.500 ettari. In questi giorni, nello stesso lasso tempo, il fuoco ha percorso 13mila ettari. Le condizioni scatenanti sono mutate: dal punto di vista meteo, con ondate di calore e siccità più intense e prolungate, spinte dalla crisi climatica dovuta ai cambiamenti causati dall’uomo, e da quello della vegetazione, cioè il combustibile. Pochi sanno che la Sardegna è la regione più forestale d’Italia e, come nel resto del Paese, i boschi sono in fase di rapida espansione: i campi e i pascoli, non più coltivati e sempre meno frequentati dal bestiame, sono terreno ideale per l’insediamento di alberi che nell’arco di pochi anni edificano nuove formazioni forestali così continue da offrire alla propagazione del fuoco vie preferenziali.

Ciò che sta avvenendo nel Montiferru è una sintesi di tali processi ed è crogiuolo della diversità biologica e strutturale dei boschi della Sardegna centro-occidentale, e a stretto contatto con questi paesaggi incontriamo paesi di grandissimo fascino e siti archeologici di inestimabile valore. Proprio l’insieme di componenti meteo e territoriali è la traccia da seguire per chiedersi come prevenire eventi simili. Quando si parla di prevenzione degli incendi boschivi, in genere si pensa a strategie di sorveglianza: pattuglie, punti di avvistamento, magari il supporto dei droni per cogliere sul fatto l’incendiario di turno o individuare il pericolo al primo filo di fumo. Ma concentrarsi solo su questi aspetti è fuorviante e pericoloso. Fuorviante, perché non tutti gli incendi hanno causa dolosa: la mano dell’uomo è quasi sempre coinvolta nell’innesco delle fiamme, ma spesso in modo colposo o indiretto (marmitte roventi, errori nell’uso del fuoco, elettrodotti malfunzionanti...). Pericoloso, perché non è sufficiente avvistare un focolaio per limitarne la minaccia: se l’incendio assume subito un comportamento estremo, gli operatori non possono lavorare in sicurezza e le fiamme dovranno essere lasciate libere di muoversi.

Prevenzione vuol dire tante cose che devono essere integrate fra loro. Innanzitutto cura del territorio e colturale: selvicoltura preventiva, con diminuzione e interruzione del combustibile presente in bosco, accessi sicuri per i mezzi di controllo e intervento, punti di sicurezza per le popolazioni, eliminazione delle situazioni di degrado, di cui tutti devono farsi carico. Prevenzione è conoscenza dello stato e delle dinamiche meteo, geografiche e di uso del suolo, dislocazione efficiente dell’avvistamento e del supporto agli interventi. Prevenzione vuol dire poter disporre di carte di vulnerabilità e dei combustibili sempre aggiornate e migliorare la modellistica previsionale a terra come in atmosfera. Prevenzione significa costruire serie storiche con dati certi e robusti, e intanto mantenere il presidio sul territorio, eliminando l’asfissiante burocrazia, che scoraggia chi vive nel (e del) mondo rurale.

Nel nostro Paese non si parla mai di boschi (che coprono ormai il 40% del territorio) e non si parla di incendi, se non quando i boschi sono diventati cenere. Dobbiamo invece raccontare di boschi e disturbi in modo efficace (si pensi al caso della tempesta Vaia del 2018, nel Nord-Est) e, dunque, di incendi anche quando questi non sono accesi. Prevenzione infatti vuol dire educazione per ogni fascia d’età, formazione, coinvolgimento responsabile delle comunità, per evitare che la 'distrazione' diventi 'disastrosa', per sbarrare il passo all’incuria che sempre più domina i nostri paesaggi e alla criminalità più o meno organizzata, al teppismo, alla vendetta e alla devianza sociale che si maschera da psicopatologia incendiaria. Servono investimenti veri, ricerca, semplificazione di procedure e competenze, a vantaggio delle generazioni che verranno.

Continuando a non dare importanza alla quasi metà del nostro territorio perdiamo occasioni di sviluppo e rischiamo di mandare letteralmente in fumo le prospettive di contenimento delle emissioni e le iniziative di riconversione energetica. Per essere efficace, la prevenzione deve agire infine sulle cause remote, impedendo a qualsiasi scintilla di generare un fuoco pericolosamente intenso, o alle fiamme di propagarsi su ampie superfici specie nelle zone di interfaccia urbano-rurale. Su scala planetaria, ogni evento estremo porta con sé la 'firma' del riscaldamento. Serve mitigare, intensificando la lotta senza quartiere alle nostre emissioni, arrivare al più presto alla neutralità carbonica e riassorbire, anche grazie alle formazioni forestali, parte della CO2 in eccesso che è la causa del clima impazzito. Ma non basta. Dobbiamo anche mettere in atto strategie di adattamento, perché gli effetti dei cambiamenti climatici continueranno a intensificarsi, indipendentemente dalle nostre azioni.

Gli stessi incendi contribuiscono in modo brutale alla crisi: alterano il microclima e rendono invivibili i luoghi, innescando pericolosi processi di regressione ecologica e quindi economica e sociale, considerato che tutto è legato e interconnesso. Fra breve nel Montiferru la temperatura delle aree percorse dal fuoco sarà ancora superiore di diversi gradi rispetto alle zone circostanti. Gli alberi senza chioma non possono mitigare radiazione solare e temperature. Interi tratti di vegetazione non possono più estrarre acqua dal suolo né evapotraspirare (i boschi il 'mega condizionatore climatico' naturale delle terre emerse). Il bosco che c’era la settimana scorsa non tornerà, ma la capacità funzionale potrà essere recuperata con nuovi boschi: occorrerà però tempo e assenza di nuovi disturbi.

Ogni intervento di gestione responsabile e sostenibile richiede personale formato (di cui troppi territori scarseggiano) e una nuova pianificazione territoriale. Significa conoscere bene il bosco e le sue relazioni con il contesto ecologico e sociale in cui è inserito, individuare i benefici offerti da ciascuna sua parte alla società (legname, protezione dal dissesto, assorbimento di carbonio, habitat...), prevedere la sua dinamica e le sue vulnerabilità, programmando azioni a lungo termine. Un buon inizio sarà l’approvazione della Strategia Forestale Nazionale, nel quadro di quella europea resa pubblica il 16 luglio 2021, investendo finalmente risorse pubbliche nel monitoraggio e nella gestione, per mantenere una buona relazione con le foreste, aiutarle ad aiutarci nel momento in cui ne abbiamo più bisogno, e avere uno sguardo di responsabilità globale che, non abbandonando i nostri boschi a sé stessi, ci consenta anche di risparmiare e proteggere quelli nei luoghi più cruciali, fragili e svantaggiati del pianeta.

Università degli Studi del Molise Sisef (Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale)

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: