mercoledì 18 maggio 2022
Il presidente della Cei analizza la figura del venerabile: «Un esempio e un monito per chi ha incarichi di responsabilità». Biografia in tre volumi e convegno a Perugia
Giorgio La Pira a Firenze

Giorgio La Pira a Firenze - archivio

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Anticipiamo ampi stralci della prefazione del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, alla pubblicazione Giorgio La Pira: i capitoli di una vita (Firenze University Press; tre tomi; 2.050 pagine) a cura di Giovanni Spinoso e Claudio Turrini per conto della Fondazione Giorgio La Pira. Al venerabile è dedicato il convegno Giorgio La Pira: un ponte di speranza che si tiene domani a Perugia nella Sala dei Notari dalle 15. Fra i relatori Andrea Riccardi, Bruna Bagnato, Adriano Roccucci, Gian Maria Piccinelli, Michele Marchi, Tatiana Zanova, Marco Giovannoni, Bruna Bocchini Camaiani, Massimo De Giuseppe, Agostino Giovagnoli. L’incontro, moderato da Marco Tarquinio e Vania Del Luca, sarà concluso dal cardinale Bassetti. L’evento è organizzato dall’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, dall’Università di Perugia e dall’Università per stranieri di Perugia.


A distanza di più di 40 anni dalla sua morte, ci chiediamo chi è stato Giorgio La Pira. Egli può essere definito in tanti modi diversi: un politico, un professore universitario di diritto romano, un terziario domenicano oppure un terziario francescano. In moltissimi, ancora oggi, a Firenze lo ricordano come il “Sindaco santo”. Ognuna di queste definizioni è senza dubbio vera. A mio avviso, però, La Pira è stato un cristiano autentico, un profeta dei tempi moderni e, in definitiva, un mistico prestato alla politica. Un mistico che non aveva alcuna attrazione per il potere, ma una dedizione totale per gli ultimi e un amore sconfinato per la Chiesa. Ho un ricordo personale del professore fiorentino in cui tutti questi elementi emergono nitidamente. La prima volta che ho avuto l’occasione di vederlo è stato nell’inverno del 1956. Io ero entrato nel Seminario minore ad ottobre e lui venne a trovarci a dicembre. Conservo ancora una foto di questa visita in cui si vede La Pira vicino ad una finestra mentre parla con il cardinale Elia Dalla Costa, mons. Enrico Bartoletti – padre spirituale del seminario – e don Silvano Piovanelli. Il cardinale Dalla Costa era molto anziano, con gli occhi incavati e il suo sguardo austero ma paterno: in quella foto, ricca di umanità, La Pira lo guarda rivolto verso l’alto, con quel suo tenero sorriso da contemplativo. Ricordo sempre con grande commozione il modo con cui Dalla Costa parlava di La Pira: «quell’uomo è l’incarnazione del Vangelo». Da sacerdote e, soprattutto, da rettore del Seminario ho avuto modo di parlare molte volte con La Pira. Nelle sue conferenze ai seminaristi era un fiume in piena: una fonte inesauribile di sapienza, di citazioni erudite e di continui aneddoti della sua vita politica. Quando lo accompagnavo per strada a Firenze verso la sua dimora sembrava di assistere a una continua processione di fiorentini che lo fermavano ad ogni angolo della città e vedevano in lui, non solo il sindaco, ma qualcosa di molto più profondo: scorgevano nella sua persona il testimone autentico di una cristianità che si faceva prossima ai cittadini. Non quindi un funzionario pubblico, ma un servitore sincero del popolo. Una volta una donna anziana, segnata nel corpo e nell’abbigliamento dalle piaghe della miseria, che partecipava alle Messe di San Procolo, disse: «Il professore da molti non è capito, lo capiamo soltanto noi poveri ». La Pira per i poveri non fu, infatti, solo un benefattore ma un autentico maestro. Su questioni come la casa ai senza casa, il lavoro ai senza lavoro, il pane ai senza pane, non esitò più volte a giocarsi tutta la carriera politica. Metteva in campo tutto se stesso perché ciò che lo muoveva era sempre e soltanto il Vangelo. All’indomani della sua morte, durante l’Angelus, Paolo VI ricordò il «carissimo Amico» sottolineandone «la profonda fede cristiana» e la «molteplice se pure originale attività ». L’originalità di La Pira risiedeva nel suo essere extra ordinem rispetto ai normali schemi politici. Una straordinarietà riconosciuta anche da Giovanni Paolo II quando, nel 2004, in occasione del centenario della nascita, lo definì come una «figura esemplare di laico cristiano» la cui vita è stata una «straordinaria esperienza di uomo politico e di credente, capace di unire la contemplazione e la preghiera all’attività sociale e amministrativa, con una predilezione per i poveri e i sofferenti ». La sua vocazione politica, come scrisse Carlo Bo, era «il riflesso e l’eco della sua più antica e vera scelta religiosa » avvenuta nella notte di Pasqua del 1924. E infatti La Pira scrive di se stesso: «Io sono per la grazia del Signore un testimone dell’Evangelo, la mia vocazione, la sola, è tutta qui! Sotto questa luce va considerata la mia “strana” attività politica». Lo sottolineò efficacemente anche il cardinale Giovanni Benelli il giorno dei funerali, quando la Cattedrale di Santa Maria del Fiore e la piazza del Duomo di Firenze erano gremite da una folla gigantesca: «Nulla può esser capito di Giorgio La Pira, se non è collocato sul piano della fede». Il rapporto tra la fede e l’impegno sociale è stato indubbiamente centrale nella sua vita. Le Lettere alle claustrali, che vengono scritte tra il 1951 e il 1971, rappresentano uno spaccato stupendo – non certo l’unico – di quanto profondo fosse questo legame e di quanto la dimensione spirituale rappresentasse il punto di partenza di ogni sua azione. In quelle missive c’è un colloquio, forse unico nel suo genere, tra il politico e le sorelle raccolte nei conventi di clausura, in cui si può cogliere non solo la singolare opportunità di aiuto reciproco – in cui si associava l’aiuto materiale dato ai conventi con la richiesta di aiuto spirituale per La Pira –, ma anche l’importanza decisiva che veniva riconosciuta alla preghiera come «forza motrice della storia». Occorre «pregare il Signore» scriveva nel 1951 «perché susciti nella società umana uomini di pensiero ed uomini di azione, artisti e po-litici, scienziati ed economisti, penetrati dallo spirito di Cristo e preparati a questo compito gigantesco di costruzione sociale e civile». L’opera della Grazia è un concetto decisivo nel pensiero e nell’azione di La Pira: si tratta infatti di un’opera «essenziale » per «la Chiesa e per la civiltà», scrive il sindaco di Firenze, perché permette di comprendere «la radice ultima » della «crisi profonda che affatica il tempo presente». Una crisi che non investe soltanto la dimensione politicoeconomica della società ma si configura, soprattutto, come una «crisi soprannaturale, di orazione, contemplativa ». La richiesta fondamentale che gli uomini fanno oggi al cristianesimo, più o meno consapevolmente, è infatti «una richiesta di grazia, di orazione, di pace divina». Può «sembrare strana e paradossale », afferma sempre La Pira, questa analisi del tempo presente. Eppure, in questo mondo così immerso «nel dinamismo più veloce della vita tecnica» e che appare «radicalmente alieno da ogni sorta di contemplazione e di pace» risuona invece fortissima la domanda della Samaritana: «Signore, dammi di quest’acqua!». È la cosiddetta “storiografia del profondo”, un modo di leggere la storia col discernimento del cristiano, la sapienza dello studioso e gli occhi del profeta. Gli stessi occhi che a Mosca, nel dicembre 1963, due settimane dopo la morte di John Kennedy, gli fecero intravedere la necessità di imboccare la “strada di Isaia”: ovvero l’improrogabile esigenza di costruire un mondo di pace e di dialogo, mettendo fine alla civiltà dello scontro e della guerra nucleare. Davanti ai dirigenti sovietici non ebbe timore a sostenere che quest’intuizione gli era stata suggerita dalla Provvidenza «programmatrice » e «fabbro delle nazioni» come avevano scritto Dante e Vico. Cosa rimane oggi di La Pira? A mio avviso un’eredità profonda, sintetizzabile in tre concetti: la fede come sorgente della vita e della sua vocazione sociale; la politica come missione e non come ricerca di un tornaconto personale; la necessità concreta di aiutare i poveri, i precari, gli sfruttati e gli emarginati della società. Egli è stato uno dei simboli, non l’unico, ma sicuramente uno dei più importanti, di una stagione nobile del cattolicesimo politico in Italia. La stagione dello spirito costituente e della ricostruzione del Paese. La stagione in cui, una generazione colta, sobria e appassionata di cattolici combatteva il comunismo – dopo aver conosciuto i disastri del fascismo – e faceva politica come «un impegno di umanità e santità » senza cercare nulla per sé stessi. Lo voglio dire semplicemente e con grande chiarezza: oggi l’Italia ha bisogno di uomini come La Pira. Ha bisogno di uomini con il suo candore, con il suo spirito di servizio, con il suo essere controcorrente, con la sua integrità morale, con la sua audacia e, soprattutto, con la sua fede. Per questo motivo, ancora oggi rappresenta un esempio di vita per il laicato cristiano ed è un monito importantissimo per tutti coloro che rivestono incarichi di responsabilità.

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