18 novembre 2017

Incontri sul cervello: Che cosa vediamo quando vediamo (trascrizione)

Trascrizione integrale della videointervista di Paolo Magliocco a Thomas Albright.

L'intervista è stata realizzata durante BergamoScienza, evento che si è tenuto a Bergamo dal 30 settembre al 15 ottobre 2017.

(Trascrizione e traduzione a cura di P. Magliocco)

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Dottor Albright, lei studia come il nostro sistema visivo viene ingannato dalla nostra fisiologia, ma anche dalla nostra psicologia. Pensa che potremo capire esattamente come funzioni questo processo?
Penso che abbiamo fatto molta strada nel capirlo. Ci sono moltissime ricerche su come funziona la percezione visiva. Questo dipende in parte dal fatto che la vista è il nostro senso dominante. E anche dal fatto che è una parte del cervello relativamente facile da studiare, perché è facile controllare la luce nello spazio e nel tempo. Così abbiamo imparato molto sulle proprietà del mondo, come i colori, il movimento, la distanza si riflettono nelle cellule del nostro cervello. Una delle cose che studiamo nel mio laboratorio è come questi segnali possono essere ingannati da pregiudizi.

Ma ci sono diversi sistemi coinvolti. Il primo è la nostra fisiologia, il modo in cui funzionano i nostri occhi.
Certo. Ci sono molti passaggi coinvolti. Il primo stadio della visione è semplicemente la percezione della luce. La luce è riflessa dagli oggetti e raccolta dalla parete posteriore degli occhi. È un pannello di luce. Dobbiamo essere capaci di rilevare la luce e il contrasto, i confini tra le luci. E le cellule specializzate della retina in pratica trasformano l'energia in forma di luce in energia come segnale elettrico che viene trasmesso dalle cellule nel cervello. I fotorecettori rilevano la luce, poi il passo successivo è determinare i confini tra le diverse luci, dove c'è un margine, dove è chiaro e dove è scuro, gli effetti di chiaroscuro.

E in questo processo selezioniamo le informazioni che vogliamo registrare e quelle che abbandoniamo.
Esatto.
Queste informazioni vengono mandate su lungo il sistema, nel processo che noi chiamiamo di attenzione. E la maggior parte delle informazioni che sono state rilevate vengono buttate via, non sono importanti alla fin fine per il compito che dobbiamo svolgere. Se vado a prendere un mio amico alla stazione del treno, e so che indossa un cappotto rosso e c'è molta folla, io farò attenzione alle persone che indossano un cappotto rosso e tutto il resto sarà irrilevante.
Questo processo riduce il peso cognitivo sul sistema visivo: non dobbiamo elaborare qualunque cosa. E questo ci limita anche in qualche caso. Perché nel caso di identificazione da parte di testimoni oculari, alcuni non sanno che c'è il cosiddetto “focus sull'arma”. Se un aggressore ha una pistola, e un testimone lo guarda mentre avanza, la cosa principale per il testimone è la sopravvivenza, e dunque guarda la pistola, di sicuro sa che cosa fa la pistola in ogni momento. L'attenzione è focalizzata sulla pistola e non sulla faccia dell'aggressore. Il prezzo da pagare è che il testimone non avrà abbastanza informazioni sulla faccia dell'aggressore.

Lei è stato incaricato di coordinare una commissione che verificasse la validità delle identificicazioni da parte dei testimoni oculari. Quali sono state le conclusioni principali del vostro lavoro?
La conclusione è stata che l'identificazione da parte dei testimoni oculari è spesso sbagliata.
 
Quanto spesso?
Non lo sappiamo davvero. Gran parte delle prove vengono dai casi che hanno avuto analisi del DNA effettuate dopo la condanna. Il DNA è un metodo piuttosto affidabile di identificare una persona. E oggi ci sono circa 350 persone che stavano scontando lunghe condanne e che sono state scarcerate sulla base di queste analisi del DNA. E in questi casi sappiamo che non erano loro i criminali e possiamo chiederci quale sia stato il motivo della condanna. Ebbene, nel 70 per cento di questi casi è stato un errore di identificazione da parte di testimoni oculari.

Incontri sul cervello: Che cosa vediamo quando vediamo (trascrizione)

La sua commissione ha fornito anche tre raccomandazioni.
Sì, la prima riguarda il comportamento delle forze di polizia e come sono condotti i confronti per l'identificazione. La raccomandazione, molto semplice, è che chi gestisce il confronto non deve sapere lo stato delle persone messe a confronto, non deve sapere chi sia il sospetto tra loro. Perché ci sono segnali inconsci, come sguardi o posture o frasi suggestive che possono condurre il testimone a capire dal comportamento di chi guida il confronto quale sia la persona sospettata.
E bisogna filmare il confronto, in modo che ci sia una registrazione di quello che davvero è successo una volta che si arriva al processo.
La secona raccomandazione è per i tribunali. Il problema è che la giuria e i giudici di solito non sono informati sulla attendibilità dei testimoni oculari. E dunque la nostra raccomandazione è che ci siano degli esperti che possano spiegare a giudici e giurati quali limiti di attendibilità si possano nascondere sia in quel caso particolare sia in generale, limiti che possono portare un testimone oculare a fare un errore.
La terza raccomandazione è di fare più studi. C'è la ricerca di base su come la percezione visiva e la memoria funzionano, il tipo di ricerca che faccio anch'io. E poi ci sono ricerche in cui vengono simulati dei crimini e si cerca come le diverse variabili associate al crimine influenzino la percezione del testimone. E qui ci sono molte questioni in sospeso, molte cose che abbiamo bisogno di sapere per cercare di migliorare il comportamento dei testimoni.

Lei ha proposto uno specifico processo funzionale attraverso il quale le informazioni già acquisite integrano gli input sensoriali per produrre i segnali nervosi che possono spiegare l'esperienza della percezione visiva. Può spiegare come funziona?
Sì, il sistema visivo funziona basandosi su due fonti di informazione. Ci sono le informazioni basate sulla luce, raccolte dalla retina. E poi ci sono le informazioni che vengono dal “deposito della memoria”, le cose che uno ha sperimentato nella propria vita. Le puoi richiamare in qualunque momento. A volte in modo volontario, ma molte volte queste memorie sono anticipate nella tua esperienza visiva senza intenzione, nel fenomeno che è chiamato di visualizzazione. Questa visualizzazione da una parte e l'immagine che proviene dal mondo reale dall'altra convergono, ed è la loro rappresentazione unificata, basata in parte sulla memoria e in parte sulla vista, che produce l'esperienza visiva. E la maggior parte delle volte sei nel mezzo: la tua esperienza è in parte basata sullo stimolo visivo e in parte sulla visualizzazione.
Nel corso della nostra vita abbiamo moltissime esperienze visive. E queste esperienze sono depositate nella nostra memoria. Queste memorie entrano in gioco quando ciò che incontriamo, ciò che vediamo, è disturbato da un “rumore” o è ambiguo o incompleto. Per una buona parte del tempo le informazioni che arrivano al nostro sistema visivo sono proprio così, sono ambigue. E noi riempiamo i vuoti, basandoci sui nostri pregiudizi e sulle informazioni precedenti che abbiamo sul mondo.

Questo significa che tutto ciò che pensiamo di vedere e di ricordare può essere sbagliato?
Non direi completamente sbagliato, ma ci sono imprecisioni nelle cose che percepisci. Io ho un collega... Al Salk Institute dove lavoro ho un ufficio che affaccia sul cortile, con l'oceano Pacifico sullo sfondo – una vista magnifica – e mentre guardo dalla finestra un mio collega neuroscienziato che si chiama Chuck Stevens passa davanti al mio ufficio tutti i giorni, alla stessa ora, mentre io sono al lavoro al computer. Quando arriva lui si trova nella zona periferica del mio campo visivo e non c'è nessun modo in cui io possa sapere che sia veramente lui, ma io percepisco che è lui. Aggiungo io ciò che manca.
E questo è estremamente importante per la sopravvivenza. I nostri pregiudizi per la maggior parte del tempo sono molto vantaggiosi. Le cose che noi crediamo che esistano lì fuori, per lo più sono davvero ciò che c'è lì fuori. Il problema è che talvolta queste inferenze basate sull'esperienza sono sbagliate. Riempiamo ciò che manca con l'informazione sbagliata. E questo può provocare ogni tipo di problema. Perché vedi qualcosa che in realtà non è successo.
E questo è proprio ciò che fanno i maghi. I maghi introducono incertezza, introducono pregiudizi e fanno in modo che tu sia certo di cose che non sono successe.
Incontri sul cervello: Che cosa vediamo quando vediamo (trascrizione)
Thomas Albright

Pensa che il numero di telecamere che riprendono la nostra vita stiano cambiando le cose?
Penso che in alcuni casi sì. Nel caso dell'attentato alla maratone di Boston ci sono state videoregistrazioni che hanno aiutato a trovare i sospetti. Ma il problema è che i crimini, sia dal punto di vista dei testimoni che delle telecamere, sono eventi inattesi e quindi non c'è nessuna garanzia che le telecamere punate su una scena possano dare informazioni sufficienti.
Negli Stati Uniti c'è un problema diverso. La polizia sta facendo i conti con il fatto che ogni volta che fermano qualcuno i testimoni filmano tutto. E tutto diventa una registrazione distribuita ovunque nel giro di pochi secondi. Tutti hanno un video del maggior sospettato o di come si comporta la polizia. E questo è allo stesso tempo un bene e un male. Può influenzare le decisioni. A volte un video registrato può essere interpretato male da chi non conosca il contesto.

Lei sta studiando anche il collegamento tra queste interpretazioni sbagliate della realtà e le malattie mentali.
Sì. Nella maggior parte dei casi mettiamo insieme lo stimolo visivo e la nostra visualizzazione, basata sulla memoria. La maggior parte di noi per la maggior parte del tempo è da qualche parte nel mezzo. Ci spostiamo in base alla qualità dell'informazione disponibile. C'è il caso in cui lo stimolo in entrata è ambiguo e allora tu peschi maggiori informazioni dalle informazioni memorizzate. Ma si possono anche creare condizioni nelle quali tutto è guidato dalla visualizzazione, da ciò che hai immagazzinato, e sono condizioni patologiche, sono le allucinazioni. E le persone sono definite pazze. Stiamo facendo alcuni lavori sul problema della schizofrenia.

Lei pensa che la schizofrenia abbia a che fare con il modo in cui percepiamo le immagini?
È un disturbo multifattoriale, una buona fetta è un disturbo della percezione visiva. Ci sono problemi nel focalizzare l'attenzione, nelle valutazioni nella scena visiva, alcuni collegati alla memoria. Ci sono problemi emotivi, che sono del tutto diversi. Non abbiamo una vsione olistica di come tutti questi sistemi lavorino. Potrebbe essere un tipo di disfunzione che colpisce diverse parti del cervello e che porta a sintomi differenti. La schizofrenia è una forma di psicosi che colpisce una persona su cento nel mondo ed è molto debilitante. Abbiamo alcuni farmaci che riducono i sintomi, ma nessuna cura e nessuna buona spiegazione di ciò che succede nel cervello. È una malattia con molte facce e quello su cui abbiamo posto l'attenzione noi sono alcuni dei problemi percettivi che sono associati con la malattia. Usando un farmaco, chiamato inibitore dei recettori NMDA, che è usato come anestetico veterinario e pediatrico con il nome di ketamina, si può indurre uno stato simile alla schizofrenia negli uomini e negli animali. Usandolo possiamo produrre uno stato transitorio simile alla schizofrenia e cominciare a studiare le carenze del sistema di elaborazione visivo, e il ruolo della memoria nell'elaborazione visiva.