Glutammato che spaventa

È una sostanza chimica presente in molti alimenti, leggiamo il suo nome nella lista degli ingredienti di molti cibi confezionati e in tanti leggono con sospetto il suo nome e la sua sigla: E621. Se appartenete a quel vasto gruppo di persone che considerano il glutammato di sodio una «schifezza chimica», beh, forse dovreste considerare l’ipotesi che il vostro sia solo un pregiudizio culturale.

Sono passati quasi 10 anni dall’ultima volta che abbiamo parlato del glutammato qui sul blog, e quindi ho pensato di scrivere un aggiornamento, prendendo spunto da un rapporto che l’EFSA, L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare con sede a Parma, ha appena pubblicato.

(Qui come al solito un riassunto video)

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Partiamo dall’inizio.

Il glutammato è il sale dell'acido glutammico: un amminoacido, un costituente delle proteine di cui noi, come tutti gli esseri viventi, siamo formati.

È un amminoacido “non essenziale” perché se non lo assumiamo con la dieta il nostro corpo riesce a produrlo a partire da altre molecole. È quindi una sostanza naturale, per chi ci tiene a questa classificazione. Anzi, naturalissima, visto che non potremmo vivere senza.

È quindi presente in moltissimi cibi che contengono proteine come ad esempio il parmigiano reggiano. Un buon parmigiano è molto saporito ma non necessariamente molto salato. Come mai?

La sua storia

Nel 1907 il chimico giapponese Kikunae Ikeda decise di scoprire quale fosse la sostanza chimica responsabile del gusto di una zuppa tradizionale, il Dashi, preparata con l’alga Kombu. Il suo sapore non sembrava rientrare nei quattro sapori fondamentali noti fino ad allora: il dolce, il salato, l’amaro e l’aspro (o acido).

L’anno successivo facendo bollire quaranta kg di alghe riuscì a estrarre qualche decina di grammi di una polvere bianca che identificò come L-glutammato, il sale di un amminoacido già isolato nel 1866 dal chimico tedesco Karl Heinrich Ritthausen a partire dal glutine che ne contiene moltissimo: circa 30 g ogni 100 g [1]. Ikeda scoprì che il glutammato libero – cioè non legato in una proteina – è un esaltatore di sapidità: aggiunto ai cibi ne esalta il sapore. Coniò quindi il nome Umami per il nuovo quinto sapore stimolato dall’acido glutammico e dai suoi sali. Intuendone le sue potenzialità commerciali come nuovo condimento, Ikeda brevettò un processo per produrre il glutammato a partire dal glutine del frumento.

Lo sviluppo del processo industriale per produrre e commercializzare il nuovo condimento iniziò nel dicembre del 1908 in collaborazione con l’imprenditore chimico e farmaceutico Saburosuke Suzuki. Il processo messo a punto da Ikeda partiva da farina impastata che veniva lavata con acqua per separare l’amido. Il glutine veniva poi trasferito in recipienti resistenti per essere trattato con acido cloridrico e scaldato.

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Dopo alcuni passaggi di filtrazione e decantazione la soluzione veniva trattata con dell’idrossido di sodio (Soda, NaOH) o di potassio (KOH) e il glutammato veniva cristallizzato, separato, asciugato e impacchettato. Venne registrato il nome AJI-NO-MOTO, che significa «all’origine del gusto», e nel marzo 1909 venne prodotto il primo glutammato commerciale.

Avete presente quel detto fintosaggio: “Non mangiate qualcosa che vostra nonna non riconoscerebbe”? Beh, vostra nonna forse non avrà mai sentito nominare il glutammato (ma neanche il sushi per altro), ma di sicuro le nonne giapponesi non hanno alcun problema verso quel barattolino di AJI-NO-MOTO che usano dal 1909. Quindi lasciamo gli slogan fuori dalla porta della cucina o del ristorante e proseguiamo.

Nuovi metodi di produzione

La purezza del primo prodotto era dell’85% e infatti non era bianco, il colore naturale del glutammato, ma marroncino chiaro, per le varie impurità rimaste. Ikeda continuò a lavorare per migliorare il processo e via via la purezza del prodotto migliorò.

La richiesta di mercato continuava a salire: in sempre più case giapponesi a fianco del barattolino del sale si trovava quello di AJI-NO-MOTO. Per far fronte alle fluttuazioni di mercato nel 1935 venne sviluppato un processo di produzione a partire dalla farina di soia sgrassata: ciò che rimane dei fiocchi di soia dopo l’estrazione dell’olio con un solvente. Negli stabilimenti in Europa e USA, fino agli anni ’50, si usavano invece gli scarti di produzione delle barbabietole da zucchero. La crescente richiesta della polverina dal “sapore delizioso” (questa la traduzione della parola Umami) spinse a trovare dei modi più efficienti di produrre il glutammato.

Negli anni ’50 presero il via gli studi per mettere a punto dei nuovi metodi di produzione. Un’idea semplice era quella di sintetizzare il glutammato direttamente invece che estrarlo da una fonte naturale. La sintesi chimica portò a un prodotto di qualità superiore, molto più puro. (Non devo certo ricordare ai lettori che le proprietà di una molecola non dipendono dal fatto che sia sintetizzata o estratta da una fonte naturale: sempre glutammato è). La produzione per via chimica iniziò nel 1961 ma venne abbandonata nel 1973, perché nel frattempo era stato sviluppato un processo molto più efficace e meno costoso: la fermentazione.

La fermentazione è un metodo di produzione biotecnologico in cui una sostanza chimica, in questo caso un aminoacido, viene sintetizzato in grande quantità da uno speciale microorganismo come un batterio o un lievito. Non è diverso da quello che succede quando si fa lievitare il pane con il lievito di birra o la pasta madre, o si produce la birra, il vino, l’aceto, lo yogurt e così via. Microrganismi diversi producono sostanze diverse, e quello per produrre il glutammato è solitamente un batterio chiamato Corynebacterium glutamicum, (ma ci sono anche Brevibacterium lactofermentum e Brevibacterium flavum) che viene amorevolmente allevato e nutrito con zuccheri e ammoniaca per produrci in cambio l’acido L-glutammico. La prima fermentazione industriale di glutammato avvenne nel 1956 da parte della Kyowa Hakko Kogyo Co. Ltd.

Le circa 3 milioni di tonnellate di glutammato prodotto al mondo nel 2014 derivano ormai solo da processi di fermentazione. Nel 2015 l’EFSA ha approvato l’utilizzo per la produzione di acido glutammico e dei suoi sali di un batterio GM: il ceppo EA-12 di Corynebacterium glutamicum ottenuto modificando geneticamente il ceppo 2256 per migliorarne le prestazioni.

Poiché nel prodotto finale non resta alcuna traccia né di DNA né dei batteri, e poiché il prodotto finale è identico, non è richiesta alcuna segnalazione in etichetta. Quindi non è dato sapere quanto sia diffuso nei vari stabilimenti di produzione in giro per il mondo l’uso di batteri geneticamente modificati, che per altro già si usano da decenni per produrre molte altre sostanze chimiche anche di uso alimentare.

Libero o legato

L’acido glutammico è un amminoacido molto diffuso in natura e si stima che, in occidente, ne assumiamo circa 10 grammi al giorno. La gran parte di questo è presente in forma legata nelle proteine. Si stima che, in una dieta variata, circa un grammo del glutammato assunto sia in forma libera: naturalmente presente nei cibi o aggiunto. In Asia, specialmente in Corea, Cina e Giappone, il consumo di glutammato libero è molto più elevato, tanto è vero che il mercato asiatico ne consuma quasi il 90% della produzione mondiale, e la Cina da sola ne produce il 65% e ne consuma il 55%. Noi europei ne consumiamo solo il 3%.

Le previsioni di mercato danno un tasso di crescita della domanda del 3%-4% annuo almeno fino al 2023, quindi la ricerca per produrne sempre più a costi inferiori prosegue.

Cibi saporiti

Il glutammato assaggiato puro non ha molto sapore, sa vagamente di carne bollita, ma aggiunto ai cibi ne esalta i sapori. Che sia presente naturalmente nei cibi o che venga aggiunto non fa alcuna differenza per il nostro corpo e per questo l’industria alimentare lo usa a piene mani.

Poiché l’acido glutammico è presente nelle proteine, tutti i cibi proteici stagionati o fermentati ne sono ricchi. La salsa di soia per esempio, molto utilizzata nella gastronomia cinese e giapponese, viene prodotta dalla soia e dal grano facendoli fermentare. Durante la degradazione delle proteine si libera il glutammato ed è per questo che è molto saporita. Un altro esempio è come vi ho detto il formaggio parmigiano. Come tutti i formaggi molto stagionati ne contiene moltissimo: 1,2 grammi ogni 100 g. Altri cibi saporiti ricchi di glutammato sono i pomodori e le acciughe. Uno dei motivi per cui la cucina italiana è molto saporita è anche l’uso abbondante di pomodoro e formaggi stagionati.

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C’è solo un dado, e ha il glutammato

Perché troviamo il glutammato nei dadi da brodo? Visto che la carne è composta da proteine, quando prepariamo un brodo queste si denaturano e, con le lunghe cotture tipiche dei brodi, si liberano i singoli amminoacidi tra cui l'acido glutammico. Un brodo di carne, o un estratto, è ricco di glutammato. Lo deve essere, altrimenti non avrebbe quel sapore.

Io trovo più buono un brodo fatto con la carne che non col dado. Spesso preparo il brodo, lo concentro e lo surgelo in monoporzioni pronte all’uso. Però quando ne sono sprovvisto e sono di fretta non mi faccio problemi a usare il dado o l’estratto. Alcune persone hanno timore di questa sostanza e quindi non comprano i dadi “normali” perché vedono scritto tra gli ingredienti “glutammato”. Come vi ho detto un brodo deve contenere del glutammato e quindi anche i dadi lo devono contenere. Casomai il problema dei dadi è che la carne a volte l’hanno vista col binocolo, ma è una questione di gusti e sapori, non di salute.

Queste persone comprano allora i dadi “senza glutammato aggiunto”. Una volta erano quasi solo biologici ma ora si trovano di qualsiasi marca. Però un dado, o un estratto, senza glutammato non può funzionare, non insaporisce, e quindi le industrie usano un trucchetto (legale) per aggiungerlo in maniera un po’ nascosta senza doverlo segnalare in etichetta. Guardate qua: estratto di lievito. Alzi la mano chi sa che roba è?

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l lieviti sono esseri viventi e sono composti da proteine, tra le altre cose. Quando si fa un estratto le cellule del lievito vengono uccise, le proteine si disgregano e si liberano gli aminoacidi. Tra cui, BINGO! il glutammato. Insomma, aggiungendo l'estratto di lievito si riesce ad avere un dado da brodo in cui c'è glutammato ma è possibile scrivere che non è stato aggiunto direttamente, il che è perfettamente vero. Altre volte trovate scritto “proteine idrolizzate” ma ultimamente va forte il Miso! Cosa contiene? Soia fermentata, tra le altre cose, quindi glutammato libero!

Vi sentite ingannati? Beh, certo, l’industria ci marcia, ma il problema di fondo è il pregiudizio che voi avete e che l’industria sfrutta, quindi forse è il caso di rivedere il pregiudizio.

Perché il glutammato ha questa cattiva reputazione?

Negli anni ’60, quando si diffusero i ristoranti cinesi negli USA, gli occidentali iniziarono a guardare con sospetto questo ingrediente tradizionale nella cucina asiatica ma poco conosciuto altrove. Cominciarono a girare una serie di leggende urbane su questa sostanza che venne accusata senza prove di essere causa di moltissime patologie, addirittura di creare danni cerebrali e causare tumori. Venne addirittura coniato un nome per una presunta sindrome, chiamata “sindrome da ristorante cinese”, che si immaginava colpisse chi cenava nei ristoranti cinesi. Queste ipotesi sono state successivamente messe alla prova con vari studi scientifici e si sono dimostrate infondate. La diffidenza verso il glutammato però è rimasta.

Nel cervello

L’acido glutammico oltre ad essere fondamentale per poter costruire le proteine di cui siamo fatti è anche utilizzato, libero, nel cervello. Anzi, è l’amminoacido libero più presente perché il nostro cervello lo utilizza come fonte di energia nel caso ci sia poco glucosio presente, ma ha soprattutto la funzione di neurotrasmettitore, cioè di sostanza che trasmette l’impulso, l’informazione, da un neurone a un altro. È importante ricordare qui che il cervello di solito si produce il suo glutammato: quello che c’è in circolo nel sangue in condizioni normali non passa nel cervello.

Poiché il glutammato ha una funzione così importante nel cervello non stupisce che abbia un ruolo anche quando ci sono delle disfunzioni. Durante un’ischemia le cellule cerebrali rilasciano un eccesso di glutammato che scatena una serie di reazione che portano poi alla morte di alcuni neuroni. Ed è anche per questo che in letteratura si trovano ovviamente studi dove si inietta direttamente nel cervello di topi del glutammato e si vedono i danni che provoca, a dosi elevate (4 g per kg di peso corporeo!).

Ricordatevi ancora che il glutammato che ingeriamo, che venga dal parmigiano o dal dado, non arriva al cervello. Che sia libero o prodotto dalla scomposizione delle proteine, viene assorbito dall’intestino e in grandissima parte viene metabolizzato direttamente nelle pareti gastrointestinali. Fino al 95% viene consumato nella mucosa intestinale come fonte di energia e una parte si trasforma in altri amminoacidi come la prolina e l’arginina, per cui in circolazione ne va pochissimo (l'ho già detto che il nostro corpo se lo produce da sé quando serve?)

Il marketing della paura

Capite subito però che è molto facile raccontare gli studi sul cervello incutendo timore: è il solito “marketing della paura” che vediamo all’opera spesso. Ed ecco che per il «complottismo da tastiera» il glutammato diventa “il killer del cervello”.

excitoxin.jpgEsiste un genere letterario consolidato che consiste nello scrivere un libro, spesso con annesso sito web, pagina Facebook e persino un video, accusando la sostanza X di causare le patologie Y e Z. Se fate un giro nella vostra libreria di fiducia vi accorgerete che è un settore molto fiorente. Potete trovare libri e siti contro lo zucchero (ma solo quello bianco), il latte, la farina (ma solo quella 00), il glutine, l’olio di palma e così via. Li trovate spesso nella sezione “benessere”, «salute naturale», «naturopatia» e via discorrendo, oppure su pagine Facebook che si occupano di «complotti» e «lottano» affinché l’ignaro lettore possa venire a conoscenza di ciò che governi, multinazionali e rettiliani vogliono nascondere: dalle scie chimiche alle «cure naturali» contro il cancro, all’uso miracoloso del limone in acqua calda la mattina, alle cristalloterapie, fiori di Bach e via dicendo. Poteva mancare quindi un libro contro il glutammato? Ovviamente no. “Eccitotossine, il gusto che uccide” è il libro di Russel Blaylock che ha contribuito non poco alla fobia occidentale antiglutammato. Facendo anche la sua (di Blaylock intendo) fortuna economica. Come dicevo, il “marketing della paura” funziona alla grande.

Nei feti e neonati

Ovviamente il timore di danni cerebrali al feto e ai neonati ha generato molti studi sugli animali per investigare i possibili effetti. Per esempio se si somministrano 8 g/kg (una quantità enorme) a ratti in gestazione, la concentrazione di glutammato nel sangue aumenta ma non quella nel feto. A quanto pare la placenta usa il glutammato che la mamma mette in circolo.

Oltre a possibili problemi derivanti da una singola dose elevata sono stati fatti moltissimi studi su topi, ratti, cani e scimmie per rilevare problemi allo sviluppo cerebrale assumendo giornalmente dosi diverse di glutammato per diversi giorni, settimane o addirittura mesi. Gli studi trovano un NOAEL di 3,2 g /kg di peso corporeo. Tenete a mente questo numero perché poi ci servirà. NOAEL significa “No Observed Adverse Effect Level”, cioè il livello di consumo giornaliero costante a cui non si riscontrano effetti di nessun tipo.

Piccola nota a margine: capite perché gli studi sugli animali in moltissimi casi non sono sostituibili con degli studi in vitro o, ancora meno, con simulazioni al computer?

Se siete ancora sospettosi sappiate che il l'acido glutammico libero tra tutti i venti aminoacidi è quello in assoluto più presente nel latte materno umano, come vedete dal grafico.

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Al neonato servono gli amminoacidi per costruire le sue proteine e il glutammato rende anche più appetibile il latte per il neonato.

Il rapporto dell’EFSA

Tutti gli additivi alimentari, qualsiasi sia la loro origine, sono autorizzati ad essere usati solo per determinati cibi e nelle quantità massime stabilite dai regolamenti europei. In quasi tutti gli alimenti trasformati in cui è autorizzato l’uso del glutammato – 67 in tutto – le dosi massime che si possono aggiungere ai prodotti sono di 10 g/kg, o di 10 g/L nel caso di liquidi. Se siete curiosi potete consultare la lista contenuta nel rapporto, ma tenete presente che è una compilazione di cibi consumati in tutta Europa, quindi non vi stupite troppo di quello che trovate! I livelli tipici a cui è utilizzato il glutammato nel cibo sono spesso molto più bassi di 10 g/kg, che è circa la concentrazione di glutammato libero in formaggi stagionati come il Parmigiano Reggiano (12 g/kg). Per esempio nelle zuppe pronte il contenuto medio di glutammato è di circa 2,1 g/L mentre nelle salse di 1,5 g/L (vedi Appendice al rapporto EFSA).

Nel 2010 la Commissione Europea ha chiesto all’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, di riesaminare tutti gli additivi alimentari approvati alla luce dei nuovi studi pubblicati dall’ultima revisione, allo scopo, nel caso, di rivedere le dosi massime ammesse. Il 21 giugno 2017 l’EFSA ha pubblicato il rapporto che riguarda l’acido glutammico (E620), il glutammato di sodio (E621) e i meno usati glutammato di potassio (E622), di calcio (E623), d’ammonio (E624) e di magnesio (E625). Tutte queste sostanze sono equivalenti, dal punto di vista dell’effetto insaporitore, anche se non è detto che lo siano per altri aspetti. Uno su tutti: il glutammato di sodio apporta alla dieta appunto il sodio che può sommarsi a quello presente nel cloruro di sodio, che purtroppo consumiamo in quantità superiori a quelle consigliate. D’altra parte l’uso del glutammato di sodio, poiché esalta i sapori, può anche permettere di ridurre le quantità di cloruro di sodio utilizzate in un alimento, ed è per questo che si utilizza negli insaporitori a ridotto contenuto di sale.

Il verdetto dell’EFSA

L’EFSA ha passato in rassegna le centinaia di articoli scientifici per individuare possibili problemi: tossicità, cancerogenicità, genotossicità e così via. Ci sono tantissimi studi di questo tipo e se siete curiosi nel rapporto dell’EFSA sono riassunti tutti. Risultato: i nostri cervelli non hanno nulla da temere. E in più, con le parole dell’EFSA: “Negli studi sulla riproduzione e sullo sviluppo sia a breve termine che a lungo termine non si sono riscontrati effetti avversi”. “Non suscita timori di genotossicità quando usato come additivo alimentare”, “la tossicità acuta dell’acido glutammico e dei suoi sali è bassa”, “Non ci sono indicazioni che sia cancerogeno e non ha portato a un aumento di tumori nei ratti fino alle più alti dosi testate”. Insomma possiamo stare tranquilli e continuare a spolverare il parmigiano sulla pasta al pomodoro.

Per qualcuno in particolare

Come per praticamente qualsiasi cibo e qualsiasi sostanza, anche se viene escluso un effetto generalizzato sulla popolazione, possono esserci gruppi o individui specifici che riportano degli effetti. Un po’ come per le allergie che colpiscono alcuni ma non altri.

L’EFSA ha passato in rassegna gli studi che indagavano un possibile effetto, su alcuni soggetti in particolare, sull’asma, senza però trovare evidenze conclusive. Ci sono invece evidenze che su alcuni rari pazienti con una diagnosi di urticaria il glutammato possa essere una delle varie sostanze che scatena una risposta.

Per quel che riguarda il mal di testa, uno studio ha rivelato che solo l’1,8% delle persone che si dichiarano “sensibili al glutammato” rispondono poi in modo coerente agli stimoli presentati in cieco, senza cioè che sappiano cosa stanno assumendo. Ci sono però alcune evidenze che esista un gruppo di individui che può sviluppare un mal di testa consumando dosi molto elevate di glutammato (6 e 9 grammi al giorno).

L’EFSA e le dosi ammissibili

L’EFSA per dare suggerimenti alla Commissione Europea sull’uso di un determinato additivo alimentare ha bisogno di almeno tre dati.

Il primo è una stima della dose giornaliera che non provoca effetti negativi, neanche se assunta tutti i giorni per tutta la vita. È la quantità indicata in Italiano con la sigla DGA: Dose Giornaliera Ammissibile, e in Inglese con ADI: Acceptable Daily Intake. Come si stima? EFSA ha seguito una procedura abbastanza comune. Ha preso il valore di NOAEL trovato negli studi animali – vi ricordate quel 3,2 grammi per kg di peso corporeo? – e per andare coi piedi di piombi nell’applicarlo agli esseri umani l’ha diviso per un fattore di ulteriore sicurezza pari a 100. Si arriva così con qualche arrotondamento a una DGA (o ADI) di 30 mg/kg di peso corporeo. Questa è la dose di glutammato libero che un umano può probabilmente assumere ogni giorno della sua vita senza manifestare effetti negativi di nessun tipo (escluse come detto persone con specifici problemi). È una stima, certo, ed è possibile che, data la metodologia applicata per ricavarla, la dose che possiamo tollerare senza problemi sia superiore. Ma “meglio prevenire che curare” si dice. Per un adulto che pesi 70 kg è la dose contenuta in circa 170 grammi di parmigiano. Ogni giorno. Quindi, insomma, non proprio pochissimo.

Il secondo dato di cui EFSA ha bisogno è quanto glutammato è contenuto negli alimenti. Per far questo gli esperti dell’EFSA hanno utilizzato un database con dati sui cibi forniti dai vari governi Europei. In realtà però se andiamo a vedere la provenienza, ci accorgiamo che dei 32671 dati disponibili, ben 31758 li ha forniti la Germania. L’Italia non ha fornito alcun dato. Come si dice, “bene ma non benissimo”, perché poi nello stimare l’assunzione di glutammato da parte, per esempio, di un italiano quando mangia della pasta condita o dei ravioli, si farà di fatto riferimento a ravioli e pasta tedeschi.

Il terzo dato che serve a EFSA è una stima di cosa mangiano mediamente gli Europei ogni giorno, divisi per nazioni. Questi dati sono disponibili in un altro database. L’EFSA ha stimato, utilizzando i dati raccolti, il consumo di glutammato per varie fasce di popolazione europea: neonati (da 12 settimane a 11 mesi di età), bambini piccoli (12-35 mesi), bambini (3-9 anni), adolescenti (10-17), adulti (18-64), anziani (>65), facendo scenari diversi di consumo di cibi e bevande considerando l’esposizione sia considerando solo il glutammato aggiunto che anche quello contenuto naturalmente negli alimenti.

Le stime dell’EFSA sull’assunzione di glutammato aggiunto al cibo di varie fasce della popolazione europea hanno rilevato che in alcuni casi, specialmente per bambini piccoli e neonati, la soglia di 30 mg/kg viene superata. EFSA è consapevole di sovrastimare il consumo di glutammato, e lo dichiara, ma ancora una volta applica il “meglio prevenire che curare” o, come dicono gli inglesi “better safe than sorry”. Raccomanda quindi la riduzione di glutammato nei prodotti di pasticceria fine, salse, brodi, zuppe, condimenti e prodotti a base di carne.

Come ce la caviamo noi italiani? Lo scopriamo leggendo l’appendice F (con l’avvertenza che i calcoli sono stati fatti considerando le composizioni di alimenti tedeschi). Nello scenario più probabile, considerando solo il glutammato aggiunto dalle aziende, in nessuna fascia di età gli Italiani superano la soglia dei 30 mg/kg. Anzi, in vari casi sono molto al di sotto. Questo non mi stupisce: siamo un popolo che ancora cucina e mangia più cibi preparati al momento che quelli confezionati. Gli Italiani adulti consumano ogni giorno 7 mg/kg di glutammato aggiunto. I neonati (da 11 settimane a 11 mesi di età) 5 mg/kg mentre i bambini piccoli (da 12 a 35 mesi di età) 22 mg/kg.

Se invece andiamo a considerare anche il glutammato naturalmente presente nei cibi, l’assunzione da parte dei neonati e dei bambini piccoli supera la soglia suggerita dall’EFSA, passando a 147 mg/kg per i neonati e a 41 mg/kg per i bambini piccoli. Come mai? Possiamo solo fare speculazioni (tra l’altro il dato sui neonati è ricavato con un campione di soli 12 soggetti quindi dubito fortemente che sia rappresentativo), ma scommetto la mia confezione di AJI-NO-MOTO che uno dei motivi è la proverbiale spolverata di grana o parmigiano che, a volte anche dietro consiglio del pediatra, mamme e papà Italiani mettono sulla pappa del pupo regolarmente che, grazie proprio al glutammato presente, viene più apprezzata.

Glutammato culturale

Il fatto che non sia nocivo però non significa che se ne possa abusare. È utile paragonare il glutammato di sodio a un altro sale: quello dell’acido clodridrico, il cloruro di sodio detto anche sale da cucina.

Entrambi apportano sodio.

Il cloruro di sodio stimola un sapore fondamentale.
Anche il glutammato.

Il cloruro di sodio intensifica la percezione di altri sapori fondamentali.
Anche il glutammato.

Il cloruro di sodio è naturalmente presente nei cibi.
Anche il glutammato.

Troppo sale rovina il cibo.
Idem per il glutammato.

Il cloruro di sodio è indispensabile al nostro corpo.
Anche il glutammato.

Se abusiamo del cloruro di sodio ci sono delle controindicazioni.
Anche per il glutammato.

E così via.

Il cloruro di sodio tuttavia è ormai ben radicato nella nostra cultura gastronomica, e non ci verrebbe mai in mente di incolparlo di «alterare la percezione del gusto in modo artificiale». Voi salate l’acqua della pasta, vero? Non state forse alterando di proposito il «sapore vero» della pasta?

Alla stessa maniera, anche l’accusa di «mascherare la mancanza di sapore delle materie prime» è debole: sosterreste forse che la farina di grano duro con cui viene prodotta la pasta sia di «bassa qualità» solo perché, cucinata senza sale, è francamente orrenda? (e non vale cavarsela aggiungendo un sugo molto saporito). Mangiatevela voi la pasta cotta nell’acqua senza sale!

Alla fine è solo l’abitudine che ci induce a considerare il sale parte integrante di una ricetta e a escludere il glutammato. Il sale lo consideriamo un ingrediente, il glutammato un additivo, ma è solo un pregiudizio culturale.

Dario Bressanini

P.S. Il blog da leggere su un cellulare è un disastro, lo so (e ormai più del 50% delle visite arrivano dai cellulari!), il sito non è responsive ma non ci posso fare nulla perché non è sotto il mio controllo. Ecco perché sto facendo esperimenti per cercare almeno di cambiare il font e rendere il tutto un poco più leggibile (con poco successo purtroppo).

Note

[1] Durante il processo di idrolìsi (questo il nome tecnico della reazione chimica che scompone le proteine negli amminoacidi componenti) oltre all’acido glutammico si libera anche la L-glutammina che viene trasformata in acido glutammico.

Bibliografia

Sano, C. (2009). History of glutamate productionThe American journal of clinical nutrition90(3), 728S-732S.

Mortensen, Alicja, et al. "Re-evaluation of glutamic acid (E 620), sodium glutamate (E 621), potassium glutamate (E 622), calcium glutamate (E 623), ammonium glutamate (E 624) and magnesium glutamate (E 625) as food additives.EFSA Journal15.7 (2017).

Beyreuther, K., et al. "Consensus meeting: monosodium glutamate–an update.European journal of clinical nutrition 61.3 (2007): 304-313.

107 commenti RSS

  • Ottimo!

    Grazie mille!

  • Da piccolo, di nascosto dalla mamma, con l'unghia ne staccavo una briciola dalle dimensioni di un granello di sale grosso, da mangiare per il gusto piacevole al palato che mi dava.... poi tutte le leggende sulla sua tossicità mi hanno fatto allontanare da questa abitudine... ma grazie alla tua chiarezza sull'argomento.... tornerò un pò bambino.... :-)

  • Riguardo la nota della visualizzazione da cellulare, voglio dire che non mi ero mai accorto del problema, perché anacronisticamente ancora uso i feed rss con un apposito Reader che riformatta automaticamente la pagina! Chissà magari può essere una soluzione temporanea, oppure utilizzare la modalità lettura presente in molti browser.

  • Anche io mangiavo il dado da bambino.
    Ancora oggi mi piace il gusto.
    Grazie Dario per l'articolo, interessante e preciso come sempre.

  • Ma il "grasso di palma" presente nel dato senza glutammato aggiunto nonsarà mica... olio di palma?

  • Alberto Guidorzi 17 novembre 2017 alle 16:13

    Certo che è olio di palma, per il semplice motivo che è solido e quindi è più giusto chiamarlo grasso e non olio
    .

  • Il glutammato di potassio differisce molto nel sapore? I termini legato e libero sono corretti per l'acido glutammico ma non per il glutammato, giusto?

  • Ottima spiegazione e documentazione . L'unico guaio è che con le argomentazioni scientifiche non si scalzano le convinzioni fideistiche fondate sull'ignoranza . Così è l' Homo in-sapiens !

  • Ottimo articolo, come sempre. Per un breve periodo ero stata contagiata dalla fobia da dado; durò poco anche perché il mio uso del dado è ridottissimo, quasi nullo. Diminuirò la quantità industriale di parmigiano e grana che consumiamo....😏
    Per quanto riguarda il blog sul cell, basta girare il telefono in orizzontale e la situazione migliora: personalmente trovo il font adeguato ma mi affatica molto muovere gli occhi su una superficie stretta.

  • Articolo interessante come sempre.
    L’unica perplessità è un concetto riportato nel primo capoverso e ripreso nella frase conclusiva: “pregiudizio culturale”.
    Tale concetto sembra (e sottolineo “sembra”) possedere una valenza negativa. È così? Ed è corretto che sia così?
    Lo slogan “Non mangiate qualcosa che vostra nonna non riconoscerebbe” non mi pare malvagio.
    Insomma, nella mia cucina non c'è nè mia nonna nè mia mamma, poiché - ahimè - passate a miglior vita. Ma i loro pregiudizi culturali di massaie italiche sono ancora ben presenti nella mia cucina. E sono contento che nella mia cucina si respirino tali pregiudizi culturali e si tengano distanti concetti quali l’aggiunta di glutammato (mentre il Parmigiano reggiano abbonda nella formaggiera).

    P.S. Riconosco che questo è l’intervento forse più nebuloso che abbia mai scritto :-(
    Forse qualcuno capirà ciò che volevo dire ;-)

  • (e non vale cavarsela aggiungendo un sugo molto saporito)

    E se fosse proprio questo l'ostacolo "culturale" per l'accettazione del G.? Siamo abituati ad aggiungere sale da secoli ma proprio sale puro, non "intrugli" che salano, mentre il G lo aggiungiamo sempre e solo come "sugo saporito" che sia parmigiano o pomodori o acciughe per citare i tuoi esempi ma se qualcuno ha frequentato qualche cucina professionale avrà sicuramente notato il grande uso di brodi fumetti e fondi con tradizioni che risalgono a prima della nonna ( della mia perlomeno!). Se le nostre nonne avessero sempre salato con la pasta d'acciughe troveremmo probabilmente disdicevole usare al loro posto una polverina bianca di recente sintesi e in ogni caso non "tradizionalmente" corretto. Personalmente non nutro pregiudizi : Da una parte la polverina pura perde la ricchezza e la complessità legata agli altri ingredienti degli "intrugli" ma in qualche caso l'acqua e i grassi che si portano dietro sono una zavorra pesante e quasi impossibile da gestire in cucina

  • Aristarco: può essere, io però la polverina l'ho comprata :) ma sono consapevole che certi pregiudizi culturali sono difficilissimi da togliere (pensa a quello degli insetti) e d'altra parte non è neppure il mio obiettivo. Che uno mangi quello che vuole :) Io voglio solo dare qualche informazione corretta :)

  • Per prima cosa, ciao a tutti, visto che è da moltissimo che non mi faccio vedere qui.

    Inutile dire che ho trovato valido l'articolo, vorrei semmai dichiarare che anch'io, fin da tenerissima età, sono un dadossicomane. Ho cominciato prima ancora di andare a scuola, leccando le cartine di quelli che la nonna usava per cucinare (segno di una abietta deviazione verso il male).
    Poi la mia dipendenza da glutammato è salita. Per una terapia di autoconsapevolezza ne ho in cucina una bustina acquistata in un negozio orientale, che da qualche anno lascio sigillata per resistere alla tentazione.
    In compenso sono un esagerato consumatore di pomodori e un forte consumatore di grana, in tutte le salse ed in tutte le forme.
    Che poi faccia dei calembour simili, può essere un danno indotto dal glutammato?

  • Alberto Guidorzi 18 novembre 2017 alle 15:29

    Come voi sapete io sono uno che di cucinare non ne sa nulla (prima mia nonna , poi mia mamma ed infine mia moglie se la sono sbrigata egregiamente loro), comunque vi posso dire una frase di mia nonna quando scoprì il primo dato (Liebig se ben ricordo): "certo che è un bella comodità non dover andare ogni mattina nell'orto a raccogliere le varie erbe aromatiche per dare sapidità ai cibi" Comunque lei non l'ha mai usato per fare minestre al massimo lo usava per fare un brodo vegetale da distribuire su arrosti o sfornati. Credo che il segreto del successo del dado sia proprio questo.
    A proposito riporto qui un commento che ho messo sul blog per chi volesse un po' di storia:

    L'acido glutammico (o meglio la glutammina) è un componente che nella lavorazione della bietola da zucchero è aborrito in quanto è conosciuta tra le sostanza melassigene, cioè che riduce la produzione di zucchero bianco e aumenta quella del melasso che costa molto meno dello zucchero. Quindi i composti glutammici finiscono nel melasso da cui si può ricavare ancora zucchero (ma con un processo molto costoso) e dal liquido che rimane si può estrarre il glutammato. L'industria saccarifera negli anni 50/60 cercò una diversificazione e in particolare le società del gruppo Montesi dotarono alcune loro fabbriche di reparti di produzione dell'acido glutammico (Bottrigne (Ro) e Casei Gerola (PV), solo che ci si accorse che era più redditizio estrarlo dal glutine e quindi poco si fece dalla bietola. Quando la bieticoltura si sviluppò anche al Sud (in Capitanata) si pensò di costruire una fabbrica di glutammato a Manfredonia e di usare un nuovo sistema di estrazione tramite le nascenti biotecnologie (batteri che si sviluppavano su un substrato di melasso), Il brevetto era giapponese e quindi si pagarono diritti di brevetto, ma coloro (ancora il gruppo Montesi che aveva uno zuccherificio ad Incoronata (FG)) che progettarono lo stabilimento, anche perchè l'opera era finanziata dalla prodiga Cassa per il Mezzogiorno, non verificarono se il substrato si adattava al processo e purtroppo si verificò che era talmente inadatta la materia prima (bietola) del Sud a ricavare zucchero che anche il melasso aveva componenti diversi che impedivano ai batteri di avere una resa accettabile. La fabbrica durò in vita dal 1965 al 1977, ma usò melasso importato dai paesi centro europei (allora non si parlava di Km zero) solo un po' migliore di quello italiano. Insomma si assistette ad un'altra cattedrale nel deserto come lo furono tutti gli zuccherifici del Sud pagati dalla collettività e poi tutti chiusi.

  • La documentazione di Bressanini mi ha posto di buonumore nelle relazioni famigliari con la consorte . Pensate in casa si cucina in due maniere : la moglie verdurine lesse scondite, zuppette di verdure insipide, niente limone, formaggi, uova, fritti, aceto, vino, birra e via di quel passo . Di insaporitori con glutammato neanche a parlarne, e poi è comparso il lievito del buon Dario ed è crollato il castello . La mia cucina fra lasagne, pesce al forno, parmigiano a gogò ( provengo da una famiglia di allevatori ) ed altri cibi saporiti, anche le verdure mi piace che sappiano di qualcosa . Il nipotino ( 2 anni e 1/2 ) viaggia a parmigiano oltre i 20 mesi e pecorino stagionato , buon sangue non mente .

  • Recentemente ho assaggiato una punta di cucchiaino di Marmite e l'ho trovato davvero disgustoso, non sorprendentemente sapeva di dado concentrato. Immagino che abbiano entrambi un'alta percentuale di lievito.
    Per quanto riguarda i dadi, invece, da anni li trovo sempre meno saporiti. Mentre una volta me ne bastava uno per litro d'acqua per fare il risotto adesso me ne servono due. Ho cambiato varie marche ma il risultato e' sempre lo stesso: nulla assoluto.

  • @ Alberto Guidorzi:

    gli zuccherifici nel nostro sud non hanno avuto successo perché sono state usate specie botaniche pensate per altre latitudini o perché la temperatura è troppo alta ma non abbastanza per impiantare piante tropicali tipo la canna?

  • Alberto Guidorzi 19 novembre 2017 alle 14:23

    Diana

    La bietola al Sud è sparita per due motivi: 1° condizioni pedoclimatiche difficili ( ma non si è tentato fino in fondo di agire sulle leve di un migliore adattamento genetico delle varietà, e questo lo dovevamo fare noi in quanto la bietola in semina autunnale la facevamo solo noi, non si poteva pensare che altri all'estero spendessero soldi per un mercato di 30.000 ettari), 2° gli industriali furono indotti a costruire zuccherifici al sud mediante l'uso di soldi pubblici al 100% e successivamente risolsero le difficoltà solo ricorrendo alla "tetta" statale e ricattando le istituzioni

    La canna si è piantata in Sicilia per opera degli arabi e la dominazione normanna visse di questo commercio, ma allora lo zucchero era una spezia..

    La differenza tra la bietola e la canna sta nel modo di organicare gli zuccheri, in gergo si dice che la bietola è una pianta C3 (adatta ai climi temperati ma a giorno lungo durante la vegetazione), mentre la canna è una pianta C4 adatta ai climi tropicali)

    In altri termini la bietola nel Sud dell'Italia trova giorni più corti, insolazione eccessiva e concomitante insufficienza d'acqua. La canna per contro il clima e latitudini della Sicilia (Puglia è troppo a Nord) sarebbero anche sufficienti (ma solo sufficienti e nulla più), cioè non ottimali, solo che manca totalmente la piovosità. L'irrigazione sarebbe un costo insopportabile.

    Tanto per darti un esempio tre anni fa sono stato chiamato in Marocco (che è pia Sud della Sicilia) per una expertise sulla bietola. Il Marocco coltiva sia la bietola (semina autunnale di varietà primaverili del Nord Francia) che la canna, solo che la mia conclusione è stata che il Marocco è troppo a Sud per fare bene la bietola e troppo a Nord per fare bene la canna. Certo la produzione di zucchero in Marocco permane, ma con grandi sostegni e perchè l'Africa è affamata di zucchero.

    Tutti questi discorsi comunque hanno avuto ragione fino a quando sono arrivati gli effetti della mondializzazione degli scambi in quanto la canna è totalmente vincente sulla bietola. infatti lo zucchero consumato nel mondo era del40% bietola e 60% canna degli anni 50 mentre ora siamoall' 83% canna e 17% bietola. Ciò ti dice che lo zucchero prima strategico per una nazione ora non lo è più perchè il mercato è aperto.

    Diana vedi cosa capita a stuzzicare un vecchio? Non la smette più!

  • Guidorzi, in condizioni ottimali quanto zucchero si ottiene per quintale di canna e di bietola . Gli scarti di lavorazione dell'una e dell'altra come vengono impiegati ? Mi ricordo 25 anni fa a Cuba, i residui della lavorazione della canna chiamati "Cachiaza" ( in italiano - caciaza ) venivano scaricati dove non vedevano, un po' all'italiana . Grazie

  • Gentile Bressanini, mi sembra che lei ogni tanto, parta, lancia in resta, novello don Chisciotte, contro un nuovo mulino a vento.
    Già la sua perorazione dell'olio/grasso di palma sembrava basarsi su dosi di biscotti e merendine, che neppure un bimbo anoressico avrebbe ritenuto soddisfacenti, ora forse tiene conto di dati ufficiali, ma poco vicini ai consumi reali di adolescenti e non solo riguardo a stuzzichini salati e altri alimenti tipici di aperitivi e accompagnamenti, che vanno a sommarsi ai cibi tradizionali da lei citati e spesso a quelli orientali anch'essi molto ricchi di G.
    Quindi tra la demonizzazione di olio di palma e di glutammato e la loro totale assoluzione, che sembra prodromica ad un loro abuso, sembrerebbe meglio usare prudenza, anche tenendo conto che il glutammato è così simile al sale che un cuoco frettoloso può confonderlo con il sale.

  • Alberto Guidorzi 20 novembre 2017 alle 01:24

    Hectror

    La bietola produce più zucchero della canna (canna 60/80 t/ha a 14% di zucchero, bietola 80 t/ha a 16% di zucchero).

    La bietola occorre seminarla ogni anno mente nella canna si interrano pezzi di fusto, e comincia a produrre dopo 1,5/2 anni e lo stesso campo di canna dura per 4/5 anni con raccolte annuali.

    La raccolta dura circa 4 mesi, mentre la bietola un 3 mesi

    gli scarti di produzione di ambedue sono la calce di defecazione che è un ammendante del terreno, le fettucce della radice per la bietola (alimento animale o biomassa energetica) e la bagassa (resti dei fusti spremuti e defogliati) e la cachaza per la canna, infine in ambedue resta del melasso che si distilla o è trasformato in industrie chimiche.

    Ora lo zucchero è anche trasformato in etanolo da autotrazione.

    Solo che la bagassa come quantità è molto grande e contiene ancora zucchero e quindi è quasi tutta usata come biomassa per produrre energia al punto tale che uno zuccherificio di canna da zucchero ha la possibilità di produrre tutta l'energia di cui ha bisogno lo zuccherificio, cosa che nella bietola non capita. Anche la cachaza può essere sfruttata in questo modo.

    Quindi praticamente uno zuccherificio ora non ha residui da discarica, quello che tu hai visto a Cuba è perchè non vi erano ancora i digestori. Tuttavia la "cachaza" se non la si utilizza per produrre energia è pur sempre un ottimo concime organico che apporta anche abbastanza minerali concimanti.

  • Bernardo: vedo che il pregiudizio traspare potente 😁
    I consumi sono quelli che ho detto e sono riportati dal rapporto che linko.
    Ma capisco che ribaltare un pregiudizio culturale è una cosa improba :)

  • Grazie Guidorzi ! Da ragazzo ho seguito, nelle campagne bolognesi, la raccolta delle barbabietole da zucchero ed il loro trasporto, mediante un trenino antidiluviano, per una ferrovia che faceva un anello tra Bologna e Pieve di Cento trasportando di giorno passeggeri e di notte merci e barbabietole, queste ultime destinate allo zuccherificio di Via Zanardi, vicino alla stazione di Bologna . Presi dalla fregola della modernità la littorina ed il treno sono stati aboliti . Adesso i trasporti si fanno su gomma in strade incasinate, attraversando paesi con semafori a non finire in 10 volte più tempo che alla fine anni 40 . Il progresso avanza in retromarcia .

  • Roberto Sciascia 20 novembre 2017 alle 14:32

    Bell'articolo, ma ormai non è una novità quindi sorvolo :-)
    Vorrei far notare che si legge bene anche sui cellulari. Facendo "doppio tap" sul testo il browser ingrandisce l'intera colonna. L'unica cosa che manca sono le immagini in linea.

  • Alberto Guidorzi 20 novembre 2017 alle 15:04

    Hector

    Lo zuccherificio di Via Zanardi era di proprietà di Piaggio ( Società SIIZ) ed ora l'area e parte del fabbricato è la sede delle Poste.

    Il trasporto per ferrovia ha un inconveniente perchè le bietole devono essere mescolate, ma le bietole di un produttore possono essere diverse da quelle di una altro in fatto di contenuto in zucchero e quindi spuntare prezzi diversi. Ecco che allora ogni carico deve essere pesato singolarmente e procedere al prelevamento di un campione rappresentativo e quindi ciò deve essere fatto in contraddittorio. Quindi ad ogni punto di scarico occorreva dislocare un'equipe di ricevimento e ciò presupponeva costi troppo elevati. Ma vi erano anche altri inconvenienti.

  • Salve Alberto, Dario perdonami l’OT,
    proprio a partire dai dati che hai fornito sulla produzione di zucchero e viste le proporzioni che hai dato, sarei curiosa di sapere se la maggior parte dello zucchero bianco comune che si vende nei classici pacchetti di carta in tutti i supermercati è prodotto dalla barbabietola o dalla canna.

    Ho visto ultimamente che è nato una sorta di consorzio italiano che ci tiene a specificare sul pacchetto che lo zucchero è prodotto da barbabietola coltivata in Italia. Questo stesso consorzio inoltre commercializza dello zucchero di canna raffinato e dunque bianco, come quell’altro. Da qui è nata la mia curiosità: vuoi vedere che già zuccheriamo il caffè con zucchero di canna raffinato credendolo di barbabietola?
    Oppure magari finisce tranquillamente nei famosi prodotti da forno, già colpevoli di ogni nefandezza?

    Si tratta, ovviamente, di una mera curiosità, visto che Dario ha già spiegato mille volte qui e altrove che lo zucchero sempre zucchero è e che la scelta dell’uno o dell’altro è una questione di gusti più che di salute. E per questo lo ringrazio ancora una volta.

    Grazie anche a Guidorzi naturalmente, per la sua interessante digressione

  • Sono stato preceduto da Roberto Sciascia :) .... Comunque confermo che su Chrome / Android è possibile abilitare la visualizzazione ottimizzata per dispositivi mobili con il doppio tap. Funziona benissimo ed è la mia modalità abituale quando sono in mobile. Sull'articolo, assolutamente nulla da dire. Come al solito dettagliato e molto interessante

  • Nel vino l'estratto di lievito è usato per dare sapidità. È tutto quello che c'è nelle cellule, tolte le pareti cellulari. Alcune volte le pareti cellulari vengono trattate con beta-glucanasi per liberare mannoproteine che regalano grassezza e, morbidezza ai vini fermi e migliorano il perlage dei frizzanti e spumanti. Io lo uso al posto del dado. Ha una sapidità esplosiva

  • Riguardo ai sali aggiunti, la mia esperienza (condivisa anche da altre persone, restando nell’anneddotica, per quanto credo si possano trovare anche studi in merito) è che si tratti di semplici abitudini, che si possono cambiare facilmente e in tempi piuttosto rapidi (nell’ordine di qualche settimana). L’acqua della pasta senza sale, che fa tanto inorridire molti, è la normalità a casa mia, per me e familiari: scegliendo condimenti già adegutamente saporiti (proprio pomodori, formaggi, acciughe, capperi e altri alimenti già di loro ricchi di sodio e acido glutammico) e riducendo gradualmente il sale aggiunto, il senso del gusto si adegua piuttosto rapidamente, al punto che adesso percepisco nettamente come “inutilmente salati” (e perciò sgradevoli) molti cibi industriali o da ristorante. Discorso analogo per lo zucchero. È molto facile abituarsi a non aver bisogno di tali aggiunte (come è facile assuefarsi ad esse). Sul fatto che sia utile o meno prendersi tale piccolo impegno dipende dalle proprie abitudini, ma la quantità massima di sale giornaliera consigliata dalle RDA è davvero bassa, di solito si supera facilissimamente già solo con un paio di pietanze pronte; difficile rispettare tali indicazioni se non ci si abitua ad evitare il sodio aggiunto...

  • Alberto Guidorzi 21 novembre 2017 alle 00:50

    Cristina

    Il consumo italiano di zucchero è di circa 17 milioni di qujntali e oggi noi ne produciamo solo 4 milioni di quintali. Pertanto più del 75% è di produzione estera.

    Sia dalla Canna che dalla bietola si ottiene zucchero scuro che poi viene raffinato mediante semplici processi di liquefazione e cristallizzazione successive, ottenendo zucchero bianco che non ha nulla di velenoso; Si deve solo eseguire la generale regola di limitare le quantità consumate. Ti faccio anche notare che i consumi sono per il 15% diretti (quello che comprano le famiglie in sacchetti o in bustine) e per l'85% sono indiretti (quello che mangi ma che ha comprato per te il pasticcere, la coca cola ecc. ecc.) Pertanto uno che non zucchera ma che poi si mangia o beve normalmente dolci e bevande dolcificate con zuccheri non può dichiararsi a posto con la "coscienza salutistica".

    Lo zucchero prodotto in Italia fa fatica ad essere concorrenziale sia con quello nord europeo che con quello di canna che ci viene da Brasile ( questo paese produce il 40% di tutto lo zucchero mondiale).

    Quindi per rispondere alla tua domanda lo zucchero che si compra in Italia è per il 25% italiano da bietola e per il 75% di produzione estera: in gran parte è di bietola in quanto già raffinato sul luogo di produzione tedesco o francese e quindi con minori costi di trasporto, ma una parte è anche di canna. Solo che questo ci arriva non raffinato e o semplici raffinerie (ne esiste una a Brindisi) oppure le stesse raffinerie degli zuccherifici italiani raffinano e vendono bianco, ma senza dire che proviene da canna.

    Parlare di zucchero italiano ha senso se lo si compra per far lavorare e far coltivare la bietola dagli italiani, ma non ha nessun senso in fatto di qualità in quanto in un sacchetto di zucchero vi è saccarosio puro al 99,7% sia che sia italiano o francese o brasiliano di canna. La differenza di gusto l'hai solo tra zucchero raffinato e zucchero non raffinato, ma questo vale sia per la bietola che per la canna.

    Gli zuccherifici italiani possono, e lo fanno, lavorare dello zucchero di canna importato e lo vendono come zucchero semplicemente ai loro clienti. D'altronde devi pensare che in uno zuccherificio per almeno 6 mesi all'anno non si sa cosa fare e quindi la raffinazione può essere un'attività di tempi morti.

  • Curiosità: ma il brodo di verdura (vegetale) ha il glutammato? E se sì da dove lo prende? Dai pomodori, mi pare, ma anche da altre verdure?

  • ma allora tutte le storie sul glutammato che causa mal di testa, o che fa comunque male sono bufale?
    allora comincerò a riusare il dado...

  • E non dimentichiamo che la anemia mediterranea dipende da una mutazione per cui nella emoglobina al posto dell'acido glutammico abbiamo la niacina.

  • E già, ieri mi sono dovuto sorbire una concione di una signora che mi ha garantito che il glutammato crea lesioni spaventose al cervello . A chi lo consuma o a chi se ne priva ? Mi ha guardato storto .

  • Luca 20 novembre 2017 alle 22:59

    perfettamente d'accordo
    io ad alcuni cibi, es. le mie verdure crude non aggiungo assolutamente sale- Mi sembra che il sale maschheri il loro buon sapore
    talvolta le verdure al mercato non sanno di nulla, allora il sale dà l'illusione del sapore

  • Dario, ti segnalo un refuso al paragrafo “Nuovi metodi di produzione”: «... a fianco del barattolino del sale si trovata quello di...» credo debba essere «a fianco del barattolino del sale si trovava quello di».

    Non uso il dado, ma ogni tanto se sono di fretta insaporisco il cibo con del glutammato puro che ho trovato in un negozio di prodotti orientali. Per ottenere un effetto sul sapore ho notato che serve una dose superiore rispetto al sale da cucina, ma considerate le differenze tra le due molecole credo che comunque la quantità di sodio fornita dal glutammato sia decisamente inferiore.

  • Antonio, credo che il palato si abitui alla presenza o meno del NaCl . Giorni fa ho preparato pasta e fagioli . Sapendo di una commensale cui non è gradito il cloruro di sodio, ho cucinato tutto senza sale, dai fagioli alla pasta . Mentre mangiavamo la commensale mi ha detto che mi era scappato la mano nel salare . I fagioli erano quelli in scatola . Siamo a livello di dosi omeopatiche ma la signora l'ha percepito .

  • Alberto

    grazie della risposta sullo zucchero! Tempo fa, forse proprio a seguito di un post di Dario, quello sulla fandonia dello zucchero di canna fasullo, mi ero fatta delle domande proprio sulla produzione dello zucchero e avevo trovato risposte parziali, perciò grazie mille!

    A questo punto trovo splendida l’idea del consorzio italiano di cui ti dicevo che si è messo a commercializzare zucchero bianco da canna da zucchero....andrò al supermercato per vedere quanto costa, scommettiamo che costa di più di quello bianco (che tu mi dici potrebbe benissimo essere di canna!) nei sacchetti di carta?

  • Mi scuso per la domanda OT ma ho cercato in 1000 modi possibili sul sito senza risultato, ho cercato di scrivere direttamente a Dario Bressanini dal link il alto a sinistra con la busta, e l'unica cosa che ottengo è l'apertura del browser predefinito.

    La domanda a questa: anni fa c'era stato una lunghissima risposta ad un articolo, su questo blog, di un medico che riportava i dati di un suo personalismo su studio su quanto grasso si perde andando a camminare a passo spedito. Qualcuno gentilmente potrebbe indicarmi il link a tale articolo? Grazie

  • Greg, non mi ricordo. Forse nell'articolo sulle diete iperproteiche?

  • Greg, la trovi come commento all'articolo "Le calorie contano, non le proteine", commento a pag.3 di maria, 4 dicembre 2015. http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/05/28/le-calorie-contano-non-le-proteine/comment-page-3/#comments

  • Grazie Sebastiano, è quello che cercavo!!!
    Purtroppo la ricerca di una parola su questo dominio è una cosa che non esiste proprio (ma Bressanini non è reposnsabile di questo) o forse ha un altro significato Già segnalato il "buco" varie volte e in vari modi negli anni.

    Mi sfugge la ragione, economica senz'altro, per la quale all'editore non conviene che un utente possa rapidamente, e da solo, cercare qualcosa in archivio.

  • Greg, purtroppo all'editore principale (il gruppo, non la rivista) non pare fregare molto dei blog. Sono anni che usiamo un Wordpress preistorico, non è responsive a seconda del dispositivo utilizzato (ormai il 50% del traffico proviene dai cellulari) e anche le mie richieste sono sempre cadute nel vuoto

  • Per la ricerca solo in un sito specifico, con google si puo' specificare il parametro "site:", per es:

    calorie contano site:http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it

  • Più ne so, più ne ho paura.

  • Un'osservazione interrogativa da una lettrice di vecchia data - ricordavo il primo post sul glutammato - che non ha mai commentato.
    "Al neonato servono gli amminoacidi per costruire le sue proteine e il glutammato rende anche più appetibile il latte per il neonato": non sarà forse che, essendo il glutammato necessario all'organismo, la pressione selettiva ha favorito l'apprezzamento del sapore del glutammato? Quindi a me verrebbe da scrivere: "al neonato servono gli amminoacidi per costruire le sue proteine, probabile motivo per cui il neonato ha un gusto innato per il glutammato".
    Naturalmente anche la prima versione è corretta, ma sembra suggerire che il glutammato stia nel latte anche perché ha un buon sapore, mentre invece mi viene da pensare che il "buon sapore" sia una conseguenza piuttosto che una causa.
    Nota a margine: io adoro il glutammato - pomodori secchi, paté di olive, formaggio grana, salsa di soia e ovviamente dado da cucina. Non tutto insieme, magari. ;-)

  • ragazzi, per favore... mi sta venendo un sospetto orrendo, per il quale già da mesi volevo scrivere quivi...
    le acciughe contendono glutammato, i pomodori pure, il parmigiano pure e presumo anche il pecorino... ecco il dubbio, che giro senza indugio al dott.bressanini: ma non è che una cosa 'buona' deve contenere il glutammato, e una non buona no? in altre parole, basta cucinare una schifezza e aggiungere glutammato, e diventa buona? confortatemi!

  • Beh, lo zucchero e il sale sono buoni ma non contengono glutammato :D
    Questo in realtà si ricollega a quanto dice SaraBi: ci sono probabilmente ragioni evolutive per cui ci piacciono sostanze che segnalano la presenza di molecole utili per il nostro corpo (ne ho parlato in un vecchio articolo): il salato per il cloruro di sodio, indispensabile. Il dolce per gli zuccheri e carboidrati: fonte di energia, e il glutammato per le fonti proteiche.

  • Caro Dario,

    Mi piacerebbe sentire la tua opinione riguardo a questa notizia apparsa oggi sulla Stampa:
    http://www.lastampa.it/2017/11/30/scienza/ambiente/il-caso/due-settimane-di-dieta-bio-e-i-pesticidi-nellorganismo-spariscono-OSzyu92EBXDwi54SNEORiM/pagina.html

    In particolare trovo incredibile lo spazio che viene riservato su un quotidiano nazionale ad un "esperimento" (peraltro con chiaro conflitto di interessi) eseguito su ben 4 soggetti.
    Saluti

  • Ma cos’è oggi, hanno istituito la giornata per l’agricoltura biologica il giorno del mio onomastico e nessuno mi ha avvisato? 😃

  • @ Alberto Guidorzi:

    Con imperdonabile ritardo: grazie per la esauriente risposta sulle zone di coltivazione di barbabietola e canna da zucchero!
    Starei ore ad ascoltarla, pardon leggere: ammetto di cercare per primi i suoi interventi, con la funzione ricerca testo 💜

    {propongo la creazione del "Guidorzi fan club"}

  • Fabrizio, Molto di quello che mangi contiene sale o zucchero. Senza non sarebbe così buono ma puoi dire che basta aggiungere sale o zucchero ad una cosa schifosa per renderla buona? Un caffè schifoso con lo zucchero diventa più schifoso ancora. Ma probabilmente è un mio bias, io lo bevo amaro :) .

    Andrea, auguri!

  • co

    ricordo male o devo farli anche a te?

  • A me piace il the, lo bevo senza zucchero per la semplice ragione che il sapore zuccheroso seppellisce gli aromi del the . De gustibus...

  • Amyci, il mio dvbbio però era iI seguente: quando mangiamo qualcosa, che non sia un dolce, e sentiamo un buon sapore che ci intrìga, vuol dire che il piatto è a base di glutammato?NON aggiunto,intendo, ma con ingredienti tipo parmigiano e s ltri, che l 3 dicembre 2017 alle 17:41

    Amyci, il mio dvbbio però era iI seguente: quando mangiamo qualcosa, che non sia un dolce, e sentiamo un buon sapore che ci intrìga, vuol dire che il piatto è a base di glutammato?NON aggiunto,intendo, ma con ingredienti tipo parmigiano e altri, che lo contengono? Datemi una speranza...

  • certo che poi non è tanto difficile postare qualcosa di razionale su questo blog... dai, ritenta :P :P

  • Una frase dell'articolo mi ha incuriosito: «È importante ricordare qui che il cervello di solito si produce il suo glutammato».
    Ora, mia madre aveva una passione per le cervella. Avevo sempre pensato che il motivo principale fosse il sapore grasso, ma l'articolo mi fa chiedere se la quantità di glutammato sia particolarmente alta in questo organo.

  • Alberto Guidorzi 3 dicembre 2017 alle 22:10

    Diana

    Grazie Quello che so ben volentieri lo condivido anche perchè posso verificare se l'ho imparato bene.

  • Scusate, l'ansia me se magna...:-)

  • mikecas, ah ah ah! postare qualcosa di razionale! Sei forte, grazie per i tuoi imperdibbili commenti! ah ah ah!
    :P : D 8)

  • Ok, lo confesso... Rosicchio sempre un angolino di dado prima di tuffarli nell'acqua bollente: sono anche io dadodipendente'! Comunque è vero, almeno per quello di carne: perché il brodino sappia di qualcosa devo raddoppiare la dose.

  • se ne parla assieme ad altre "bufale" nel libro
    The gluten lie di Adam Levinovitz che non credo sia stato ancora tradotto
    grazie ovviamente per il dettagliatissimo articolo

  • Dopo la pasta, un nuovo fronte avverso alle nostre eccellenze alimentari ?
    Quanto ci piace farci del male da soli.
    E meno male che non sanno dei 12g/kg di glutammato ..shhhhh!

    http://www.ilfattoalimentare.it/parmigiano-reggiano-grana-padano-pascolo.html

    Mi scuso se riporto anche qui mio commento, ma a volte avverto una malinconica sensazione di solitudine da non adesione al proselitismo neo-fideistico del culto dell'ORTORESSIA.

    "E no, eh!
    Dopo la pasta, cerchiamo di non demonizzare un’altra eccellenza simbolo dell’agroalimentare italiano: il meraviglioso ed equilibrato Parmigiano Reggiano!
    E’ forse possibile ed auspicabile aumentare le ore di pascolo, ma come ha spiegato bene il lettore esperto Angelo, bisogna tener presente non solo i vantaggi ma anche i rischi di contaminazione microbiologica.
    Contaminazione microbiologica rischiosissima ma, oggi, “trascurata”, mentre prevale di gran lunga un eccesso di diffidenza per la chimica di sintesi, in parte giustificabile con gli eccessi del secolo scorso. Con il progresso tecnologico ci siamo anche fortunatamente dimenticati che virus, batteri e funghi sono stati i principali nemici dell’umanità, ma sono ancora tutti lì, pronti a ghermire una volta “abbassata la guardia” come sta a testimoniare la strage dovuta ai germogli di leguminose di qualche anno fa in Germania
    L’agroalimentare che tira è benessere identitario, paesaggistico, idrogeologico per il territorio e per i suoi abitanti= NOI ITALIANI.
    Pasta e Parmigiano sono protagonisti per loro stessi e, soprattutto, come traino di altre esportazioni che significano ripresa economica e quindi benessere e lavoro anche per i nostri figli.
    Nessuna indulgenza verso le frodi, ma rispetto ed orgoglio per il nostro buon cibo."

  • Concordo sulla necessità di aggiornare il tem Per fortuna

  • Concordo sulla necessità di aggiornare il template del sito a qualcosa di usabile nel terzo millennio. Non ci vorrebbe nemmeno tanto. Per fortuna Chrome su Android si accorge del problema e propone "Make the page mobile-friendly?" Purtroppo il trucco non funziona per la sezione commenti

  • Giona, come ho detto purtroppo io non ho alcuna voce in capitolo. L'ho chiesto più volte ma senza successo :(

  • Boh, io ho Chrome e Android e lo visualizzo bene, non so dire perché

  • Ti chiedo, ma come mai io riconosco distintamente l'odore del brodo di dado?
    E dopo averne riconosciuto l'odore il piatto che mi trovo davanti lo trovo con una sapore standardizzato.
    Così mi sono costretta a un esperimento alla cieca.
    Sono uscita di casa e ho obbligato i miei a preparare un risotto alla milanese in due versioni, brodo di dado e brodo vero - passami il termine - il resto della ricetta era identico, come la procedure.
    Lì ho anche obbligati ad arieggiare casa prima dell'assaggio.
    Bene l'ho beccato subito, prima annusando, ma soprattutto assaggiando.
    Mi ero così convinta che il glutammato fosse il male, simbolo dell'industria e dell'appiattimento dei sapori.
    Poi mi è capitato di vivere per un po' a Duhok, Kurdistan iracheno, dove ho trovato un brodo in polvere, di produzione turca, che si definiva liofilizzato di brodo. Ero molto titubante, anche perché gli ingredienti erano scritti in qualsiasi lingua non conoscessi, ma l'ho dovuto usare. E ho scoperto che era buono. Mi sono fatta tradurre l'etichetta e c'era estratto di malto e di farina di grano, poi il resto che poco conta adesso.
    Mi chiedo quindi, il glutammato è diverso a seconda di come lo si produce?
    Esiste un glutammato di sintesi e non di estrazione?
    Questo cambia l'efficacia della molecola?
    O è solo una questione di quanto è presente nei preparati, indipendentemente dalla sua origine?
    Grazie.

  • beh, ma il glutammato non ha alcun odore, quello e' dovuto al resto delle molecole presenti :)
    E per il sapore, è indipendente dall'origine

  • grazie, sei riuscito a chiarire un mondo sconosciuto che ho sempre detestato.

  • Sul numero di gennaio 2018 de "il Salvagente" c'e' un articolo che parla del glutammato e della sua presunta (per loro) pericolosita', senza uno straccio di fonti se non quelle che girano in rete.
    L'articolo si chiama "Alla larga dal glutammato",
    Non riesco a crederci, hanno persino menzionato Russell Blaylock e la sua dimostrazione del 2007.
    Lei cosa ne pensa di questa rivista ? Uno sbaglio in buona fede ?

  • Il Salvagente non è nuovo a esagerazioni

  • Ah, se in Italia avessimo solo un paio di dozzine di Bressanini!

  • Ciao a tutti, non so se ho mai scritto nei commenti anche se lurko da decenni ;-)
    Temo che non mi legga nessuno, visto che il post è ormai vecchiotto per i tempi di internet. Comunque, avrei una domanda sull'utilizzo del glutammato. E' da un bel po' che sperimento sugli impasti per pizze, torte salate, casatiello napoletano ecc. Annotot tutto, vado avanti di trial and error e utilizzo spesso anche suggerimenti pescati da questo blog - che in ultima analisi mi riducono sia i trial che gli error. Vorrei provare ad aggiungere glutammato all'impasto. Ho comprato la mia bella bustina, ma mi domandavo se qualcuno avesse suggerimenti circa le dosi necessarie ogni 100 grammi di farina. L'idea è appunto quella di esaltare il sapido, senza però esagerare con le dosi. Mi domandavo anche se conviene, una volta aggiunto il glutammato, ridurre anche il sale.
    Qualsiasi consiglio è ben accetto. Altrimenti, continuo di trial and error. Posterò i risultati tra questi commenti, ove mai ci fossero altri sventurati con la stessa curiosità.

  • Alessandro: come *VECCHIOTTO* ??? :D guarda che qui tutti i topic rimangono vivi per sempre, alla faccia di facebook ;)
    Uhm, io proverei a togliere il 50% di sale e sostituirlo con il 30% di glutammato, per iniziare il trial. Poi se è un error lo vedi solo assaggiando :)
    Però, sei sicuro che abbia un senso? che cosa vuoi ottenere?

  • Incredibile! Non solo la discussione è ancora attiva, ma i tempi di risposta sono anche pressocché immediati ;-)

    Cosa voglio ottenere non lo so neanche io di preciso. Voglio vedere se con un po' di umami ottengo soddisfazioni a livello organolettico. Adesso faccio un po' di prove, poi posto i risultati. Non ho scelto un buon momento per introdurre il glutammato, perché nel prossimo impasto introdurrò anche il livieto madre, quindi non sarò in grado di valutare le differenze immediatamente.

  • Dimenticavo la cosa principale: grazie per la risposta!

  • Eh beh perché si la pasta in effetti è la base della cucina italiana...degli ultimi 80 anni, ahimè chissà cosa mangiavano prima?

    E poi si immagino vedere i romani ad usare la polverina magica (gluttammato) formata chimicamente e metterla nel parmiggiano. Già perché in fondo il gluttammato c'è anche in natura, peccato che anche il testosterone c'è lo produciamo noi ma se lo cominciamo ad usare come sale a destra e a sinistra donne e uomini ecco che sorgerebbero i problemi.
    Non c'è una cosa in questo mondo che non sia naturale che poi possa essere sintetizzata o meno chimicamente, ma ciò non significa che sia salutare e, soprattutto non significa che sia salutare ad ogni persona e a qualsiasi quantità.
    Già ma in fondo queste sono solo teorie no?
    Poco importa se poi il Gluttammato ti porta ad ingozzarti di patatine formaggio e carne fino allo sfinimento vero? Tanto l'obesità non ci riguarda in questo mondo... O forse sì?

    La scienza dovrebbe essere al servizio dell'uomo, del benessere fisico/ mentale del'umanita, e non al benessere monetario dei singoli.
    Ma ad ogni modo finisco per dire che nel dado il gluttammato è aggiunto e non solo causato dal residuo stesso.

  • Ma perché i ROMANI dovrebbero mettere le polverine maggiche nel parmigggiano? GIÀ, mica come gli Ammatriciani 'co tutto er pecorrino che se magnano stanno già pensando di cambiare il nome al famoso piatto...glutammatriciana.
    No perché l'uso a destra e sinistra donne e uomini chimicamente non sarebbe salutare al benessere monetario sintetizzarlo per gli obesi che si ingozzano di carne e patatine a causa del parmigggiano aggiunto al residuo dello sfinimento, in teoria.

  • Alberto GUIDORZI 3 luglio 2018 alle 11:08

    Dimitel

    "Eh beh perché si la pasta in effetti è la base della cucina italiana...degli ultimi 80 anni, ahimè chissà cosa mangiavano prima?

    Sai cosa mangiavano prima? Polenta e uscio di casa aperto, sperando che entrasse qualche odore di qualcosa di commestibile da qualche altra cucina...se invece avevano la grande fortuna di avere il pane allora mangiavano "pane e saliva".

    Qualcuno tra l'altro pensa che tutto ciò fosse genuino e bello ed invece non lo era affatto perchè gli olezzi predominavano sui buoni sapori, la polenta era fatta con granoturco avariato e il pane poteva essere ammuffito e sicuramente secondo i canoni moderni "fuori scadenza"...solo la fame era genuina!

  • Pappagallorosa 3 luglio 2018 alle 14:31

    @Zuocunel: Bella Zio!!
    @Alberto Guidorzi: e, qui da noi, patate e castagne, castagne in tutti i modi e tutto l'anno: mia zia, nata nel '40 in un luogo dove poi sono passate la linea gotica e la fame, quella vera, ha ricominciato a mangiare polenta, patate e castagne a 40 anni, tante ne aveva mangiate da bambina!

  • Alberto GUIDORZI 3 luglio 2018 alle 15:15

    Pappagallorosa

    Io e tua zia siamo coetanei e quindi capisco bene cosa abbia significato per lei. Io per fortuna ho solo visto mangiare polenta e pane senza null'altro, pèrchè in casa mia seppure con parsimonia vi era pane e companatico (terre molto più ricche di quelle dell'Appennino) . In più lei essendo sulla linea gotica ha visto la guerra per un periodo ben più lungo, infatti dopo lo sfondamento della linea gotica e la liberazione di Bologna le truppe germaniche si sono incuneate tra Secchia e Panaro sulla direttroce del Brennero ed hanno passato il Po a Sermide-Felonica seppure di corsa in quanto ormai incalzati dalle truppe alleate. Infatti per ricordare questo passaggio mio figli vi ha creato un Museo molto visitato (vedi link). Tra l'altro se ti dovesse interessare visitarlo dimmelo (il numero di cellulare che troverai sul sito è quello di mio figlio).http://www.museofelonica.it/

  • La prima volta che ho incontrato il nostro Alberto è stato proprio in visita al museo del figlio, @Pappagallarosa ti garantisco che merita! È incredibile quanta roba siano riusciti a raccogliere e catalogare, inoltre dietro ogni pezzo c'è una ricerca minuziosa che ha richiesto una marea di tempo...e di passione.
    L'esposizione è molto curata e in continua evoluzione, ma la parte migliore sono le storie dietro ai reperti per chi ha la fortuna di sentirle raccontare dai curatori del museo. :-)

  • @ Dimitei 2 luglio 2018 alle 21:05

    ma precisamente cosa volevi dire col tuo discorso? davvero, non l'ho capito...

  • Pappagallorosa 4 luglio 2018 alle 00:20

    Se mi sarà possibile, ben volentieri!! Il mio rammarico è quello di non aver fatto in tempo a raccogliere le testimonianze dei miei nonni e dei miei prozii sulla seconda guerra mondiale e di ricordare secondo me troppo poco di tutto quello che mi avevano raccontato.
    Ad un certo punto mio zio si era messo in testa di registrare e trascrivere i racconti dei miei prozii (soprattutto del prozio), ultimi rimasti di quella generazione, ma non ha fatto in tempo: di lì a poco se ne sono andati tutti e due.

  • Io credo che il gluttammato puro ottenuto per sintesi di laboratorio e quello derivante da fonti vegetali non siano del tutto uguali riguardo alla sicurezza alimentare.

    Vi è infatti un dettaglio che nell'articolo non viene considerato ma che può essere decisivo: ovvero la struttura levogira e destrogira della molecola.
    In natura le molecole sono comunemente levogire, ma in laboratorio si producono molecole di entrambi i tipi. Alcuni prodotti , come per es. l'arginina, l'acido ascorbico e perfino l' LSD, devono essere composti da molecole lelvogire per essere bio-attivi e privi di tossicità.
    Ciò spiegherebbe la confusione e gli equivoci di questo articolo, per altri versi apprezzabile.

  • Argo, ma.... hai letto quello che ha scritto Dario?

    cito :
    Le circa 3 milioni di tonnellate di glutammato prodotto al mondo nel 2014 derivano ormai solo da processi di fermentazione

    Anche in "laboratorio" i batteri producono glutammato uguale a quello che produciamo noi. La chiralità non c'entra

  • Moira Dellatorre 23 agosto 2018 alle 08:55

    Buongiorno Dario,
    Seguo sempre volentieri i suoi video interessantissimi. Io ho una parente allergica al glutammato. Quando va al ristorante porta sempre la tessera mediica che la identifica come allergica. Spesso il personale cade dalle nuvole perché non sempre sa se il cibo servito contiene o no glutammato. Se lei lo assume, come minimo la pancia si gonfia tantissimo, fatica a respirare, le viene mal di testa e le è già successo di finire all'ospedale, dopo l'asusunzione.
    La sua è da considerare una semplice allergia come la si può avere a qualsiasi sostanza? Oppure il glutammato aggiunto agli alimenti al giorno d'oggi, è stato modificato e può essere davvero nocivo?

    Grazie mille
    Moira

  • Ottimo articolo, come sempre. Riguardo agli effetti sul sistema nervoso, so che il glutammato, avendo una azione eccitatoria, peggiora il tinnitus (o acufene) nelle orecchie. Per questo motivo è necessario sapere il contenuto del glutammato negli alimenti che si consumano giornalmente

  • Virginia Pinkerton 28 aprile 2019 alle 13:40

    Provo rispondere agli ultimi quesiti.
    @Moira Della Torre, nonostante sia passato un po' di tempo dalla domanda e non sono certa che quel scrivo verrà letto... Qualunque tipo di molecola corrisponde ad un insieme ben preciso di atomi legati tra loro in un certo modo: questo vale anche per il glutammato. Il modo in cui questo viene ottenuto è indifferente, si tratta sempre della stessa sostanza. Se la patente è allergica, il problema è da imputare all'allergia.

    @Laura: le fonti? Scrivere che il glutammato ha un'azione eccitatoria è un po' vago, perché potenzialmente potrebbe stimolare qualunque tipo di risposta in un organismo... Può essere che questa informazione sia dubbia? Comunque è un poco difficile conoscere la composizione di tutti gli alimenti, di conseguenza anche la dose precisa di glutammato contenuta in quello che mangiamo.

  • Virginia penso che sia impossibile andare in un ristorante e chiedere l'assenza di glutammato poiché in molti alimenti è presente in modo naturale come ben spiegato da Dario
    Anch'io pensavo che fosse una sostanza nociva, ma dopo questo articolo lo uso in luogo dei dadi per insaporire i cibi togliendo così quel retrogusto che essi lasciano

  • Virginia Pinkerton 29 aprile 2019 alle 00:10

    Fabio, forse non ho capito... Metti in dubbio che questo tipo di allergia possa esistere? Che il glutammato sia presente in moltissimi cibi si, l'ho anche scritto io. Credo sia normalmente quantificabile nelle pietanze cui lo abbiamo aggiunto, stop.

  • Beh! Vi, tutto può essere, ma il fatto che l'ac glutammico ( di cui il "glutammato" è solitamente sale sodico) sia uno degli aminoacidi più diffusi e praticamente ubiquitario nelle proteine rende "complicato" sostenere una eventuale "allergia". Quasi qualunque ( e il quasi è un omaggio a Descartes in questo contesto) proteina idrolizzata nello stomaco "rilascia" ac. glutammico e quasi qualunque cibo proteico ne contiene almeno qualche molecola :)

  • Virginia Pinkerton 29 aprile 2019 alle 15:51

    Coletti, mi pare strano che si sostenga che è stato rilasciato un tesserino per allergia: chi è davvero incompetente a questo punto? Comunque non si può leggere di molecole potenziate per essere più nocive: più che di chimica qua si parla di alchimia! C'è tantissima ossessività dietro certe idee complottiste...

  • Certo Vi, diciamo che una molecola di una sostanza, modificata, diventa una molecola... di un'altra sostanza. C'è in effetti la possibilità teorica di una differente chiralità, ma come ha detto Dario più sopra non è cosa che riguardi oggi il glutammato. Per le competenze relative al tesserino mi viene in mente "La patente" di Pirandello... :)

  • Virginia, lungi da me affermare nella mia ignoranza che non esista l'allergia al glutammato, presupponevo che essendoci in modo naturale negli alimenti anche questa desse le stesse problematiche, mi ricorda molto persone alle quali solo nominarlo ti montano una filippica interminabile, però poi vanno a mangiare il sushi con la salsa di soia

  • Virginia Pinkerton 21 giugno 2019 alle 14:38

    Fabio, non preoccuparti, mi hai legittimamente fatto sorgere un dubbio, come Coletti del resto... Effettivamente il glutammato è contenuto in tanti cibi, quindi si può davvero parlare di allergia al glutammato? Che sia un problema complesso tipo allergia al nichel? Io non so rispondere in questo caso.

  • Non esiste una allergia al glutammato: è il sale di un amminoacido che ci produciamo anche noi. L'allergia al Nickel esiste ma è SOLO DA CONTATTO. Non ha alcun senso ridurre i cibi contenenti nickel (anche se so che molti lo consigliano)

  • Virginia Pinkerton 21 giugno 2019 alle 17:19

    Si, il glutammato di sodio è il sale dell'acido glutammico. Non ho ragionato a sufficienza e ci son cascata come un pollo... 😂 Grazie anche per la precisazione sul nichel: io ho sempre fatto attenzione ad alcuni tipi di gioielli, che in passato mi hanno dato appunto allergia, ma non ho indagato sui cibi. Mi confermi solo che sono precauzioni non necessarie.

  • @ Dario
    ma quali sono le percentuali di glutammato aggiunto dall'industria alimentare?
    O perlomeno quali sono le percentuali in Italia?

  • non riesco a trovare la quantita di glutammato nella salsa di soia, qualche d'uno ne è a conoscienza?

  • Ciao Dario, cosa ci puoi dire sul fatto che il consumo di carne aumenterebbe la resistenza agli antibiotici dato che agli animali vengono somministrati? E' vero che il mangiando la carne anche noi assimiliamo l'antibiotico?

  • Rudi, dai controlli veterinari fatti lungo la filiera produttiva si sta assistendo a una diminuzione dell'uso di antibiotici, se cerchi in rete i dati degli istituti zooprofilattici e delle agenzie del farmaco troverai conferma di questo andamento negli ultimi 15-20 anni.
    Nei macelli e in molti stabilimenti di lavorazione di prodotti animali si eseguono anche i test sui residui, con ottimi risultati nel senso che ci sono sempre meno residui anche nella carne (avevo visto tempo fa una statistica del 2017 che dava oltre il 97% dei campioni regolari, quelli irregolari ovviamente non entrano nella trasformazione ad uso alimentare umano).
    Considera, inoltre, che alcuni eventuali residui vengono distrutti dalla cottura ...
    Se hai qualche giorno di pazienza (e se non lo fa qualcuno prima di me) ti posto alcuni link.