martedì 21 novembre 2017
Una «profezia» che unisce terra e cielo. La vocazione di suor Brigida, 31 anni, arrivata a Napoli dall'Indonesia: «Sono felice di essere tutta di Dio»
Alcune religiose che hanno abbracciato la clausura Oggi la Chiesa celebra la Giornata a loro dedicata, quella pro orantibus (Siciliani)

Alcune religiose che hanno abbracciato la clausura Oggi la Chiesa celebra la Giornata a loro dedicata, quella pro orantibus (Siciliani)

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Era il 1953 quando papa Pio XII volle la Giornata pro orantibus. È la giornata dedicata alle comunità di clausura sparse in tutto il mondo, un’occasione per sostenere quanti hanno abbracciato la vita contemplativa e hanno fatto della preghiera la propria missione. L’appuntamento si celebra oggi, memoria liturgica della Presentazione di Maria al Tempio, perché nell’offerta radicale della Vergine al Signore si riconosce pienamente l’ideale della vita consacrata.

Suor Brigida, dall'Indonesia a Napoli

«Sono felice di essere tutta di Dio», esclama radiosa suor Brigida della Sacra Famiglia, 31 anni, che da poco ha fatto la professione perpetua nel monastero delle Passioniste di Napoli. «Con il cuore colmo di gioia – racconta –, elevo il mio inno di ringraziamento alla Santissima Trinità, che mi ha dato questo dono meraviglioso della vocazione. Il Signore mi ha amata per primo e mi ha chiamata a vivere più intimamente con Lui nella vita di preghiera e di contemplazione del suo amore immenso per il mondo e per gli uomini. Sono felice di seguire passo dopo passo Gesù, mio maestro e mio sposo. Sono cosciente della mia debolezza, ma confido nella fortezza della sua misericordia. Credo che la sua misericordia è più grande dei miei peccati e che Lui mi ha scelta non per la mia bravura ma solo per la sua misericordia».

Suor Brigida è un fiore trapiantato in Italia dall’Indonesia, sua terra natia. Studentessa brillante, durante gli anni del liceo conosce la comunità passionista di Maumere, nell’isola di Flores. A vent’anni entra in monastero. I genitori avrebbero preferito l’ingresso in una congregazione di suore di vita attiva, per avere maggiori possibilità di continuare a frequentare la loro unica figlia, ma lei sente con forza il fascino del carisma passionista e sceglie la clausura. Dopo un periodo passato nel monastero indonesiano, suor Brigida accetta di venire in Italia. Mentre vive la sua consacrazione nel convento di Napoli, esplodono i sintomi di una grave patologia renale, ma questo non spegne il sorriso della giovane religiosa che affronta con coraggio una lunga degenza all’ospedale Cardarelli, assistita dalle consorelle e dall’équipe medica. La malattia ha i suoi alti e bassi, ma il giorno della professione perpetua è senza nubi.

«Sì, mi sono accorta che il mio cammino è lungo – commenta suor Brigida – ma sono certa che il Signore è con me tutti i giorni della mia vita. Mi incantano le parole della Scrittura, tratte dal libro del profeta Isaia: “Tu sei preziosa ai miei occhi e io ti amo”. Il Signore non mi lascerà mai, perché sono preziosa ai suoi occhi, e mi ama veramente. Mi ama con amore misericordioso. E alla sua misericordia affido tutta la mia esistenza. Desidero essere come un parafulmine per il mondo tramite l’orazione continua e voglio ricambiare con tutto il cuore l’amore ardente di Gesù Crocifisso. Nella preghiera ricordo i miei genitori e i parenti che sono lontani, in Indonesia, e che mi hanno donata alla congregazione; prego per tutta la mia famiglia passionista, con tanta gratitudine per il bene e la luce che mi ha dato per farmi crescere nella virtù e nell’amore di Dio e del prossimo; prego per tutti coloro che mi sono stati vicini durante il mio ricovero all’ospedale, per il mio padrino e la mia madrina italiani che mi hanno aiutata e mi hanno accolta come una figlia. In particolare ricordo al Signore le giovani che si sentono chiamate alla vita religiosa. A ciascuna di loro vorrei dire: non temere di darti al Signore, non perdere tempo con gli indugi, perché nulla è più dolce dell’amore di Gesù».

Suor Luisa: «Anche la malattia è amore»

Suor Luisa Odifreddi, visitandina di Pinerolo, è come la candela dell’altare: arde perennemente, e più si consuma più dona luce. Ha 79 anni ed è segnata da una dura malattia. In ogni incontro condivide con l’interlocutore ciò che ha nel cuore: la sua passione per Dio, un amore imparato fin da bambina, sulle ginocchia della mamma. Il morbo di Sjogren che l’ha colpita nel 2000 non ha incrinato la sua fede. Suor Luisa è ben cosciente della prognosi del suo male (una sindrome che danneggia il sistema immunitario): prima di entrare in monastero, è stata per diversi anni religiosa fra le Suore di Carità di Santa Giovanna Antida, dove divenne capoinfermiera e guida delle infermiere in formazione.

Suor Luisa, che cosa pensa del mistero della sofferenza?

Penso che tutto è amore. Proprio questi anni di malattia mi hanno portata ad avere la certezza che Dio è amore e che ogni prova è un dono dell’immenso amore con cui Dio mi ha creata, dell’amore con cui mi ha chiamata e del crescendo di amore con cui mi accompagna ogni giorno. Mi sostengono la Parola di Dio, l’Eucarestia quotidiana e alcuni sprazzi di luce che Dio mi dona, come l’esempio di un giovane sacerdote, rimasto totalmente paralizzato e che poteva comunicare solo con la punta di un dito. Le sue ultime parola alla mamma furono: «Quando guardo il Crocifisso e leggo la scritta Inri, penso: “Io non ritorno indietro”». E anch’io, con l’aiuto della grazia di Dio, ripeto: «Io non ritorno indietro ». Perché sono felice di abbandonarmi alla volontà del Padre.

Quale sarà lo sviluppo della malattia?

È una malattia di cui tanti aspetti restano ignoti. Mi metto davanti al mio Crocifisso, penso alle sofferenze di Gesù e gli dico che voglio stargli vicina, anche sul Calvario. Maria è stata vicina a Gesù in croce ed è vicina con infinita tenerezza ad ogni sofferente. Mi piace pregare il Rosario, dirlo più volte ogni giorno. La Madonna è mamma! Ricordo con tanta riconoscenza mia mamma, mi sento risuonare nel cuore le sue parole. Penso di avere questa pace nel cuore, grazie all’intercessione materna di Maria e all’amore di mia mamma che mi ha cresciuta per Dio e ora certo prega per me dal cielo.

E la morte?

La morte è entrare nella vita, è abbandonarsi all’amore, fra le braccia di Dio. Ciò che separa le persone è solo la mancanza di amore. Eppure, anche quando ci sono delle sofferenze morali, quale grande grazia ci viene data. Allora, con l’aiuto di Dio, è il momento di pregare, soffrire, togliere la “s” alla parola “soffrire' e vivere la parola “offrire”. E perdonare, pregando per chi ci ferisce. È Dio che ci mette nel cuore questo fuoco d’amore e ci fa capire che tutto è grazia.

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