Le donne di Guido Argentini

Los Angeles

Guido Argentini è un fotografo italiano classe 1966, vive a Los Angeles dagli anni ’90 e collabora da sempre con riviste internazionali come Vogue, Marie Claire, GQ, Playboy, Amica. Nella sua opera la rappresentazione del nudo femminile è in continuo mutamento, da forma estetica a soggetto erotico e carnale, per culminare nella perfezione scultorea e ultraterrena. Un percorso simbolico incentrato sulla donna come divinità.

A ventitré anni hai lasciato la facoltà di Medicina a Firenze scegliendo di inseguire il sogno di diventare un fotografo. Cosa avevano in comune questi due percorsi, per te? «La passione è da sempre ciò che accomuna la mie scelte. Io cerco di fare tutto con passione, qualunque cosa decida di fare».

Come nascono le tue fantasie voyeuristiche? «Alcune volte nascono nella mia mente prima di un servizio, altre volte sono suggerite dall’ambiente o dalla donna che fotografo e accadono senza essere premeditate».

Hai dichiarato di voler ”restituire alla donna il ruolo di divinità che l’uomo le ha rubato negli anni”: cosa è successo, secondo te? «Le donne sono sempre state superiori agli uomini, poiché possono creare la vita. L’unico modo per controllarne il potere era quello di estrometterle dai ruoli di potere, governo e religione. Oggi viviamo in un mondo controllato dagli uomini e dai principi maschili, per questo andiamo alla deriva».

Con Argentum, serie fotografica che è anche diventata un film, hai messo in relazione la solidità della scultura e l’energia della danza, ricoprendo i corpi di vernice in un atto di astrazione estrema. La tua rappresentazione della sensualità ha compiuto così un salto decisivo, andando verso l’astrazione e allontanandosi dalla carnalità e dall’erotismo dei lavori precedenti. Spiegaci questa evoluzione. «Non è un’evoluzione e neppure una involuzione, è solo un approccio diverso all’ universo femminile, uno sguardo da una prospettiva diversa. Il mio primo libro Silvereye (2001) è basato sulla donna come forma. Il volto non si vede quasi mai e quando si vede, non ha un ruolo predominante. Nei libri successivi il volto è diventato importante. La sensualità è nello sguardo, non nel corpo e nelle sue forme. L’erotismo è negli occhi non in un seno nudo. In Private Rooms (2005) e in Reflections (2007) lo sguardo è diventato l’elemento predominante. Le donne in queste foto hanno un corpo, ma hanno anche occhi che guardano nell’obiettivo oppure guardano qualcun altro, ma guardano sempre. Sono oggetti erotici (dove eros=amore), mentre le donne in Silvereye e in Argentum sono delle forme esteticamente perfette e quasi asessuate. In molte delle fotografie di Shades of a woman (2010) lo sguardo non ha più il ruolo di attrarre l’attenzione di un uomo o il suo desiderio, ma più quello di raccontare delle emozioni. Emozioni interiori. Sono delle mini-storie raccontate in un solo fotogramma, quello che è accaduto prima e quello che verrà dopo è lasciato totalmente alla fantasia di chi guarda».

Dal 1990 vivi a Los Angeles e nonostante le numerose mostre in tutto il mondo, hai esposto in Italia solo una volta, nel 2009,. Scelta o casualità? «Purtroppo, credo che in Italia non si apprezzi molto il mio lavoro e la fotografia in generale».

Info: www.guidoargentini.com