Una previsione probabilistica per le sequenze di terremoti

di Folco Claudi
© Alessandro Serrano / AGF 
In presenza di sequenze di scosse sismiche, è possibile fornire una stima della probabilità che in un certo luogo si verifichi una forte scossa successivamente. Lo dimostra un nuovo sistema pilota progettato dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, le cui stime sono risultate in buon accordo con i dati sperimentali registrati durante la sequenza Amatrice-Norcia che ha colpito il centro Italia lo scorso anno
I terremoti si possono prevedere? È questa una delle questioni più pressanti per le politiche di gestione del rischio sismico, soprattutto in un paese come l'Italia in cui questo rischio è elevato in una buona porzione del territorio. Se si dovesse dare una risposta secca, sarebbe un deciso no: i terremoti possono verificarsi in qualunque momento senza avvisaglie. Bisogna però anche sottolineare che sono stati fatti enormi passi avanti negli studi che cercano di stabilire regolarità statistiche su come evolvono le sequenze sismiche, e di conseguenza su come cambia la probabilità, nel tempo e nello spazio, dopo che una scossa si è già verificata.
 
In questa direzione va un progetto pilota dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV)  chiamato sistema OEF_Italy (Operational earthquake forecasting in Italy), descritto sulle pagine di “Science Advances”, in un articolo firmato da Warner Marzocchi, Matteo Taroni e Giuseppe Falcone dell'INGV di Roma. L'OEF_Italy supera alcune limitazioni tipiche dei sistemi di previsione probabilistica fin qui elaborati e ha dato buoni risultati anche durante l'ultima sequenza sismica italiana di una certa importanza, quella di Amatrice-Norcia, dotata di caratteristiche atipiche.
 
La scuola elementare "Romolo Caprarica" di Amatrice dopo il terremoto del 26 agosto 2016. (Credit: Alessandro Serrano/AGF)
Il 24 agosto 2016 il territorio del comune di Amatrice è stato da un sisma di magnitudo 6 che ha causato gravi danni e circa 300 vittime. Quell'evento non era stato preceduto da alcun incremento dell'attività sismica ed era stato poi seguito da una sequenza di scosse molto complessa, anche e soprattutto nella sua distribuzione spaziale, con circa 50.000 scosse complessive.

Solo due mesi più tardi, infatti, due scosse molto potenti sono avvenute nei territori più a nord di Amatrice, quelle di magnitudo 5,9 e 6,5 che hanno colpito Visso e Norcia il 26 ottobre e il 30 ottobre, rispettivamente, rinvigorendo la sequenza sismica. Successivamente un altro incremento importante di sismicità è stato osservato a gennaio dell'anno successivo vicino alla diga di Campotosto, a sud di Amatrice.
 
Si tratta di un comportamento che si discosta alquanto da quello tipico che prevede una scossa principale molto intensa (mainshock) seguita da molte altre scosse successive più piccole (aftershock), che possono essere descritte dal modello previsionale più accettato dai sismologi, quello di Reasenberg e Jones. Quest'ultimo sistema però non può prevedere sequenze complesse come quella del centro Italia dello scorso anno, e non include informazioni geografiche, come invece fa l'OEF_Italy, che quindi potrebbe rivelarsi molto utile nella gestione del rischio, a patto di capire esattamente le sue potenzialità.
 
“Vorrei prima di tutto sottolineare che questo non è un sistema di previsione dei terremoti nel senso comune: i terremoti più intensi possono avvenire senza che vi sia una sequenza sismica precedente: questo è uno strumento utile quando una sequenza sismica già c'è, perché fornisce una stima di come cambia la probabilità che si verifichino grandi terremoti”, ha spiegato Marzocchi a “Le Scienze”. “Esso si applica sia nel caso in cui la sequenza è generata da un grande terremoto, come nel caso di Amatrice, sia quando la sequenza non è caratterizzata da un grande terremoto, come molte delle sequenze sismiche in Italia; si è visto che questa probabilità aumenta, e anche di molto: può crescere 100 o anche 1000 volte rispetto a una situazione in cui non c'è una sequenza sismica”.
 
Di solito la validità di modelli di questo tipo viene verificata con dati del passato. Invece in questo caso si è potuto fare un confronto sperimentale “in tempo reale” sulla base dei dati raccolti durante la sequenza sismica di Amatrice-Norcia. Risultato: il numero di scosse di magnitudo maggiore di quattro, in tutta la sequenza, e la loro distribuzione spaziale erano compatibili con le stime probabilistiche fornite dal modello.
 
Il centro di Norcia dopo il terremoto del 30 ottobre 2016. (Credit: Antonio Masiello/AGF)
“Finora si riteneva che questi modelli probabilistici potessero funzionare solo con il caso tipico in cui c'è una scossa forte e poi una sequenza di scosse che tendono a calare con il trascorrere del tempo, sia in termini di magnitudo sia come numero di eventi”, ha proseguito Marzocchi. “In realtà, possiamo seguire bene anche sequenze complesse come quella di Amatrice-Norcia, con picchi d'intensità importanti”.
 
A questo punto però rimane sul tappeto il problema comunicativo, lo stesso che si ripresenta ogni volta che si formulano previsioni in termini probabilistici.
 
“Che cosa vuol dire che una scossa di una certa magnitudo ha una probabilità di verificarsi di uno su 50? Che se ci mettiamo nelle stesse condizioni 50 volte, in media una volta avremo un evento di quel tipo”, ha aggiunto Marzocchi. “Nel nostro caso, la faccenda si complica perché solitamente ci sono basse probabilità che si verifichino eventi di grande impatto, ma pochi punti percentuali possono essere molto significativi se le conseguenze eventuali sono gravi: se ci fosse una probabilità solo dell'1 per cento di avere un incidente aereo non volerebbe più nessuno... Tornando al caso dei terremoti, è utile ricordare anche che tali probabilità di pochi percento sono 100-1000 volte superiore rispetto alle condizioni normali, quando non c'è una sequenza”.
 
Ma quale potrebbe essere l'utilità pratica di previsioni probabilistiche di questo tipo? Come comunicarle al grande pubblico?
 
“È un grande problema, ma ci sono alcuni punti fermi: con probabilità così basse, certo non si può pensare a evacuazioni di centri abitati, ma i risvolti possono essere molti”, ha risposto Marzocchi. “Il primo è di natura educativa, nel lungo termine: una volta che sono stati informati sul rischio, gli abitanti dei luoghi interessati potrebbero iniziare a considerare se la casa in cui vivono, o lavorano, è sicura, un turista potrebbe cambiare programmi per le vacanze, un ospedale spostare un intervento chirurgico particolarmente delicato, una fabbrica sospendere la produzione... senza dimenticare le squadre di soccorso, che potrebbero ridurre i rischi sapendo che dopo una scossa forte è probabile che ce ne possa essere un'altra”.

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