Scelgono principalmente i settori linguistico, di architettura, politico-sociale, economico-statistico e ingegneristico. Si laureano in media con un po’ di ritardo rispetto ai colleghi italiani (27 anni e mezzo invece di 26) e con un voto inferiore di 5 punti (98 invece di 102,9). Una volta conseguito il titolo, però, tanti tornano all’estero, spesso nel Paese d’origine, strappando, rispetto agli italiani, contratti di lavoro più duraturi, remunerativi e in minor tempo.

È la carta d’identità - compilata da consorzio interuniversitario AlmaLaurea - degli studenti stranieri che scelgono l’Italia per l’università.

27,4 è l’età media in cui si laureano i giovani con cittadinanza straniera in Italia

Una popolazione in continuo aumento dal 2004 - anno del sorpasso fra italiani in uscita e stranieri in entrata - e che nell’ultimo decennio ha registrato il grande balzo in avanti dei cinesi, che nel 2006 erano l’1% degli stranieri e oggi sono il 9,2 %. In crescita anche il resto dell’Asia e dell’Oceania (dal 9 al 24,3%, di cui il 3,3% dall’Iran) e l’Africa (dall’8 al 14,3%), mentre l’Europa continua a rappresentare la fetta maggiore (52,1%), soprattutto Albania (12,9%) e Romania (11,2%)

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Il confronto

L’aumento degli studenti stranieri - che oggi rappresentano il 3,5% del totale dei laureati (erano il 2,6% del 2007) - posiziona l’Italia sull’ottavo gradino della graduatoria Ocse sull’attrattività del sistema universitario. Su 100 studenti che scelgono l’estero per studiare, infatti, il podio va a Stati Uniti (26,3%), Regno Unito (15%) e Francia (10,5%). Seguono Germania (9,8%), Australia (8,3%), Giappone (2,9%), Canada (2,7%) e Italia (2,6%). Se però all’estero vengono considerati studenti internazionali i giovani che si spostano appositamente per l’università, in Italia vengono calcolati tutti i ragazzi con cittadinanza straniera. E allora è interessante sottolineare che è quasi raddoppiato il numero di studenti che risultano non italiani ma provengono da famiglie residenti in Italia e hanno già fatto qui le superiori (dal 28,1% del 2011 al 42,9% di oggi).

I miglioramenti

«L’attrattività del sistema universitario italiano è cresciuta nel tempo - commenta il professor Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea ed ex rettore dell’Università di Bologna - ma non bisogna certo suonare le campane a festa. Quasi la metà dei 9.532 laureati stranieri è in realtà figlio di immigrati, è la seconda generazione che vive già qui. Se si considera solo chi si è davvero trasferito per l’università la quota dal 3,5% scende al 2%».

57,3% è la quota di studenti internazionali che ha usufruito di una borsa di studio

Molti, poi, dopo la laurea cercano lavoro all’estero. «A 5 anni dal titolo - spiegano dal Consorzio - tra i laureati magistrali venuti nel nostro Paese dopo il diploma, quasi la metà lavora qui, mentre il restante 50% va all’estero, spesso, soprattutto tedeschi, svizzeri e francesi, nel Paese d’origine». Una percentuale, quella di chi si sposta oltre confine per lavoro, che tra i laureati italiani scende al 7%.

Dionigi chiama in causa «politici e industriali, che devono intervenire per invertire la rotta. Sentiamo spesso le imprese lamentarsi perché mancano ingegneri, peccato che non si dica l’altra metà della verità. E cioè che gli ingegneri qui sono pagati meno che all’estero, e quindi c’è chi sceglie di espatriare».

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L’Italia è all’ottavo posto nel mondo per attrattività del sistema universitario anche grazie all’aumento dei corsi magistrali in inglese, il 12,1% del totale (279 su 2.313, dati Miur). «I corsi in lingua sono uno dei motivi - osserva Dionigi - ma anche il reclutamento di docenti internazionali, una maggiore attenzione ai servizi e le borse di studio, di cui usufruisce il 57,3% degli stranieri contro il 21,7% degli italiani».

La scelta

Ma quali atenei scelgono? In netta maggioranza quelli del Centro-Nord, con in testa Perugia Stranieri (27,6%), Scienze gastronomiche a Bra (14,6%), Bolzano (14,1%), Politecnico di Torino (11,1%) e Camerino (10,4%). E se gli universitari stranieri tra i laureati sono il 3,5% del totale, quando si passa al dottorato il numero - anche se tratto da un censimento fra pochi atenei - sale al 13,7%. «Una buona notizia - conclude il presidente di AlmaLaurea - che non deve farci sedere ma spingerci a migliorare davvero, rendendo strutturale e non incrementale questa tendenza».

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