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  • Domenica 25 febbraio 2018

Smettere di respirare

Storie, tecniche e segreti di quelli che lo fanno per sport, gli apneisti: anche per dieci minuti consecutivi

(SEBASTIEN BOZON/AFP/Getty Images)
(SEBASTIEN BOZON/AFP/Getty Images)

Ci sono molti modi con cui gli esseri umani provano a misurare i loro limiti. L’apnea è uno dei più semplici – basta non respirare – ma estremi: perché l’ossigeno è indispensabile per il corpo umano. Alex Hutchinson, autore di Endure: Mind, Body, and the Curiously Elastic Limits of Human Performance, ha scritto sul New Yorker che l’apnea è quindi un «utile laboratorio dei limiti umani, perché dimostra le differenze di significato tra non riuscire e non potere». Così come per molti altri limiti umani, anche nel caso dell’apnea ci sono stati progressi: ma anche per l’apnea si è arrivati al punto in cui ci si chiede quanto ancora avanti ci si possa spingere e cosa comporti per il corpo umano.

Le basi
Le associazioni internazionali che gestiscono e regolano le gare di apnea sono due: la CMAS – la Confederazione mondiale delle attività subacquee – e soprattutto l’AIDA, Associazione internazionale per lo sviluppo dell’apnea. Entrambe hanno le loro regole, le loro discipline e i loro record. Le principali discipline dell’apnea sono otto: tre si fanno in piscina, cinque all’aperto. La prima cosa da sapere è che nella maggior parte dei casi – non tutti – i record dell’apnea non si misurano sulla base del tempo trascorso senza respirare, ma della profondità raggiunta in acqua senza respirare. Le discipline di apnea all’aperto sono: immersioni in apnea in assetto costante (cioè senza zavorre per scendere più in fretta) con o senza pinne; immersione libera (come l’assetto costante, ma con alcune differenze nel modo in cui si scende), immersione in assetto variabile (con zavorra) e no limits (in cui non ci sono limiti di peso per la zavorra).

Questi record, per l’appunto, si misurano in metri di profondità: il record per immersioni in assetto costante senza pinne è di 102 metri, quello per l’apnea no limits è di 214 metri. Nelle piscine ci sono invece l’apnea dinamica, con e senza pinne, e l’apnea statica. Nell’apnea dinamica si misurano i metri orizzontali nuotati in apnea da una persona: il record senza pinne è di 244 metri.

La disciplina più semplice e a suo modo crudele è però l’apnea statica: toglie tutte le variabili delle altre discipline e si potrebbe fare – MA NON FATELO – pure in una vasca da bagno. Le regole sono semplici: si sta fermi poco sotto la superficie dell’acqua e si trattiene il fiato. Il record AIDA di apnea statica, fatto nel 2009 dal francese Stéphane Mifsud, è di 11 minuti e 35 secondi.

Perché in acqua?
Le gare di apnea statica si fanno in acqua per due motivi: il primo, banale, è che così è impossibile barare. Il secondo è che in acqua ci riesce più facile non respirare. La base scientifica di questa certezza arriva da un macabro esperimento fatto nell’Ottocento dal fisiologo francese Charles Richet, che prese delle anatre e tolse loro la possibilità di respirare, cronometrando il tempo che ci mettevano a morire: all’aperto sette minuti, in media; in acqua, circa 23 minuti. Altri esperimenti successivi, più accurati e meno crudeli, hanno confermato che è così. Esiste per molti esseri viventi, umani compresi, il riflesso di immersione: l’acqua fa partire una serie di risposte automatiche che dicono al corpo di rilassarsi, mettersi in risparmio energetico e conservare ossigeno, sia mai che bisognerà passare alcuni minuti senza aria. Hutchinson ha scritto sul New Yorker che, secondo alcuni scienziati, è il motivo per cui un getto d’acqua fredda in faccia aiuta a “calmarsi”.

«Il segreto è sapersi rilassare»
La condizione di partenza per trattenere il fiato è essere un buon atleta (ovviamente con un’ottima capacità polmonare, per fare più scorte possibili) e sapersi controllare e rilassare. Gli esperti dicono che anche persone normali, con le giuste tecniche, possono riuscire a trattenere il fiato per tre o quattro minuti. Nel 2014 l’istruttore apneista Kirk Krack disse al Wall Street Journal di essere in grado in un solo giorno di insegnare alla maggior parte delle persone a trattenere il respiro per almeno quattro minuti. E aggiunse che, anche dopo quattro minuti, il limite è mentale, più che fisico. «Il segreto è sapersi rilassare. Se potessi entrare nella testa delle persone, potrei farle arrivare a sei minuti di apnea o 60 metri sott’acqua».

Cosa succede a un corpo senza ossigeno?
A complicare i tentativi di rilassarsi, c’è il fatto che il corpo umano non è fatto per stare senza ossigeno. Mentre si è in apnea sott’acqua, si va in ipossia: quella situazione in cui la carenza di ossigeno crea diversi e gravi problemi al corpo e ai suoi organi. Insieme ai problemi dell’ipossia, ci sono poi quelli dell’ipercapnia, l’altrettanto grave aumento di anidride carbonica nel sangue frutto dell’assenza di respiro: è una condizione che, tra le altre, cose, causa spasmi muscolari. Una persona normale cede all’apnea e riemerge per respirare a causa della troppa anidride carbonica nel suo corpo, ancora prima che per il poco ossigeno.

In casi estremi si va in sincope, cioè si perde conoscenza: a quel punto serve ossigeno molto in fretta, altrimenti si incorre in danni cerebrali permanenti o si muore. Anthony Bain è un ricercatore della University of British Columbia che si è occupato della fisiologia degli apneisti, ha detto che è piuttosto facile per un apneista resistere senza fiato fino a svenire. Succede perché, semplicemente, gli apneisti spingono fino al massimo i loro limiti fisici.

Cosa succede a un apneista in apnea
L’apneista Brandon Hendrickson – detentore del record statunitense di apnea statica – ha raccontanto ad Hutchinson cosa succede a un corpo in apnea. Nel caso di Hendrickson, dopo circa quattro minuti inizia la fase di “lotta”, quella che per le persone normali può iniziare anche dopo un minuto. È il momento in cui il corpo si rende conto di essere in una situazione sbagliata, perché sente salire i livelli di anidride carbonica e inizia ad avere fame d’aria. È il momento dei “movimenti respiratori involontari”, noti in inglese con la sigla IBM: è quando il corpo vorrebbe far di tutto per respirare e la testa degli apneisti deve imparare a fregarsene e andare oltre. Anche perché, come ha scritto Hutchinson, «la fase di “lotta” è solo l’inizio. Bisogna poi controllare gli spasmi e cercare di passare in rassegna tutti i propri muscoli, dalla testa all’alluce, per controllare che siano rilassati». Tutto questo senza pensare a quanto tempo è passato o deve ancora passare. Gli unici segni sul tempo che passa sono le pacche che di tanto in tanto l’apneista riceve sulla spalla, per esempio al passare di cinque minuti.

In questo video si vede Hendrickson uscire dall’acqua dopo otto minuti e 35 secondi: è piuttosto rintronato. Mentre espira – perché più che inspirare si espira, all’inizio – l’assistente gli dice di togliersi il tappo dal naso e gli ricorda di dire ai giudici che sta bene. Lui fa il segno con la mano, lei gli ricorda che deve anche dirlo a voce. Secondo le regole AIDA, infatti, il record non vale se l’atleta non dice di stare bene poco dopo essere emerso. Hendrickson ha detto che «non era mai stato così ipossico» e che a un certo punto ha avuto, per la prima volta in vita sua, una specie di «tunnel vision».

Come si prepara un apneista
Ian Donald, istruttore britannico di apnea, è invece entrato più nel dettaglio su cosa fare nei giorni e minuti prima di una prova d’apnea statica. Per partire da lontano: bisogna evitare ogni sostanza eccitante, anche il caffè, e avere un fisico da atleta (non ci sono campioni apneisti con la pancia). Anche lo stomaco, per digerire, usa ossigeno: quindi non lo si deve far lavorare prima o durante un’apnea.

Gli esercizi anaerobici – quelli in cui «si spinge il corpo fino a far fatica a respirare, costringendo i muscoli, che hanno bisogno di ossigeno per funzionare, a usare al suo posto fosfato e glicogeno» – sono importanti perché insegnano al corpo a funzionare senza ossigeno.

Quando si prepara per un’apnea, Donald tre volte a settimana va a correre e poi si mette a camminare senza respirare, poi corre di nuovo, poi cammina un po’ senza respirare, e così via. Ci si può allenare anche con sessioni di apnea, in certi casi una dopo l’altra: qualche minuto di apnea, un paio a respirare, apnea di nuovo, e così via, anche per un’ora intera.

I minuti prima dell’apnea
Nell’apnea bisogna imparare a usarlo meno possibile, il corpo. Donald ha detto: «Tutti i muscoli devono essere inattivi, perché dei muscoli tesi bruciano più ossigeno». Nei minuti prima di un’apnea bisogna fare respiri normali, non forzati o profondi. E di certo non fare iperventilazione (cioè respiri forzati e intensissimi, per mettere nei polmoni più aria possibile): qualche anno fa lo si faceva, ora è stato dimostrato che è pericoloso e inutile. Donald ha anche parlato degli ultimi tre respiri prima di un’apnea: «Uno: inspirare al 75 per cento delle proprie possibilità. Due: espirare al 100 per cento. Tre: inspirare al massimo delle proprie capacità». Una volta in acqua non bisogna far uscire aria (bolle) perché anche lì c’è un po’ di utile ossigeno.

Per il resto: serve tantissima calma e capacità di rilassarsi e mettersi in una sorta di modalità a risparmio energetico. Una volta finita l’apnea e passati quei secondi di spaesamento – come Hendrickson che faceva fatica a dire OK – ci vuole giusto qualche respiro ben fatto per rimettersi in sesto.

L’apnea è pericolosa? È dannosa?
Sì, se fatta improvvisandosi atleti ed esperti è pericolosa. Riguardo ai danni, nel medio-lungo termine, per chi la pratica in modo intenso e ripetuto, la questione è complicata. Ci sono infatti alcuni recenti esperimenti secondo cui l’apnea fa molto male a chi la pratica.

Il ricercatore francese François Billaut – dell’Université Laval, in Canada – ha studiato l’impatto dell’apnea sulle funzioni cognitive. Ha preso 12 apneisti esperti, 12 apneisti principianti e 12 persone normali, come gruppo di controllo. Ha fatto fare loro dei test – per esempio questo, in cui la parola ROSSO è scritta in colore GIALLO, e bisogna dire il colore della scritta e non leggere le lettere – e ha notato che chi aveva fatto più apnea aveva in genere risultati peggiori. Hutchinson ha scritto che un apneista di 19 anni con un record di apnea statica di sette minuti e 16 secondi ha dato risultati che «stavano ai livelli di persone con provati deficit cognitivi». È solo un test e altri magari arriveranno e diranno altre cose, ma Billaut ha detto che gli apneisti non sembravano per niente stupiti: «L’apnea non è diversa da tanti altri sport, in cui la pratica ad altri livelli porta spesso a un deleterio impatto sulla fisiologia degli atleti. È così per chi scala l’Everest, fa ginnastica o corre maratone». Billaut ha detto che alcuni apneisti si sono lamentati dei risultati ma che molti altri «hanno accettato la cosa come prezzo da pagare per il loro sport».

Hutchinson ha parlato a Hendrickson dei risultati dei test di Billaut. Hendrickson ha detto che bisogna «saper capire la differenza tra abbastanza e troppo» e che gli è capitato di vedere apneisti che svenivano 30 metri sott’acqua e, dopo essere quasi affogati, ritornavano dopo un paio di giorni per riprovarci. Parlando di apnea statica e della possibilità di migliorare il suo record di otto minuti e 35 secondi ha detto: «Sono nel momento in cui sto mentalmente decidendo se posso fare di meglio».