accademia delle scienze svedese

Nobel per l’Economia a Richard Thaler, studioso delle scelte (da correggere) dei risparmiatori

di Fabrizio Galimberti

Richiard H. Thaler si prepara per un’intervista subito dopo aver appreso di aver vinto il premio Nobel per l’Economia 2017(Foto Afp)

4' di lettura

Qualcuno ha detto: se vuoi essere sapiente, aggiungi qualcosa ogni giorno alla tua conoscenza; se vuoi essere saggio, togli qualcosa ogni giorno. L'Accademia svedese, nell'assegnare il Nobel di economia a Richard Thaler, segna un'altra tappa nella (troppo) lenta marcia di avvicinamento fra l'Homo oeconomicus e l'Homo di tutti i giorni. Da qualche anno a questa parte, le assegnazioni dei Nobel economici ‘tolgono qualcosa' al ritratto razionale e freddo che la ‘scienza triste' faceva dell'Homo oeconomicus. Una scienza triste, si dice, che ha un pallottoliere al posto del cuore: si occupa solo di avere il massimo risultato col minimo dispendio di mezzi. Dietro tutto questo vi è un'ipotesi: l'uomo è un animale razionale, l'homo sapiens è un homo oeconomicus, le decisioni sono prese dopo aver soppesato il dare e l'avere, con il bilancino del farmacista e la cura di un ragioniere.

Ma l'uomo è veramente un animale razionale? Certamente sì. Dopotutto la ‘ragione' ci ha fatto posare degli astronauti sulla luna. Ma questo non vuol dire che tutte le decisioni siano razionali. La storia economica ci offre tanti esempi di eventi in cui domina l'irrazionalità, specie per quel che riguarda la finanza: dalle crisi del Seicento e Settecento (tulipani, Mari del Sud, Mississippi…), giù fino alla crisi del '29, alle bolle della Borsa nella cosiddetta ‘crisi dot.com' del 2000, e ancora fino alle recenti allucinanti pazzie della finanza che hanno portato alla Grande recessione. Fino a non molto tempo fa gli economisti non si erano preoccupati troppo di questi episodi di irrazionalità: li consideravano delle aberrazioni, delle eccezioni alla regola. Ma poi le cose cambiarono. Oggi c'è una branca dell'economia, chiamata ‘finanza comportamentale' che riconosce come l'uomo sia un animale più complesso di quel che si credeva.

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Si potrebbe irridere al fatto che gli economisti si accorgano solo ora che molte decisioni in campo economico/finanziario sono prese con l'istinto e col cuore, con le avversioni e le pulsioni lontane dal calcolo razionale. Richard Thaler non è il primo esponente della ‘economia comportamentale' a ricevere un Nobel. Prima di lui ci sono stati Herbert Simon (1978), Gary Becker (1992), Daniel Kahnemann (2002), Robert Shiller (2013). Ma, come si vede da questo breve elenco, da quando furono fondati i Nobel dell'economia e fino alla fine del secolo furono due i Nobel assegnati a economisti che mettevano in luce i limiti dell'Homo oeconomicus; dall'inizio di questo secolo, in soli 17 anni, le assegnazioni sono state già tre.

Richard Thaler ha esplorato le interazioni fra economia e psicologia con grande ricchezza di esempi e finezza di analisi. Sue sono, per esempio, le teorie sul ‘nudge' (il ‘tocco gentile'), un modo di interagire fra Governo e cittadini che mira a ottenere il risultato (per esempio, pagare le tasse) con metodi meno coercitivi e invasivi di una occhiuta lotta all'evasione. Oppure, evocando il metodo di Ulisse per sottrarsi alle lusinghe delle sirene, ‘legarsi le mani' con impegni di lungo termine (per esempio, destinare una parte del salario alla previdenza complementare, o fare di questo impegno la ‘default option' nei contratti di lavoro) per sottrarsi alle tentazioni di spendere tutto oggi (evitare insomma che i cittadini, come Oscar Wilde, finiscano col dire «posso resistere a tutto, fuorché alla tentazione»).

Thaler ha un grosso debito con l'altro laureato del Nobel, Herber Simon. In che cosa sono guidate le imprese nelle loro decisioni? Gli economisti della vecchia scuola avrebbero risposto che le imprese prendono quelle decisioni che rendono massimo il profitto. Dopotutto, lo scopo di ogni imprenditore è quello di far soldi e la ‘massimizzazione del profitto' ne è la stella polare. E, perché questa ossessione del profitto non sia scambiata per animo grezzo e meschino, non mancavano modelli matematici che dimostravano come il perseguimento del massimo profitto porta al massimo benessere, non solo per gli imprenditori ma per tutta la popolazione.

Ma Simon non si contentò di questa risposta. Convinto che fosse possibile analizzare la condotta umana con metodi scientifici (così come la fisica o la chimica analizzano la ‘condotta' della natura), andò a guardare da vicino queste decisioni. E riscontrò come mancavano, nella realtà, tante condizioni che la teoria stipulava: l'imprenditore può sempre prevedere le conseguenze delle sue azioni, agisce in modo razionale e cerca sempre di massimizzare il profitto. Solo se queste condizioni si realizzano le equazioni degli economisti puri assicurano che si realizza il migliore dei mondi possibili.

Da quando furono fondati i Nobel dell'economia fino alla fine del secolo, furono due i Nobel assegnati a economisti che mettevano in luce i limiti dell'Homo oeconomicus; dall'inizio di questo secolo, in soli 17 anni, le assegnazioni sono state già tre


Ma queste condizioni non si realizzano mai: chi può dire di poter sempre preveder le conseguenze delle proprie azioni? E chi può dire di poter sempre prevedere le azioni e le reazioni degli altri? Visto che viviamo in un mondo imperfetto, come costruire un'altra ‘stella polare' per guidare le decisioni? Simon ricorse a strumenti matematici e a simulazioni al computer per costruire un ‘manuale delle decisioni' che tenesse conto dell'incertezza e soprattutto che tenesse conto di come una grande impresa fosse diversa dal mitico ‘imprenditore individuale'. Una volta che la proprietà è separata dalla gestione, e l'impresa diventa un'entità a parte, che suscita spirito di gruppo e conflitti di potere, le decisioni si colorano di una serie complessa di motivazioni non razionali.

Insomma, nello schema ‘simoniano', le imprese non cercano più di massimizzare il profitto o, per meglio dire, cercano di massimizzarlo ma all'interno di una ‘razionalità confinata', recintata, cioè, dall'incertezza e da legami e idiosincrasie sociali e personali: : quella ‘bounded rationality' riscoperta ed estesa da Thaler. Tutto questo potrà sembra una questione di buon senso, ma succede spesso che pensatori di genio arrivino a delle conclusioni che, viste a posteriori, sembrano ovvie; ma che fatica per diradare la nebbia che avvolgeva le conclusioni precedenti!
fgalimberti@yahoo.com

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