giovedì 18 aprile 2019
Il segretario generale della Cei dopo il rogo di Notre-Dame: giusto puntare su una manutenzione costante degli edifici sacri. L'8 per mille ha favorito la programmazione degli interventi
Monsignor Stefano Russo (Archivio Siciliani)

Monsignor Stefano Russo (Archivio Siciliani)

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Anche in fatto di chiese (specie se monumentali) prevenire è meglio che curare. E la migliore forma di prevenzione è una comunità viva, che attui anche attraverso il suo senso di appartenenza quella manutenzione ordinaria costante, che è garanzia di salavaguardia, molto di più dei restauri lunghi, invasivi e costosi. Parola di monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei e vescovo di Fabriano-Matelica, che per molti anni è stato direttore dell’Ufficio Cei per i beni culturali, accumulando così una lunga esperienza di interventi ordinari e straordinari.

Eccellenza, sono in molti a chiedersi se anche in Italia corriamo rischi di incendi rovinosi come quello di Notre-Dame.

difficile dare una risposta, specie fino a quando non saranno accertate le cause del rogo. In generale, però, come sostengono gli esperti, è meglio evitare, per quanto si può, i grandi restauri, perché si tratta di interventi molto invasivi, un po’ come le operazioni chirurgiche per le persone. Al contrario si dovrebbe puntare soprattutto sulla manutenzione ordinaria costante, che tra l’altro è più facile da fare in grandi chiese come il Duomo di Milano o San Marco a Venezia, dove ci sono le fabbricerie e tante persone che vi lavorano. È anche vero però che in Italia le situazioni sono molto diversificate. Ci sono circa 70mila chiese di proprietà ecclesiastica ed è difficilissimo pensare a una manutenzione ordinaria costante in ognuna di esse, specie quando si tratta di chiese di piccoli centri o in zone di montagna. Ma grazie al cielo la gente ha un grande attaccamento nei confronti di questi beni e va anche detto che la cultura della manutenzione ordinaria sta crescendo sempre di più.

Quali sono i motivi di questa crescente sensibilità?

Innanzitutto va ricordato che in Italia abbiamo una legge dello Stato che definisce i criteri per la tutela di questo patrimonio, indipendentemente dalla proprietà pubblica o privata. Quindi c’è anche una cultura della cura e del restauro molto importante, sostenuta, specie in passato, anche dai contributi statali. Oggi purtroppo questi contributi si sono ridotti a motivo della crisi economica, ma la cultura resta. Inoltre c’è quella parte dei fondi dell’8xmille che ogni anno i vescovi italiani destinano alla tutela dei beni culturali ecclesiastici.

Da quando c’è l’8xmille la situazione è dunque migliorata?

L’8xmille ha favorito una programmazione ordinaria degli interventi, che molte comunità hanno attuato anche usando ulteriori risorse come l’autofinanziamento e gli sponsor. Ha dunque portato un grande beneficio, specie se pensiamo che ora abbiamo oltre 700 cantieri aperti il cui costo economico è sostenuto proprio da questo mix di risorse. Con l’8xmille tuttavia è difficile fare i grandi interventi come ad esempio quelli a seguito di un terremoto o altre calamità naturali.

Lei accennava agli sponsor. Il dibattito è aperto, specie dopo le donazioni per la ricostruzione di Notre-Dame giunte in questi giorni da grandi gruppi industriali e da singoli magnati. Qual è la sua opinione al riguardo?

Bisogna valutare caso per caso. Ma in generale, se c’è qualcuno che intende donare dei soldi, penso che sia una cosa buona. Certo, poi occorre fare le cose con trasparenza, con attenzione, nel rispetto della legge. Le donazioni per Notre-Dame, del resto, ci dicono che gli edifici di culto appartengono sì alla storia della cristianità, ma arricchiscono tutta la comunità, caratterizzano le nostre piazze, sono parte della nostra identità, indipendentemente dal cammino di fede di ognuno, perché si riconosce il valore universale di questi beni.

In Italia, però, dobbiamo fronteggiare situazioni gravi come le tremila chiese danneggiate dai recenti terremoti. A che punto siamo?

Confidiamo che a breve possa essere emanata una ordinanza da parte del governo che attivi almeno una parte della ricostruzione delle chiese. Già con il governo precedente c’è stata una modifica che ha inserito gli enti ecclesiastici tra i soggetti attuatori. È iniziato così un iter che doveva consentirci, attraverso alcune modifiche normative, di arrivare a questo risultato. Al termine dell’estate scorsa le modifiche sono state realizzate. E il confronto è proseguito per definire le procedure che rendessero operativi i cambiamenti. Adesso si stanno mettendo a punto gli ultimi dettagli, e si spera che sia emessa un’ordinanza che riguardi un certo numero di chiese.

In definitiva, qual è la miglior forma di tutela delle nostre chiese?

Una comunità, ecclesiale e civile, viva, che con il suo vissuto preservi il monumento. Il senso di appartenenza delle comunità spesso è decisivo, perché permette di intervenire tempestivamente in tutte le situazioni.

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