Non è certamente un momento facile per Facebook sul piano giudiziario. Dopo le recenti accuse da parte della Federal trade commission americana per il caso Cambridge Analytica, a causa del quale rischia di pagare fino a 2 miliardi di dollari di multa, ieri il gigante dei social network è stato condannato dal Tribunale di Roma nell’ambito di una causa con Mediaset per violazione di copyright e diffamazione.
A quanto si legge sul sito di Mediaset, nel 2012 alcuni utenti hanno aperto una pagina Facebook anonima dedicata al cartone animato Kilari, trasmesso da Italia Uno. Nella pagina erano presenti i link che rimandavano a episodi della serie protetti da copyright e caricati illegalmente su Youtube oltre a una pagina di insulti indirizzati all’interprete della sigla del cartone.
Dopo che il social ha a lungo ignorato le richieste di Mediaset di rimuovere quei contenuti, l’azienda ha quindi deciso di rivolgersi alla magistratura, che, con la sentenza numero 3512 del 2019, ha infine sanzionato il comportamento di Facebook.
Sebbene il valore del contenzioso sia “modesto”, come si legge ancora nel comunicato stampa, questa sentenza è *“cruciale nei principi che intendeva tutelare”*e ha “risvolti delicati per il precedente che crea”. Si tratta, infatti, della prima sentenza italiana contro un social network per una violazione del diritto d’autore, non diretta ma attraverso un link ad altre piattaforme.
La decisione del Tribunale di Roma contro Facebook applica un principio sul copyright ora inserito nella direttiva europea in materia di diritto d’autore nel digitale, sanzionando anche il cosiddetto linking, ovvero la pubblicazione di link a pagine esterne.
Intanto, proprio la direttiva Ue sul copyright, che ha visto il 14 febbraio scorso l’accordo tra Commissione, consiglio e parlamento europei, è stata respinta dall’Italia e da altre quattro nazioni, che hanno votato contro l’approvazione del testo presentato a Bruxelles.
L’opposizione alla riforma, comunque non decisiva per il parlamento europeo, è motivata dal fatto che secondo i paesi contrari la direttiva “non rappresenta il giusto equilibrio tra la protezione dei titolari dei diritti e gli interessi dei cittadini europei e delle imprese”, riporta La Stampa.