Sistemi di dissipazione a liquido: gli ostacoli alla diffusione

Di dissipazione a liquido nei data center si parla ormai da alcuni anni ma è di recente che l’attenzione degli hyperscale provider (Google, Amazon etc.) e degli istituti di ricerca si è focalizzata in particolare modo sui probabili successori delle soluzioni ad aria: big data, HPC (High Performance Computing) ed intel-ligenze artificiali (con relativo ad-destramento) richiedono considerevole capacità di calcolo e strutture ad alta densità in cui, sfruttando al massimo lo spazio fisico disponibile, è inevitabile che la quantità di calore generato sia ben al di sopra della media ed in grado di mettere in difficoltà le soluzioni ad aria più avanzate.

La caratteristica principale dei liquidi, come detto in precedenti approfondimenti, è quella di offrire una capacità di assorbimento del calore fino a 3000 volte superiore a quella dell’aria. Con rack che oscillano dai 30kw ai 50kw, il passaggio di vari data center operator ed hyperscale provider al liquido appare inevitabile. Come osserva tuttavia Data Center Knowledge, l’adozione di quest’ultimo è ancora frenata da una serie di ostacoli che analizzeremo nei paragrafi successivi.

Gestire due sistemi

Avviare un progetto di conversione al liquido è un’operazione complessa e delicata. Nella maggior parte dei casi, afferma un esperto, ci si troverà a convivere con due sistemi (aria e liquido), il che si tradurrà in un doppio lavoro di controllo e manutenzione. Certo, compagnie come Google e Microsoft sono perfettamente in grado di gestire una migrazione graduale al nuovo standard ma in generale il liquido si rivela più adatto a nuovi progetti, o al massimo a data center che necessitano di un marcato “make-up”, piuttosto che ad infrastrutture già esistenti ed operative.

Assenza di standard

L’adozione è ostacolata anche dall’assenza di standard condivisi. Non è così facile ed immediato, afferma un altro addetto ai lavori: “non possiamo semplicemente collegare [i sistemi di dissipazione a liquido] e lasciarli operare”. Bisogna inoltre considerare che il reparto IT del data center in questione dovrà disporre delle conoscenze adeguate a monitorare ed intervenire sull’impianto.

Elettricità e liquidi

Il terzo ostacolo non riguarda in realtà l’intera gamma di soluzioni a liquido: si tratta di esporre il personale al rischio di folgorazione. Le soluzioni di dissipazione più avanzate ed innovative si appoggiano a liquidi dielettrici (il più noto è il Novec 7000 che è anche non infiammabile e non corrosivo) in cui è possibile immergere direttamente l’hardware, ma altre continuano ad utilizzare semplice “acqua” fredda o a temperatura ambiente – ricordiamo ad esempio alcuni data center sotterranei in Norvegia che attingono direttamente l’acqua dal mare.

Corrosione

“La corrosione [nei piccoli tubi dei sistemi a liquido] è una seria problematica, ed è una delle [criticità] che stiamo attualmente cercando di risolvere”. I vendor hanno indubbiamente compiuto tangibili passi avanti nella realizzazione di supporti in grado di diminuire il rischio di perdite e sigillare all’occorrenza i tubi, ma tali incidenti restano sempre possibili. Una seconda precauzione adottata è quella di isolare ciascun rack in modo che la perdita d’acqua abbia una portata limitata.

Complessità operativa

Secondo un data center operator intenzionato ad aggiornare le proprie infrastrutture con soluzioni a liquido, queste ultime rischiano di aumentare la complessità operativa del data center: i data center operator prediligono la semplicità. Più componenti hai, più sono alte le possibilità di [andare incontro ad un “fallimento” del sistema]. Quando si refrigera un chip [e l’acqua passa in ogni CPU e GPU del server], si aggiungono molti componenti al processo, il che incrementa [le possibilità di “fallimento]”.

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