Perché le blockchain di Stato e dei notai non sono blockchain a tutti gli effetti

I decreti introducono lo strumento, ma mantengono una centralizzazione che non trova riscontro nel modello dei registri distribuiti. Il commento di un esperto

Nelle ultime settimane l’argomento blockchain ha raggiunto livelli di hype mai visti ed esposizione mediatica di rango nazionalpopolare. Non è un’esagerazione. Se camminate tra i corridoi di una nota catena di supermercati sentirete la branded radio, tra una canzone e l’altra, pubblicizzare la nuova iniziativa di tracciamento della filiera mediante blockchain.

Tipicamente della blockchain vengono recepiti pochi, e confusi, concetti, che sono poi riutilizzati nella mente del tecnovisionario di turno per proiettare straordinari use case che rivoluzioneranno la società. Altrettanto tipicamente, questi use case sono spesso impraticabili o semplicemente inutili (per fare tante cose non serve la blockchain, che evidentemente è usata il più delle volte come artificio per catalizzare l’attenzione dell’audience).

Tra i tanti filoni di questo incessante buzz ve ne sono due – tra loro interconnessi - particolarmente importanti e senza dubbio interessanti, che a dispetto degli altri hanno il pregio di essere realtà e non solo immaginazione. Si tratta della “blockchain di Stato” e della “blockchain dei notai”, definizioni abbastanza errate, rispettivamente, dell’iniziativa intrapresa dal legislatore con il decreto-legge 14 dicembre 2018, numero 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione (il cosiddetto “decreto semplificazioni) e della “Notarchain”.

La catena dei blocchi di StatoIl decreto semplificazioni (ora convertito in legge) ha tre punti essenziali. Primo: introduce nell’ordinamento la definizione di “tecnologie basate su registri distribuiti” (dlt). Secondo: definisce cosa siano gli smart contract e prevede, qualora siano soddisfatti taluni requisiti, che gli stessi siano equiparati ai contratti in forma scritta (forma che talvolta è richiesta dalla legge perché si perfezioni un accordo). Terzo: equipara (in estrema – e brutale – sintesi) alla marca temporale prevista dal regolamento Eidas sull’identificazione elettronica (già legge vigente dal 2014)il timestamp sulle dlt che soddisfano i requisiti che saranno identificati dall’Agid.

Si tratta senza ombra di dubbio di un passaggio importante, quanto meno perché crea un collegamento istituzionale tra l’ordinamento giuridico e il mondo dlt e così facendo incentiva il ricorso alle funzionalità della blockchain presso coloro che esitavano di fronte all’incertezza derivante dal mancato sdoganamento delle tecnologie basate su registri distribuiti. Tuttavia, non è esattamente il “colpo di genio italiano” decantato trionfalisticamente dal noto blog di un partito di maggioranza, sul quale la notizia del decreto semplificazioni è stata entusiasticamente postata dipingendo l’Italia come il primo paese che ha introdotto la “notarizzazione” tramite dlt.

Tralasciando la discutibile rivendicazione di un primato che in realtà non è del governo italiano, visto che Malta con diversi mesi di anticipo ha regolamentato le dlt in maniera immensamente più organica e coraggiosa, occorre chiarire due aspetti per evitare di cadere nel medesimo, mal riposto, entusiasmo.

La notarizzazioneIn primo luogo non è corretto parlare di “notarizzazione” in relazione al decreto semplificazioni, visto che l’applicazione della marca temporale (timestamp) non è certamente una “notarizzazione” e anche perché tale validazione temporale non è stata introdotta da questo decreto ma esisteva da tempo nell’ordinamento italiano.

L’uso del termine “notarization” per l’applicazione del time stamp in una blockchain è abitudine di lunga data di diversi evangelisti delle dlt, che ha ingenerato in molti l’errato convincimento che attraverso la blockchain si possano ottenere risultati giuridicamente equiparabili a quelli ottenuti dall’autentica notarile. Il che è ovviamente sbagliato. In realtà “notarization” su blockchain va intesa esclusivamente come combinazione di data certa e immodificabilità delle informazioni (peraltro nemmeno assicurata su tutti i tipi di dlt).

Ciò che il decreto semplificazioni prevede è una equiparazione tra il time stamp tipico della blockchain alla marca temporale (che già esisteva nel nostro ordinamento) nel produrre certezza giuridica sulla data applicata al documento digitale. Anche se è doveroso precisare che, perché si raggiunga tale equiparazione, occorre che siano soddisfatti dei requisiti che il decreto non esplicita, poiché sarà Agid a determinarli. In altre parole, sarà possibile attribuire “data certa” alle informazioni e alle transazioni registrate su dlt conformemente ai criteri del decreto semplificazioni e ai parametri definiti da Agid.

Ad oggi quindi non c’è nessuna vera notarizzazione realizzabile con la blockchain. E questo non solo in relazione all’ecosistema normativo italiano creato con il decreto semplificazioni ma anche e soprattutto perché è assolutamente dubbia la compatibilità – sia da un punto di vista concettuale che tecnico – tra l’attività notarile e le caratteristiche più comunemente associate alla blockchain.

In contraddizioneLa blockchain è nota per essere un sistema di registrazione delle informazioni decentralizzato e disintermediato, mentre l’attività notarile è la sintesi massima di centralizzazione (lo Stato) e intermediazione (il pubblico ufficiale da cui passare inevitabilmente per attribuire pubblica fede a un documento). La conferma di questa dicotomia viene proprio dal mondo notarile che si è affacciato tempestivamente al mondo dlt, distaccandosi però – inevitabilmente – dai tratti caratteristici della blockchain (ossia l’essere permissionless, distribuita su tanti nodi non gerarchizzati).

Notarchain (il progetto del Consiglio nazionale del notariato lanciato nel 2017)prevede una struttura permissioned, chiusa, in cui la validazione è riservata – ed era inevitabile trattandosi di sistema notarile – a un nucleo ristretto di nodi qualificati. Difficile immaginare qualcosa di più lontano dal paradigma blockchain più diffuso, ossia quello bitcoin, e i notai sono i primi a saperlo visto che stanno già cercando di sviluppare progetti più vicini alle dlt.

Lato positivoTuttavia, è positivo che il mondo notarile si stia adoperando per portare la propria professionalità ed esperienza nel mondo dlt così come è positivo che lo Stato sia oggi dotato di una legge in materia di dlt. Nonostante la maldestra tecnica legislativa, che potrebbe anche portare a interpretazioni paradossali (parlare di architettura decentralizzata anziché di accesso decentralizzato potrebbe escludere dall’applicazione delle decreto semplificazioni la blockchain bitcoin), è comunque un segnale positivo il fatto che lo Stato si sia preoccupato di introdurre nell’ordinamento elementi potenzialmente utili per incentivare la trasformazione digitale della società e dell’economia.

La vera sfida, tuttavia, è rafforzare il cammino delle istituzioni verso un ecosistema di identità digitali protette, nel quale i cittadini possano sentirsi sicuri e allo stesso tempo autonomi nell’accesso alle proprie informazioni. In questo ambito, lo Stato dovrà trovare ulteriori strumenti che consentano di incrementare il ricorso ai registri decentralizzati (utili per facilitare l’accesso alle informazioni) risolvendo allo stesso tempo le problematiche di trasparenza, privacy e accessibilità legate a taluni usi delle dlt.

** avvocato dello studio R&P Legal*