9 marzo 2018 - 21:58

Miraggi elettorali e realtà

Avere paura per la globalizzazione è sbagliato, perché la globalizzazione ha fatto uscire dalla povertà centinaia di milioni di persone

di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

(Contrasto)
shadow

Dopo la crisi finanziaria del 1929 il mondo occidentale si chiuse in una gabbia di protezionismo. Ciascun Paese cercò di salvarsi da solo chiudendosi come un riccio. Il risultato fu la Grande Depressione che indirettamente contribuì a creare le condizioni per la nascita di regimi autoritari e infine la Seconda guerra mondiale. La crisi finanziaria del 2008 è stata superata con danni infinitamente minori di quella del ‘29 grazie al fatto che il mondo non ha ripetuto l’errore dell’isolazionismo. Fino ad oggi almeno. Ora però vediamo segnali assai preoccupanti. Il presidente Trump annuncia dazi proclamando addirittura che le guerre commerciali si vincono facilmente e fanno bene. La Gran Bretagna esce dall’Unione Europea e scopre che non si possono fare scelte à la carte: libertà di commercio per i servizi finanziari sì, ma libertà di movimento delle persone anche europee, no. Intanto la Russia di Putin sorride e fomenta l’instabilità e le divisioni dell’occidente. Anche l’Italia soffre di questi pericolosi miraggi, dopo una campagna elettorale giocata su paure e illusioni. Paura della globalizzazione, paura dell’immigrazione, paura della concorrenza. E l’illusione che la spesa pubblica, il reddito di cittadinanza, lo Stato onnipresente, possano risolvere i nostri problemi. Paura per la globalizzazione?

In realtà la globalizzazione ha fatto uscire dalla povertà centinaia di milioni di persone: in Cina, India, Africa, America Latina. E questo è bene. Punto. Ma non solo. Per arginare il flusso di immigrati ci vuole più, non meno globalizzazione. L’aumento degli scambi e l’apertura al commercio, ad esempio, hanno fatto crescere il reddito pro-capite africano: in vent’anni è raddoppiato e di altrettanto si è ridotto l’incentivo economico a emigrare in Europa. Se non si muovono i beni e i capitali, riducendo le diseguaglianze fra Paesi, si muovono le persone. Che cosa consente alle nostre imprese di esportare con tanto successo una quantità di beni e servizi non solo sufficiente a pagare tutta l’energia che importiamo ma tale da produrre un surplus commerciale che l’anno scorso ha superato 51 miliardi di euro? Mercati aperti e assenza di dazi, la globalizzazione appunto. E sull’immigrazione, siamo davvero sicuri che la nostra società funzionerebbe meglio senza badanti, baby sitter, collaboratrici domestiche straniere, e senza tutti i lavoratori extracomunitari che ogni mattina affollano le stazioni ferroviarie del Veneto o del bresciano e che sono essenziali per il funzionamento delle imprese di quelle regioni? Come ricorda il presidente dell’Inps, Tito Boeri, gli immigrati producono ogni anno un beneficio netto per le casse dell’Inps pari a circa 5 miliardi di euro. Senza immigrati, di altrettanto dovrebbero aumentare le nostre tasse, o ridursi le nostre pensioni.

Ciò non significa accogliere più di quanti il nostro mercato del lavoro richieda, o non espellere immediatamente chi commette reati, o non si adegua ad una convivenza basata sulle nostre leggi. Apertura ragionevole sì, eccessiva tolleranza no. E quale sarebbe l’alternativa ad una società aperta, basata sulla concorrenza, in cui le imprese efficienti sopravvivono e quelle improduttive chiudono? L’alternativa è un sistema economico in cui prospera la rendita, in cui vince chi riesce a piegare la politica ai propri interessi, e vince a scapito dei consumatori sui quali ricade il costo di quelle rendite. Certo che i lavoratori che perdono il lavoro devono essere protetti, aiutandoli a riqualificarsi e nel frattempo sostenendo il loro reddito. Ma bisogna proteggere i lavoratori, non i posti di lavoro. Tenere aperte imprese improduttive sussidiandole è solo un costo per la società. E illudere i lavoratori che quelle imprese possano avere un futuro ha solo l’effetto di ritardarne la riqualificazione e la possibilità di ritrovare un posto di lavoro più produttivo per loro e per la società (Sorprende a questo proposito il ministro Calenda che questo ha fatto: ha illuso i lavoratori dell’Embraco che il denaro pubblico possa dare un futuro ad un’azienda che è finita fuori mercato, anziché aiutarli a riqualificarsi. In un pomeriggio ha cancellato tutti i benefici del Jobs Act del governo Renzi).

Lo stesso è vero per il reddito di cittadinanza. Lo Stato deve far funzionare la scuola, non illudere i giovani che ci sia un’alternativa comoda allo studio e al lavoro. I danni che può fare il reddito di cittadinanza (magari accompagnato da un po’ di lavoro in nero) impedendo la creazione di un’etica del lavoro sono ancor più gravi dei costi che un simile provvedimento trasferirebbe sulle spalle dei nostri nipoti. Basta vedere che cosa ha prodotto l’assistenzialismo statale al Sud: ben poco. Anche la proprietà pubblica delle imprese è un’illusione pericolosa. Perché le imprese pubbliche, soprattutto quelle possedute da Comuni e Regioni, sono in media meno produttive delle analoghe imprese private. Un altro modo per trasferire sulle spalle dei cittadini la rendita di pochi fortunati: i lavoratori (comunque pochi) che sono riusciti a farsi assumere nella municipalizzata di casa e i politici che gestiscono quelle aziende.

Queste politiche produrrebbero più, non meno disoccupazione spegnendo la pur tenue ripresa che è iniziata anche in Italia. Soprattutto se la guerra commerciale annunciata da Trump dovesse materializzarsi. Le esportazioni sono il settore più dinamico della nostra economia e i dazi le rovinerebbero. L’unica nostra via di salvezza rimane l’apertura al commercio internazionale; un rapporto costruttivo con l’Europa, non da paria che minaccia uscite; politiche sociali che non colpiscano le generazioni future e disincentivino il lavoro; mercati competitivi e non ingessati da burocrazia, tasse e regole inutili; privatizzazioni contro la scarsa produttività delle imprese pubbliche controllate dalla politica, soprattutto quella locale; un’attenzione vera al debito pubblico per non ricadere nel circolo vizioso di più spese, piu tasse, nuova recessione, più spese e cosi via. Il voto in Italia ha premiato Lega e Movimento 5 stelle. Adesso è il momento della concretezza. Isolazionismo e Stato assistenziale, le illusioni scritte nei loro progetti, andranno a scapito delle generazioni future. Quali che siano le maggioranze, quale che sia la composizione dei governi prossimi venturi, di certo non si possono dimenticare le lezioni del passato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT