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Polizze vita, perché la Cassazione fa tremare le assicurazioni

di Valerio Vallefuoco

Polizze vita, come funzionano

2' di lettura

Le polizze vite sono da considerarsi tali solo se garantiscono la restituzione del capitale “investito”, altrimenti sono contratti di investimento ordinari. A dirlo è la Corte di cassazione con la sentenza 10333/2018, che conferma una pronuncia della Corte di appello di Milano, destinata a portare non poche preoccupazioni al mondo delle assicurazioni.

La Cassazione torna sull’annosa questione della differenza tra polizze assicurative e contratti di investimento attualizzando i principi di diritto già espressi in precedenza; ma fa anche un’importante precisazione sui contratti sottoscritti attraverso società fiduciarie. Secondo la Suprema corte se viene a mancare la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza, il prodotto oggetto dell’intermediazione deve essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte degli assicurati e non una polizza assicurativa sulla vita.

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Le basi giuridiche
Infatti, richiamando una suo precedente intervento (la sentenza 6061/2012) la Corte ha chiarito che, al di là del nome che le viene dato, la polizza assicurativa sulla vita va identificata come quella in cui il rischio dell’assicurato - cioè l’evento relativo alla sua esistenza - è assunto dall’assicuratore, mentre si tratta di un contratto di investimento finanziario quando il rischio di performance viene completamento assunto dall’assicurato. L’identificazione di contratto di investimento rispetto ad una polizza comporta peraltro diversi regimi fiscali e successori (si veda l’altro articolo in pagina). Con la sentenza 10333 la Cassazione ha pertanto ribadito ed attualizzato il principio; ha anche precisato, poi, che a fronte di un contratto assicurativo sottoscritto da due persone fisiche attraverso una società fiduciaria va individuato quale investitore non quest’ultima ma la persona fisica fiduciante, cioè l’assicurato.

I giudici di legittimità hanno anche stabilito che l’adempimento degli obblighi dell’intermediario finanziario devono essere valutati nei confronti del fiduciante e non anche della società fiduciaria, dopo aver preso in considerazione la funzione prioritaria di rimuovere le asimmetrie informative della disciplina del rapporto fra investitore e intermediario finanziario. A sostegno di questa interpretazione, la Cassazione ha richiamato le comunicazioni Consob (DI/98086703 del 4 novembre 1998 e DIN/6022348 del 10 marzo 2006) relative alla possibilità per le società fiduciarie, alle quali è consentito, come previsto dalla legge n.1966 del 1939, di rendersi intestatarie di contratti di investimento e di contratti di negoziazione e raccolta ordini per conto dei propri fiducianti.

Le comunicazioni
Nell’ambito di tali comunicazioni, l’organo di vigilanza aveva sottolineato che l’interposizione delle società fiduciarie è consentita a patto che resti sempre e comunque preservata la diretta riferibilità al cliente-fiduciante della volontà contrattuale e delle connesse tutele. Quest’ultimo deve essere reso identificabile, anche attraverso un codice convenzionale, e l’intermediario gli deve fornire, tramite la fiduciaria, informazioni adeguate sulla natura, i rischi e le implicazioni delle operazioni o del servizio la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte d’investimento o disinvestimento.

In particolare, la segnalazione dell’eventuale inadeguatezza dell’operazione deve essere indirizzata al cliente-fiduciante. La mancata adeguata informativa al cliente comporta la risoluzione del contratto con l’assicurazione, con la restituzione del capitale versato e il relativo risarcimento dei danni.

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