riqualificazioni

Ristrutturare la casa rende fino al 10% nelle grandi città

di Paola Pierotti

Il complessso Monticello a Roma in via Aurelia è nato dalla demolizione di una clinica

4' di lettura

Il recupero traina l’edilizia. Gli investimenti in riqualificazione sul patrimonio abitativo si confermano il motore del settore, rappresentando il 38% del valore degli interventi totali in costruzioni. In dieci anni il volume degli investimenti in manutenzione straordinaria è raddoppiato in termini reali, con oltre 46,5 miliardi di fatturato nel 2016, che si traducono in 700mila abitazioni ristrutturate. Questi sono alcuni dei dati evidenziati ieri a Milano da Scenari Immobiliari, in occasione della presentazione del secondo “Rapporto sul recupero edilizio in Italia e nuovi format digitali” redatto con Paspartu Italy. Numeri che parlano di ripresa se riferiti agli investimenti dei privati su singoli alloggi, ma che non incidono di fatto sul recupero di interi immobili e non hanno ricadute dirette, salvo qualche eccezione, sulla rigenerazione urbana.

L’Ance prevede per quest’anno un aumento del 2,4% in termini reali degli investimenti in costruzioni. Per il comparto residenziale, in particolare, l’incremento degli investimenti reali si stima sia dell’1,7% in più rispetto al 2017, con la prosecuzione del trend positivo delle ristrutturazioni, che dovrebbero registrare un incremento dell’1,3% in termini reali. Un’analisi, quella dei costruttori, che tiene conto delle misure contenute nella legge di Bilancio del 2017, con il prolungamento e rafforzamento degli incentivi fiscali esistenti, a cui si dovranno aggiungere gli effetti derivanti dal sismabonus ed ecobonus finalizzati proprio al miglioramento delle condizioni di interi edifici, a partire dai condomini.

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La soluzione del recupero edilizio viene privilegiata da molti per la possibilità di sconto e di guadagno in termini di valore che offre una ristrutturazione personalizzata. Ecco quindi che dal rapporto di Scenari Immobiliari e Paspartu si evince che sul totale delle 560mila transazioni stimate per il 2017, sono state acquistate 130mila abitazioni da ristrutturare, ovvero il 23,2% del totale e in crescita del 36,8% rispetto ai dati del 2016. Il nuovo costituisce il 15% delle transazioni, in rialzo del 2,4% in un anno, mentre gli appartamenti già ristrutturati rappresentano 346mila compravendite, in aumento dello 0,9% sul 2016. Analizzando i diversi capoluoghi di provincia, a Milano il 12,7% delle transazioni è ricaduta su alloggi da ristrutturare, il 13% a Torino, il 17,4% a Roma, salendo fino al 30,1% a Napoli con motivazioni in questo caso da ricercare nella qualità dello stock a disposizione nel capoluogo campano, dove le nuove iniziative residenziali scarseggiano.

Ma qual è il plusvalore di un’abitazione post recupero al netto dei costi sostenuti? «Ristrutturare conviene specie nelle città più grandi, dove lo stock a disposizione è più ampio e diversificato in termini di qualità. Nel 2018 – dice Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari – chi deciderà di comprare un immobile da ristrutturare otterrà un plusvalore che varia dall’1,6 al 10,4 % in più rispetto alla spesa effettuata. E al netto degli sconti fiscali che possono rappresentare un ulteriore venti per cento, ma diluiti nel tempo».

Ristrutturare significa anche dare una risposta a una domanda sociale. Il recupero edilizio diventa infatti uno strumento utile per adeguare il patrimonio esistente, costituito al 65% da alloggi di dimensione superiore agli 80 metri quadrati, a fronte di un 60% di famiglie composte da al massimo due componenti.

Per passare alla riqualificazione di interi edifici e quartieri la strada è però ancora lunga. Gli ultimi tragici eventi che hanno scosso il centro Italia hanno riacceso un faro sull’urgenza dell’adeguamento alle norme antisismiche di quegli edifici che ne sono sprovvisti, specie nelle zone più a rischio. In questa direzione si sono mossi il progetto Casa Italia, il bando per la riqualificazione delle periferie delle aree metropolitane e la legge sul contenimento del consumo del suolo. Ma la sfida della sostituzione edilizia non è ancora entrata nella cultura condivisa.

«Politica e misure fiscali – commenta Flavio Monosilio, direttore del Centro studi dell’Ance – spingono verso una dimensione individualistica del mercato. Si sottolinea la convenienza nel comprare immobili vecchi e usati, da riqualificare anche con un interessante plusvalore, tralasciando il fatto che se non si interviene sull’intero immobile si continuerà ad avere un alloggio di qualità in un edificio che non ha le medesime performance». La proprietà frammentata è un’annosa questione italiana e l’Ance ha ribadito anche nella recente campagna elettorale «l’urgenza di un quadro normativo che imponga la questione dell’interesse pubblico per certe operazioni su edifici inadeguati, per incentivare la demolizione e ricostruzione che non può essere assorbita dalla sola rendita fondiaria».

L’Ance chiede anche un’estensione dell’Ecobonus e del Sismabonus per interventi di sostituzione edilizia in zone a rischio terremoto, per edifici energivori e insicuri, abbattendo i costi e rendendo possibili importanti trasformazioni, anche aumentando la volumetria (ove possibile). Se l’obiettivo dell’agenda urbana nazionale resta quello di migliorare qualitativamente lo stock immobiliare, serve individuare una via, senza ulteriori vincoli burocratici, per incentivare un piano di recupero di qualità, riconoscendo l’interesse pubblico e la valenza sociale di un piano ambizioso. Magari anche con qualche progetto-pilota.

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