L'EDITORIALE

Zuckerberg si arrende all’evidenza: fare l’editore non è da tutti

Dopo tanti proclami e prove fallimentari sul campo, Facebook alza bandiera bianca e relega le news in second’ordine per scampare al pressing di molti governi e alle accuse sulla diffusione delle fake news. A dimostrazione che l’informazione non è uno scherzo e che a fare la differenza non sono i click ma la qualità

Pubblicato il 17 Gen 2018

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Alla fine ha ceduto. Alla pressione, quella mediatica, che si è rivelata molto più pesante di quanto previsto e che ha generato un effetto boomerang devastante. E ha ceduto anche all’evidenza – professata da molti per la verità ma giudicata roba da vecchio mondo da molti altri – che l’informazione è una cosa seria, una cosa da professionisti e che non ci si può improvvisare editori dalla mattina alla sera, nemmeno se ci si chiama Mark Zuckerberg. E così alla fine Facebook ha alzato bandiera bianca sulle news.

L’annunciato algoritmo super-intelligente che avrebbe dovuto stanare fake news e hate speech si è rivelato ben diverso alla prova dei fatti. Il social dei social ha tagliato la testa al toro: l’algoritmo in questione –altro non è che un sistema di instradamento delle notizie, o meglio di oscuramento delle stesse a meno di non modificare manualmente le impostazioni nella sezione NewsFeed. Per farla breve: sulla bacheca niente più news ma priorità ai post di amici e parenti. Insomma, Facebook torna a fare il suo mestiere e abbandona le ambizioni da editore, sbandierate appena un anno fa. Non tutti gli editori hanno accolto positivamente la notizia. Un paradosso se si pensa che quando le news sono approdate su Facebook, come fu a suo tempo su Google, il mondo dell’informazione ha gridato compatto allo scandalo. Col tempo le cose sono cambiate: è evidente che postare le notizie su Facebook può portare vantaggi in termini di visibilità a coloro evidentemente che di visibilità ne hanno scarsa. In quanto ad aumento di click, bisognerebbe avere sotto mano i numeri per verificare effettivamente quanti sono gli utenti che cliccano sui post e quanti invece sono quelli che si limitano a visualizzare i titoli.

Alcuni editori hanno accusato Zuckerberg di averli ingannati, di non aver mantenuto le promesse in merito agli accordi per dare visibilità alle notizie sulla piattaforma. Per non parlare degli investimenti in corsi di formazione per i giornalisti, tutti a imparare le nuove regole “sociali”, a fare i conti con il seo, le menzioni, gli hashtag. Ma di fatto i più penalizzati sono quei siti di informazione – spesso di malainformazione, a partire dai fake – che senza una forte presenza su Facebook e sugli altri social hanno scarsa possibilità di mantenersi in piedi. Non c’è bisogno dei social per raggiungere i lettori. O meglio, non è così indispensabile. Da che tempo è tempo l’informazione di qualità arriva a destinazione. E non è dirimente transitare dai social. E questo cambio di passo di Facebook può rappresentare per gli editori un’occasione per riflettere sui modelli di business digitali e per tornare a concentrarsi sul mestiere alias sulla qualità delle notizie. Che tanto morto un Facebook se ne fa un altro.

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