Burgnich: “Che emozione marcare Pelè. Il mio era un altro calcio, i difensori di ora sono troppo disattenti…”

Tarcisio Burgnich è stato intervistato dal Corriere dello Sport. Tra le varie ha parlato del suo rapporto con Herrera e Facchetti e delle sensazioni che si provano nel marcare Pelé. Ecco l’intervista integrale del numero 2.

LE SUE PAROLE

E’ vero quello che mi ha raccontato Mazzola, che Herrera dava delle pilloline prima delle partite?

“Sì, lui dava l’aspirina. Probabilmente era un prodotto che stimolava un po’ l’aggressività…”.

Lei con l’Inter ha vinto tutto: campionato, Coppa dei Campioni, Intercontinentale. Come si trovava con Facchetti? Siete rimasti una coppia mitica…

“Sì, in definitiva sono stato di più in camera con Facchetti che con mia moglie. Si andava in ritiro il venerdì mattina quando c’erano le coppe, poi si dormiva insieme, sia all’Inter che in Nazionale. Ci volevamo bene”.

Picchi come era? Perché è Picchi che l’ha soprannominata roccia…

“Giocavamo contro la Spal e l’ala era un suo amico, perché Picchi veniva dalla squadra di Ferrara. Si chiamava Novelli , in quella partita ho uno scontro con lui, insomma una pecie di placcaggio. Novelli è uscito di campo con un ginocchio un po’ malandato e allora Picchi lo prese in giro: “Te lo avevo detto che questo è una roccia e che ti avrebbe messo ko…”. E’ cominciata quel giorno, la definizione di roccia”.

Chi era il capo vero dello spogliatoio di quell’Inter?

“Era Picchi. Aveva personalità, tanto è vero che il Mago non lo amava molto…”.

Qual è, di quella esperienza all’Inter, la vittoria che ricorda con più piacere?

“Battere il Real Madrid nel ’64 a Vienna, in Coppa dei Campioni. Era una squadra leggendaria, sembrava imbattibile. L’abbiamo battuta”.

Com’ è marcare Pelé?

“Quello che io faccio con le mani lui lo fa con i piedi. Aveva tutte le qualità: era forte fisicamente, tecnicamente il numero uno. L’errore è stato mio, perché Rivelino è andato sulla fascia sinistra per fare il cross. Io ero attaccato a Pelé ma ho fatto un passo in avanti pensando che Rivelino potesse mettere la palla rasoterra. Invece l’ha alzata e io, se vede la foto, sono in obliquo, sono un po’ avanti a lui e con il braccio alzato. Tecnicamente ho sbagliato io. Ma Pelé era bravo di testa, di piedi, di mani, di cervello. Imbattibile”.

Quale è l’avversario più forte che ha incontrato?

“Quello che mi ha messo davvero in difficoltà, nella prima partita della finale dell’Europeo, è stato Dzajic. Lui rientrava molto e io gli andavo dietro. Così quando andava in possesso di palla ti puntava. E riusciva anche a saltarti. Oggi sono pochi i giocatori che sanno saltare l’uomo. Invece nella seconda partita ho accorciato le distanze su di lui, lo anticipavo. Nella partita precedente mi puntava, perché aveva lo spazio per vedermi in faccia”.

C’è oggi un difensore che le piace particolarmente?

“Io oggi guardo poco il calcio. Il gioco è cambiato, non ci sono più quelle marcature, quella aggressività sugli avversari… Io vedo che fanno gol dentro l’area piccola. Allora difficilmente si riusciva a segnare da lì. C’è molta disattenzione. Per fare il difensore ci vuole concentrazione massima, perché basta una piccola distrazione e l’attaccante ti frega. Bisogna avere molta concentrazione. E molta serietà”.

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