venerdì 15 febbraio 2019
Partigiano, fu senatore e ministro della Famiglia nel governo Dini. Il dolore di Mattarella: impegno per la democrazia
Adriano Ossicini (Ansa)

Adriano Ossicini (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

Molti, molti anni fa mi venne chiesto di organizzare un seminario sulla “fraternità”. Adriano Ossicini era appena stato nominato presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica: andai subito da lui, per farmi indicare i nomi di alcuni possibili relatori. Con mia grande sorpresa (e soddisfazione) Ossicini mi disse di essere lui stesso disposto ad aprire con una prolusione i lavori del seminario, senza però rivelarmi, malgrado una mia lieve insistenza, il taglio che avrebbe dato al suo intervento.

Con una certa ingenuità pensai, data la sua nota e forte identità di “cattolico di sinistra”, che egli si sarebbe mosso tra il Vangelo e gli slogan della rivoluzione francese, rivisti, corretti e amplificati dalla tradizione marxiana. Le cose andarono invece diversamente. Fin da quando prese la parola, assumendo un atteggiamento severo – che non gli era abituale – egli portò l’attenzione degli ascoltatori sul tema della crisi demografica: un tema di nicchia in quegli anni, tutti dominati dal mito di una sovrappopolazione planetaria da arginare con qualsiasi mezzo, ivi compresi quelli coercitivi tipici del lontano Oriente, finalizzati a imporre alle famiglie l’esperienza del figlio unico.

Il riferimento di Adriano Ossicini alla crisi demografica non era però propriamente demografico, ma antropologico. La fraternità, ribadì più volte Ossicini nella sua prolusione, non andava considerata alla stregua di un valore morale, di un’ideologia o comunque di un costrutto filosofico. A suo avviso era anche un errore insistere sulla fraternità come sul portato di una tradizione religiosa (anche se la Bibbia, egli fece notare, è tutta costruita su questo tema, che la attraversa come un filo rosso): la fraternità è piuttosto il dato costitutivo dell’esperienza del sé, quel dato che noi siamo obbligati a riconoscere come il limite che ci contraddistingue, accettando il quale ci umanizziamo e rifiutando il quale alteriamo la nostra umanità.

Ad Ossicini non interessava esaltare Abele o condannare Caino: gli interessava – e qui la sua esperienza di medico, di psicologo, di psichiatra, di bioeticista, di uomo politico, di parlamentare (profondo il dolore del presidente Mattarella che ne ha ricordato il lungo e coraggioso impegno per la democrazia) si rivelava compatta – capire il paradosso dell’identità umana, irriducibile a stereotipi formali e meno che mai a formule ideologiche.

Avere fratelli non è una scelta, come, ovviamente, non è una scelta non averne: ma quando ci interroghiamo sull’identità fraterna, come identità reale (per chi abbia fratelli) o potenziale (per chi non li abbia, ma avrebbe potuto averne) percepiamo che tale identità qualifica non solo la nostra soggettività, ma il nostro stesso bios, imponendoci di riconoscere la nostra finitudine. Qui si colloca la radice dell’amore fraterno (che può assurgere a paradigma universale dell’amore e quindi della sua straordinaria fecondità) e paradossalmente anche quella del conflitto tra i fratelli (che può assurgere a paradigma dell’odio e quindi della sua assoluta sterilità); qui si colloca la tensione che pervade la vita e che rende così laceranti le questioni bioetiche.

Credo che sia importante ricordare questa serie di insegnamenti, sviluppati da Ossicini con lo straordinario rigore di uno studioso, che in tutto l’arco delle sue esperienze di vita non si sottrasse mai al confronto, anche ruvido, con la storia (basti ricordare come sia riuscito a salvare la vita di tanti ebrei nei momenti più tragici dell’occupazione di Roma da parte dei nazisti).

Ecco perché quando, nel 1994, egli abbandonò la Presidenza del Comitato Nazionale per la Bioetica, per assumere la carica di ministro per la Famiglia e la Solidarietà sociale nel governo Dini, tutti i membri del Comitato capirono come fosse obiettivamente impossibile sostituirlo adeguatamente e come questa impossibilità costituisse in qualche modo un’allusione alla natura stessa della Bioetica, una disciplina irriducibile a schematismi normativi, sia di carattere etico che di carattere scientifico. Credo che i suoi due anni di Presidenza del Comitato abbiano lasciato questo segno, di cui dobbiamo essergli tutti grati e che il ricordo di Ossicini bioeticista non vada mai lasciato cadere.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: