25 novembre 2017

Incontri sulla medicina: Come si studiano Chernobyl e Fukushima (trascrizione)

Trascrizione integrale della videointervista di Paolo Magliocco a Timothy Mousseau.

L'intervista è stata realizzata durante la manifestazione BergamoScienza, che si è tenuta a Bergamo dal 30 settembre al 15 ottobre 2017.
(Trascrizione e traduzione a cura di P. Magliocco)

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Professor Mousseau, come ha cominciato a occuparsi degli effetti delle radiazioni?
Io sono un ecologo evoluzionista. Ed è stato per caso, solo per caso. Una ventina di anni fa fui mandato a Chernobyl per verificare se ci fossero possibilità di collaborazione. E così scoprimmo che pochissimo veniva studiato nella zona. Decidemmo che era un campo nuovo, con molte possibilità di esplorazione e di scoperta che non esistevano da nessun'altra parte.
Ci sono ben pochi posti al mondo nei quali hai la radioattività a livello dell'intero ambiente, non solo nel tuo laboratorio, ma a una scala che ci consente di fare ricerca a livello degli ecosistemi. E dunque questa è un'occasione unica per biologi evoluzionisti come noi.

Ma lei ha ricevuto anche molte critiche per il suo lavoro.
Oh, sì... Ma sa, ogni scienza che sia sul confine di ciò che non si conosce è spesso oggetto di critiche. E di scetticismo.
Era nuovo per noi lavorare in un campo che avesse così tanti interessi economici e politici. C'erano molti punti di vista diversi sull'importanza relativa dei rischi e dei benefici dell'energia nucleare. La nostra risposta è stata semplicemente di continuare a fare ricerca, farne di più, farla in modo scientifico, per fare la miglior scienza possibile con le risorse disponibili. Quando è successo l'incidente di Fukushima, nel 2011, è stato un disastro terribile, ma ci ha fornito l'opportunità di ripetere i nostri studi in un luogo completamente indipendente, in condizioni completamente indipendenti, ad eccezione delle radiazioni. E credo che uno dei punti di forza del lavoro che è stato fatto è che
stiamo osservando in molti casi risposte molto simili all'aumento nella radiazione di fondo e nella radiazione ambientale in entrambi i luoghi. E questo è molto potente dal punto di vista scientifico.

Qual è il modo in cui conducete gli studi, dal punto di vista pratico. Quali strumenti usate?
Il nostro primo lavoro è stato di andare e osservare molto attentamente, di contare il numero di organismi nei diversi posti, di osservarli attentamente per cercare i segni di ogni conseguenza delle radiazioni. Sappiamo che le radiazioni provocano mutazioni del DNA, sappiamo che alcune volte questi cambiamenti nel materiale genetico possono condurre a effetti fenotipici, sulla forma, la dimensione e il comportamento, la performance, la feritilità, su quanto vivono gli animali. Abbiamo cominciato a guardare a questi aspetti della storia della vita, della biologia, di tutti gli organismi che abbiamo potuto osservare.

Ho notato che avete una grande attenzione per l'ambiente e gli effetti fenotipici e meno di quel che mi sarei aspettato per gli effetti genotipici e l'analisi genetica. Perché?
Questa è un'ottima domanda. Soprattutto perché io sono per formazione un genetista!
Decisamente è un limite dei nostri studi. Finora abbiamo avuto una capacità molto limitata di fare analisi genetiche approfondite. La maggior parte dei nostri studi si è limitata ai danni più grossolani sul DNA, come rotture dei cromosomi. Solo recentemente abbiamo cominciato il sequenziamento dell'intero genoma per cominciare a guardare al cosiddetto tasso di mutazioni de novo, cioè mutazioni nella linea germinale, che si trasmettono da una generazione alla successiva. È soprattutto un problema di fondi scarsi per queste ricerche.

Uno dei problemi più importanti è come si possa determinare una relazione di causa-effetto in questi casi, dal momento che non potete condurre esperimenti controllati.
È vero. Abbiamo fatto molti sforzi nel tentativo di aggirare questo problema, dal momento che non siamo in grado, per lo più, di fare veri esperimenti. L'abbiamo affrontato in molti modi. Il primo modo è stato di ripetere le nostre analisi e i nostri studi in molti luoghi all'interno dell'area di Chernobyl. A Chernobyl ci sono aree di alta radiazione e aree di bassa radiazione, una accanto all'altra, è come un patchwork. Così abbiamo ripetuto i nostri studi in varie parti della zona di Chernobyl, circa 400 diversi luoghi, e diverse parti della Bielorussia. Più di recente, come le ho detto, il livello più importante di ripetizione usato è stato di confrontare il Giappone e Chernobyl, per vedere le somiglianze e le differenze per capire meglio le relazioni di causa-effetto che potrebbero esistere.

L'altro modo che abbiamo usato, ugualmente potente e forse di più, è stato di osservare non solo gli uccelli, ma anche un certo numero di specie di insetti e altri invertebrati, piante, i tassi di crescita delle piante, la loro fertilità, di recente un po' in dettaglio i roditori, e altri mammiferi. E così guardando molti diversi organismi e come rispondono, e confrontando le risposte, questo fornisce maggior sostegno alle nostre ipotesi.

E siete stati in grado di deteminare quale sia il livello minimo di radiazione pericoloso per gli esseri viventi?
Pericoloso è un concetto qualitativo e non usiamo questa parola nei nostri studi. Quello che noi cerchiamo è una descrizione della relazione tra il cambiamento nell'ambiente, in questo caso la radiazione, e le conseguenze per gli organismi. Possono essere effetti morfologici, danni genetici, alla fertilità, alla longevità. E quello che abbiamo trovato, ripetutamente, è che la relazione è piuttosto diretta, o può darsi logaritmica, dipende dalla scala che usi. Ma non c'è nessuna soglia, nessun livello minimo di radiazione sotto il quale non ci siano effetti visibili.

E questa correlazione statistica pensa che possa essere definita una prova scientifica? La sua ultima metanalisi è basata su 45 studi.
La prova è un concetto filosofico. Non c'è modo di provare nulla con certezza assoluta. Possiamo solo dare sostegno alle nostre ipotesi.

Ma ci sono livelli di confidenza.
Possiamo solo fornire vari gradi di confidenza o di sostegno alle ipotesi. E facciamo del nostro meglio per fornire il maggior livello di confidenza possibile. Per mostrare che forse questo andamento che osserviamo ha una probabilità molto bassa di essere frutto del caso. Ma anche con 45 studi (anche a me sembrano pochi e questo è colpa della mancanza di fondi) questi risultati sono di enorme sostegno all'ipotesi di una relazione tra la radiazione e il danno genetico. La probabilità statistica è estremamente bassa, nel senso che è molto improbabile che vediamo questo andamento solo per caso. È possibile che sia una causalità? Ovviamente. Ci sono molti fatti improbabili che avvengono in natura. Ma dato ciò che abbiamo, su cui lavorare, questo è il meglio che possiamo fare. Ed è di assoluta evidenza che ci sono conseguenze genetiche per questi organismi.

Nella sua metanalisi lei pone sei domande. La prima è una domanda molto molto semplice. I livelli di radiazione che vediamo a Chernobyl e Fukushima portano a conseguenze genetiche misurabili? C'è un danno genetico? Le mutazioni sono aumentate? In parte mi ha già risposto.
Abbiamo scritto due metanalisi negli ultimi dodici anni che mostrano in modo molto chiaro che la maggior parte degli studi che sono stati condotti, quando sono stati fatti con un rigore scientifico sufficiente, quando il metodo era sufficientemente robusto per trarre delle conclusioni, mostrano che c'è stato un aumento dei danni genetici per il livello di radiazioni osservato a Chernobyl. Non c'è assolutamente alcun dubbio che questo è ciò che la letteratura ci dice. Conta? Tutti subiamo mutazioni. Anche vivere comporta uno stress ossidativo che può produrre un danno genetico.

Il secondo punto riguarda le relazioni tra gli effetti fenotipici, nella forma, nella dimensione, nella performance, e mutazioni genetiche. Avete delle evidenze precise?
Abbiamo visto effetti sul sistema neurologico: negli uccelli il cervello è più piccolo nelle zone a maggiore radioattività di Chernobyl, e questo si riflette in una probabilità ridotta di sopravvivenza dell'uccello da un anno all'altro. Presumiamo, anche se non possiamo dirlo con certezza, che un volume minore del cervello significhi che le abilità cognitive non sono così buone e che da questo discenda una minore probabilità di sopravvivenza. Ci sarà bisogno di fare esperimenti per capire quali siano davvero i meccanismi che stanno sotto queste risposte.

La terza questione è: conta, da un punto di vista evoluzionistico?
Anche se c'è un aumento del numero di tumori e strane anomalie, nella forma e nella taglia, può darsi che questi effetti fenotipici non siano importanti da un punto di vista evoluzionistico. Tutti siamo diversi e spesso questo non coinvolge la nostra capacità di sopravvivere, di riprodurci e di trasmettere i nostri geni alla generazione successiva. Abbiamo studiato in particolare gli effetti sulla fertilità. Uno dei maggiori effetti che abbiamo notato è sulla fertilità maschile negli uccelli e anche nei roditori. Lo sperma ha molte più probabilità di essere malformato e ha meno probabilità di “nuotare” particolarmente bene. E infatti nelle aree più radioattive di Chernobyl, in alcuni anni il 40 per cento degli uccelli maschi non aveva sperma, erano completamente sterili. Può essere importante in termini di adattamento e di successo darwiniani? È probabile che abbia complessivamente un effetto sulla fertilità in questa popolazione. Potrebbe essere in parte il motivo per cui vediamo una popolazione molto più ridotta per alcune specie in queste aree più altamente radioattive.

C'è qualche segnale che le popolazioni si stiano adattando alla situazione?
Abbiamo da poco pubblicato una review in Trends in Ecology and Evolution in cui abbiamo preso tutti gli studi su Chernobyl che affermavano di aver mostrato un qualche tipo di adattamento positivo alle radiazioni. Erano davvero pochi, forse 15 o 16, li abbiamo analizzati per vedere se avessero sufficiente rigore scientifico e la nostra conclusione è stata che soltanto 2 fossero stati condotti con un rigore scientifico sufficiente per sostenere davvero l'ipotesi di un adattamento. Ed erano studi su batteri. Per i batteri quanto meno c'è una evidenza. E non è sorprendente, perché abbiamo visto l'adattamento di batteri e funghi alle radiazioni in laboratorio, è coerente con ciò che sappiamo di questi organismi. Sapere se si stia verificando un adattamento per altri organismi, a partire dagli uccelli, forse richiederà più tempo.

Ci sono conseguenze degli effetti delle radiazioni per l'abbondanza e la diversità delle popolazioni naturali?
Questo è stato uno dei punti maggiori dei nostri studi. È una domanda molto impegnativa perché gli incidenti sono per definizione imprevedibili. Non sai quando succederà un incidente, quanto sarà grande, dove avverrà. Perciò è piuttosto raro avere informazioni sulla situazione prima dell'incidente da confrontare con quella che trovi dopo. A volte abbiamo informazioni grossolane su quali specie potessero esserci, ma non abbastanza dettagliate per poter fare scienza in modo rigoroso. Il modo in cui cerchiamo di affrontare questo problema nel miglior modo possibile, per gli uccelli e gli insetti e anche per i mammiferi, è fare quello che definiamo un inventario biotico massicciamente ripetuto. Sia a Chernobyl che a Fukushima abbiamo visitato circa 400 luoghi per ciascuno, e abbiamo ripetuto le visite parecchie volte. Per Fukushima adesso 5 volte. Andiamo nello stesso identico posto e facciamo l'inventario, una lista di ogni specie che vediamo e il numero di indiviui della specie in quel posto. Da questa sorta di mosaico, questa gigantesca matrice di osservazioni che abbiamo attraverso più periodi, possiamo ricavare delle inferenze su quale potesse essere la situazione, dato quello che c'è nelle aree non contaminate. Possiamo mostrare molto molto chiaramente che ci sono riduzioni drastiche in molte specie, uccelli e insetti in particolare. Ma è importante notare che non tutte le specie sono colpite allo stesso modo. Ci sono alcuni fattori predittivi di quali specie di uccelli è più probabile che mostreranno un declino. Uno è il tasso di mutazione genetica. Ma ci sono anche la disponibilità di antiossidanti nel sangue e se siano o no migratori.

Gli effetti delle radiazioni sulle popolazioni hanno effetti sull'ecosistema?
È la domanda più generale e forse la più importante. Abbiamo adottato un approccio molto semplice, il meglio che potessimo fare, date le nostre risorse e il tempo disponibile. Per prima cosa abbiamo cominciato a guardare gli alberi. Quanto crescono rapidamento. La crescita degli alberi è influenzata da queste dosi di radiazioni che ricevono? Gli anelli degli alberi ci forniscono la storia delle loro risposte a questi cambiamenti nell'ambiente e così possiamo vedere nella nostra analisi l'effetto delle radiazioni, delle piogge, della temperatura e di altri fattori ambientali. Abbiamo mostrato, credo in modo alquanto certo, che ci sono forti impatti negativi sul tasso di crescita dei pini, che sono gli alberi più diffusi, nella zona di Chernobyl. E quando si sono combinati gli effetti delle radiazioni e della siccità, gli alberi sottoposti allo stress della siccità ma non alle radiazioni sono cresciuti molto meglio di quelli che li hanno subiti entrambi.
Abbiamo appena preparato un paper che ripete uno studio sul tasso di decomposizione dei microorganismi. Uno dei processi fondamentali in ogni ecosistema terrestre è come la materia organica morta, le foglie e i ramoscelli che cadono al suolo, vengono decomposti e riciclati in sostanze nutrienti che nutrono il resto della foresta. Camminando a Chernobyl l'abbiamo notato quasi per caso: lo stato di foglie sul suolo sembrava più spesso nelle aree colpite dalle radiazioni. Poteva essere solo una coincidenza, dovuta al tipo di alberi o al microclima, così abbiamo deciso di fare parecchi esperimenti per testare se i processi di decomposizione fossero influenzati dalle radiazioni. Ed è emerso che l'effetto c'è ed è maggiore sugli aghi di pino piuttosto che sulle foglie di betulla. È importante perché questo riciclo dei nutrienti è un motore della produttività primaria in qualunque ecosistema.

Un'ultima domanda. Lei è stato Chernobyl e Fukushima ormai molte volte. Non si è mai preoccupato per la sua propria salute conducendo questi studi?
Quando abbiamo cominciato a Chernobyl, all'inizio degli anni Duemila, avevamo letto la letteratura, il report delle Nazioni Unite, il Chernobyl report e questi rapporti indicavano che il livello di radioattività a Chernobyl fosse così basso che non ci fosse alcun rischio e infatti piante e animali prosperavano. Così non ci siamo preoccupati molto. Quando poi abbiamo fatto i nostri studi e cominciato a pubblicare articoli, abbiamo pensato che forse non fosse proprio così. E ora sappiamo che questo livello di esposizione è molto più significativo di quanto si pensasse prima e perciò stiamo molto più attenti a quanto ci esponiamo.