Sbagliare è umano, intimidire è diabolico.

C'è un comportamento particolarmente odioso, l'intimidazione.

Consiste nel minacciare, perseguitare, danneggiare o semplicemente impaurire chi intralcia qualcuno o un interesse per indurlo a non farlo più. Sembra un metodo riservato alle grandi organizzazioni criminali, la mafia per esempio, che per intimidire spara, uccide, minaccia, invece anche singoli o gruppi non criminali possono usare gli stessi mezzi. Possibile che un medico o uno scienziato subisca una minaccia semplicemente per aver diffuso la sua opinione (documentandola)? Possibile che succeda oggi, quando un episodio del genere (scandaloso), può fare il giro del mondo in pochi minuti? E possibile che la minaccia provenga non da un'organizzazione criminale ma da un'azienda rispettata e nota in tutto il mondo?
Sì, possibile, è successo e proprio in Italia.

Esiste una classe di farmaci che è sicuramente una delle più redditizie al mondo per chi la produce, sono i farmaci ipocolesterolemizzanti. Dietro questo nome complicato si nascondono quelle sostanze che riescono a far diminuire i livelli di colesterolo nel sangue che, quando sono elevati, possono rappresentare un fattore di rischio per certe malattie, in particolare quelle cardiovascolari. La loro efficacia nel diminuire questi livelli è provata, funzionano, ma vi è un dibattito molto acceso (in tutto il mondo scientifico) che riguarda l'efficenza, ovvero la capacità di diminuire le morti da malattia cardiovascolare. Per farla semplice: se questi farmaci diminuissero i livelli di colesterolo e di conseguenza la morte per malattia conseguente sarebbero fondamentali e veramente utili, se invece diminuendo i livelli di colesterolo (e questo come detto sanno farlo) non diminuissero (o diminuissero pochissimo) le morti, sarebbero poco utili (o inutili).
Essendo la classe di farmaci più venduti al mondo (le statine, una delle molecole che abbassano il colesterolo nel sangue, sono assunte da milioni di pazienti al mondo, ma oltre ad esse esistono altre molecole simili), si possono capire gli interessi dell'industria farmaceutica ad esaltarne i benefici minimizzando i rischi e quindi da qualche anno si continuano a studiare i dati clinici ed epidemiologici relativi a questo tipo di terapie, di studi sull'argomento ne esistono centinaia e come spesso accade è necessaria una buona dose di preparazione (e tanto tempo) per districarsi nell'enorme mole di dati presenti in letteratura. Non parlerò di questo, era solo un'introduzione all'argomento del post: l'intimidazione scientifica.
Già, perché il dibattito scientifico è fatto di ipotesi, idee, opinioni che possono essere corrette o meno, può essere molto acceso (sperando si mantenga negli ambiti della civiltà) ma ha (dovrebbe avere) un solo scopo: fare chiarezza e soprattutto essere utile al paziente.

Nel caso dei farmaci "anticolesterolo" sono tanti gli studi che ne analizzano rischi e benefici e ne escono continuamente di nuovi e questo non può che essere positivo, speriamo si faccia chiarezza sull'argomento nell'interesse di tutti, medici e pazienti.

Come ha provato a fare la rivista "Pillole", edita dal "Servizio educazione alla appropriatezza ed EBM" dell'ASL10 di Milano, diretto dal dott. Alberto Donzelli.

In tre numeri della rivista sono stati analizzati i dati relativi ad una molecola (ezetimibe, inibisce l'assorbimento intestinale del colesterolo) nella terapia dell'ipercolesterolemia associata alla dieta. Le conclusioni della rivista, che ha analizzato gli studi disponibili, erano che l'ezetimibe non è più efficace delle statine (al massimo dosaggio) nel ridurre il colesterolo (le statine, come detto prima, sono delle molecole che fanno diminuire il colesterolo nel sangue, come la molecola discussa), con un costo maggiore e senza particolari benefici sulla sicurezza. Insomma, tra le due molecole, da quanto concluso, sembra proprio che le statine convengano di più. Nei pazienti a rischio inoltre, la molecola non offre vantaggi e "non può essere considerato un trattamento alternativo".

La conclusione, oltre ad essere riportata sulla rivista, è stata oggetto di una lettera indirizzata ai medici di famiglia di Milano, proprio per illustrare quel risultato.

Ok, niente di strano, niente di eccezionale. Una rivista trae una conclusione dall'analisi degli studi disponibili e quell'analisi può essere considerata attendibile, può essere discussa e persino smentita se si hanno a disposizione dati diversi o altri numeri. Così si svolge il corretto dibattito scientifico ed oltretutto sui numeri (che sono un fatto e non un'opinione) si discute meglio. Questa conclusione inoltre non è così "stupefacente", proprio perché il dibattito sull'efficacia clinica dei farmaci anticolesterolo è ormai consolidato e proprio sull'uso di questa molecola, esistono molti pareri che lo definiscono "controverso" e sono ben conosciuti i trial che hanno messo in dubbio l'efficienza di questa molecola nel ridurre le placche aterosclerotiche che possono causare problemi cardiovascolari, notizie diffuse addirittura nella stampa generalista e questi dati sono confermati anche dai lavori più recenti. Nessuna rivoluzione né shock quindi, la rivista "Pillole" ha riportato un dato già noto in letteratura e che sta anzi aumentando di evidenza.

Così non la pensa l'azienda che produce quel farmaco: la MSD (Merck-Sharp-Dohme) Italia che ha pensato bene di annunciare una denuncia per danni alla rivista, all'ordine dei medici milanese, all'azienda sanitaria locale ed al responsabile della pubblicazione, il dott. Donzelli. Per la MSD quell'articolo e le sue conclusioni danneggiano gravemente l'azienda ed hanno procurato una perdita economica, ha chiesto infatti anche un risarcimento di ben 1,3 milioni di euro per un'iniziativa ritenuta "gravemente dannosa e lesiva dell'immagine e della reputazione di MSD Italia".

pillole e soldi

Che un'azienda subisca danni da una revisione scientifica (da parte di un addetto ai lavori) è un fatto molto singolare. Chi dovrebbe "controllare" i dati relativi ad un farmaco? Chi segnala gli effetti collaterali nel post marketing? Chi prescrive il farmaco e quindi si prende buona parte delle responsabilità sull'efficacia e la sicurezza?

Se un farmaco funziona ed è sicuro ci guadagnamo tutti, se non funziona o, peggio, non è sicuro il danno non è dell'azienda è del paziente prima di tutto e poi del medico che lo prescrive. Spendere il proprio tempo per controllare un farmaco quindi, è doveroso da parte del medico ed un'azienda deve accettarlo (anzi, un'azienda seria deve richiedere questo controllo).

Attenzione, la rivista può anche aver tratto conclusioni errate e l'azienda avere perfettamente ragione, può succedere ed in letteratura ci sono ancora molti dati discordanti (proprio come questo, lo abbiamo visto prima), ma la MSD deve rispondere nelle sedi adatte, scientifiche, non in tribunale o minacciando richieste di denaro. Questo potrebbe causare molte conseguenze spiacevoli, anche per l'azienda. Un medico ha il diritto (ed il dovere...) di analizzare in maniera maniacale i dati di un farmaco, di criticarne i risultati se vuole, di esporre i suoi dubbi e di diffondere notizie sulla sicurezza ed efficacia di un prodotto farmaceutico, i controlli non sono mai troppi. Un'azienda, che da quel farmaco guadagna, ha anch'essa il diritto di rispondere, fornire altri dati, discuterne, dimostrare. Un'azienda che "risponde" chiedendo un risarcimento in denaro non sta partecipando ad un dibattito scientifico, sta intimidendo, sta scoraggiando ogni voce critica e questo è gravissimo.

Ma l'azienda, oltre all'aspetto etico del suo gesto, dovrebbe riflettere anche su altre conseguenze, spesso inaspettate, come il cosiddetto effetto Streisand. Un'industria o un personaggio che vuole "difendere" dei suoi presunti interessi fa tanto di quel rumore che alla fine ottiene l'effetto contrario e rimedia una figuraccia epocale e mondiale. Oppure, se noi medici dovessimo ragionare come la MSD Italia, ogni volta che un farmaco non funziona, ogni volta che non otteniamo i risultati promessi o ogni volta che un'azienda non ci fornisce tutti i dati relativi all'efficacia ed alla sicurezza di un suo prodotto (e succede, eccome se succede), chiederemo i danni, d'altronde il lavoro ed i successi di noi medici dipende anche dalla qualità dei prodotti farmaceutici.

Spero questo non debba succedere mai, perché mai bisognerebbe tradire il filo delicatissimo e sottile che unisce azienda, medico e paziente. È una catena di fiducia e rispetto reciproci, i pazienti si fidano del medico che si fida dell'azienda. Se solo uno di questi anelli si rompe inizierebbe qualcosa di poco piacevole e dannoso per tutti e non si parla soltanto di danni economici.
A questo punto e visto che la vicenda ha avuto eco internazionale (e non si può parlare certo di "bella figura"), la MSD ha pensato bene di recuperare qualche posizione e lo ha fatto con una dichiarazione del portavoce che parla di "incidente" e di "errore nella gestione del caso italiano", assicurando che non ci saranno conseguenze legali per i ricercatori e che il dibattito si svolgerà nelle sedi scientifiche adatte, come le riviste.

Ottimo, forse il caso è stato davvero "semplicemente" una cattiva gestione locale (italiana) ed arcaica delle controversie e la MSD ne ha pagato le conseguenze almeno di immagine. Questo però non evita alcune riflessioni.

L'azienda farmaceutica ha un dovere enorme, oltre al diritto di guadagnare, ha delle responsabilità grandissime ed ha, nei medici, un anello di congiunzione con i pazienti. Per questo dovrebbe essere alleata dei medici come dei dei pazienti, felicissimi di sostenerla ed apprezzarla davanti a molecole sempre più sicure ed efficaci ma altrettanto severi nel criticarla e giudicarla quando qualcosa non convince. Il giudizio indipendente, slegato dal marketing e diffuso da chi le medicine le usa (da medico o da paziente), è vitale per la nostra salute e per la sicurezza di chi si occupa di farmaci, persino dei produttori, che delle critiche possono farne tesoro. Non accettarle o, ancora peggio, scoraggiarle o addirittura boicottarle è pericoloso, economicamente e per l'immagine del produttore, oltre a rappresentare una pesante censura che si trasformerebbe in un rischio per il paziente.

È già successo qualche anno fa, quando un'azienda mise in vendita una sostanza che si chiamava rofecoxib e che sembrava una panacea per le infiammazioni ed i dolori articolari. Qualcuno fece notare che quel farmaco aveva degli effetti collaterali inaspettati e molto gravi che il produttore non aveva sottolineato abbastanza ed anche in questo caso l'azienda denunciò la rivista che osò mettere in dubbio le sicurezze un po' avventate. La MSD questa storia dovrebbe conoscerla benissimo, visto che produceva proprio quel farmaco, il pericoloso Vioxx che causò migliaia di morti in tutto il mondo prima di essere ritirato dal mercato. La rivista locale aveva ragione, vinse la causa e quella storia ha fatto il giro del mondo come esempio di cattiva medicina (o meglio, cattiva condotta di un'azienda farmaceutica). Stessa sorte di questa nuova vicenda, che è finita anche sul British Medical Journal a firma del nostro Fabio Turone, giornalista scientifico. L'azienda quindi, oltre alla pessima figura d'immagine, a questo punto internazionale, non ha evidentemente imparato nulla dagli errori del passato e questa non è certo una cosa di cui andare fieri. Unico punto a favore il ripensamento, tardivo ma presente.

Che facciamo, MSD (e tutte le altre aziende del settore), tanto per saperlo, vogliamo finalmente fare tesoro degli errori del passato o vogliamo perseverare? Perché se sbagliare è umano...

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66 commenti RSS

  • Ormai è questione solo di ore. E poi sapremo che reale valore terapeutico attribuire a un farmaco già ampiamente usato da innumerevoli persone, sia in Italia che negli altri Paesi del Mondo.
    Speriamo - soprattutto - che non si riveli una completa bufala. Anche se si deve ammettere che in ambito scientifico è sempre possibile l' errore, anche macroscopico. Comunque, cerchiamo di essere ottimisti e incrociamo le dita. Fra poche ore, sapremo... (suspence!)

  • Vanessa
    ecco i risultati dello studio IMPRUVE-IT: l'aggiunta di ezetimibe alla sinvastatina riduce significativamente (RR - 6,4%) l'incidenza di ictus e infarti ma non sposta la mortalità. Ovvero: un pochino funziona ma il risultato è modesto, parziale e soprattitto clinicamente irrilevante (considerando che basta cambiare la sinvastatina con un'altra ad alta efficacia per ottenere risultati molto maggiori, netti ed indiscutibili). Cioè niente di nuovo rispetto a ciò che si sapeva già.
    Anzi questo è il classico esempio di come un risultato oggettivamente positivo non può essere preso come dogma: nella scienza non esisto i dogmi, le verità scientifiche sono frutto di intere costellazioni di studi verifiche e dati coerenti tra di loro. Questo però è un concetto complicato da spiegare al grande pubblico...

  • E ora cosa farà Donzelli?

  • Semplice, basta sostituire la frase "non ha mai dimostrato di ridurre gli eventi gravi più di simvastatina da sola" con "ha dimostrato una modesta riduzione di eventi gravi rispetto alla sinvastatina da sola senza però ridurre la mortalità". Tutto il resto rimane valido, dalla riflessione sui costi alle valutazioni di scarsa efficacia rispetto alle altre statine. Diciamo che ora, pur rimanendo valida ed immutata la sostanza, c'è più materiale per buttarla in caciara

  • Grazie per l'articolo! Io rispetto alla farmacologia ritengo che bisogna essere prudenti sui nuovi farmaci, la sperimentazione è necessaria.
    Però mi preme sottolineare due aspetti:
    1: Spesso è successo che la cause farmaceutiche hanno boicottato farmaci efficaci che riducevano i loro guadagni. Allo stesso tempo, stregoni, autodefinitisi scienziati hanno usato l'opinione pubblica e la disperazione dei malati per vendere intrugli.
    Bisogna essere prudenti!

  • Grazie! Che complicato il tema della salute!

  • "Medical Journals Are an Extension of the Marketing Arm of Pharmaceutical Companies"
    http://journals.plos.org/plosmedicine/article?id=10.1371/journal.pmed.0020138

  • Si, Sara
    le riviste scientifiche sono piene di articoli pubblicati case farmaceutiche che hanno interesse nel farmaco studiato, strano che gli studi sui farmaci non vengono pubblicati dai panettieri o dagli astronauti che non hanno alcun interesse in materia. Al di là della battuta la differenza tra una casa farmaceutica che svolge in studio e lo pubblica su una rivista quotata e un ciarlatano che si inventa una cosa e la pubblica su YouTube è proprio che l'azienda farmaceutica non può permettersi di contare balle pena lo sputtanamento mentre il santone non può permettersi di raccontare la verità

  • Pero', chi ci avrebbe pensato?

  • Svelato finalmente il misterioso complotto di BigPharma: ci sono molti articoli su ricerche effettuate da case farmaceutiche (anche quelle omeopatiche, eh?)! Svegliaaa!

  • Infatti e' tutto un complotto anche la mafia.

  • Sara: qual'è il nesso tra la ricerca farmaceutica e la mafia?

  • Che non sia l'indiscutibile ed inattaccabile "è tutto un magna magna". Perché davanti all'evidenza schiacciante del magna magna non è possibile più alcuna reazione

  • E non dimentichiamo, cara Sara, che ormai neppure le stagioni mediane dan più le garanzie di un tempo. Anche di questo è necessario tener di conto in una discussione. ..

  • Ma soprattutto, di notte tutte le vacche sono nere.

  • What's up, the whole thing is going fine here and
    ofcourse every one is sharing data, that's genuinely fine,
    keep up writing.