La libertà di cura è un fondamento di una società civile. Libertà di come curare la propria salute significa che ogni individuo deve essere libero di accettare o rifiutare una cura proposta per la sua malattia e può fare lo stesso anche quando si parla di cure “di fine vita”, ognuno dovrebbe essere libero persino di rifiutare qualsiasi terapia seguendo il decorso naturale del male che lo affligge, è un diritto sancito dalla Costituzione: ognuno di noi è l’unico padrone del proprio corpo. Libertà di cura significa poter decidere di noi stessi, sempre, anche nel giorno in cui non potremmo comunicarlo per via di condizioni di salute gravi, poter chiedere di evitare l’accanimento terapeutico, significa insomma decidere cosa fare delle nostre cellule.

La vera libertà però si conquista con l’informazione e la consapevolezza e trova nel dolore e nella disperazione dei nemici imbattibili e per questo motivo, accanto alla scelta, è necessaria una cultura scientifica e medica che sia accessibile a tutta la popolazione a partire da chi decide e governa, se questa cultura non esiste bisogna affidarsi a chi ce l’ha o si finisce vittime di truffe e ciarlatanerie. L’ignorante non è libero, sarà per sempre un succube e rischierà di scegliere male in nome di un’errata convinzione, un’ideologia o informazioni scorrette, spesso fornite per interessi poco nobili.

Qualcuno confonde il diritto alla libertà di cura con una sorta di mercato: il venditore più furbo convince urlando che la sua merce è la migliore ed il cliente ingenuo abbocca e compra, la salute non è una merce, ma è un diritto ed il paziente non è un cliente da convincere ma un individuo al quale assicurare le prestazioni migliori. La società civile ha un altro diritto incontestabile, quello di garantire a tutti il diritto alla salute. Il contributo di tutti i cittadini paga le spese per le cure del singolo e questo è un segno di grande sostegno sociale. Naturalmente non è possibile che tutta la società sostenga le scelte personali del singolo, altrimenti dovremmo sostenere le spese di chi vuole curarsi con i viaggi a Lourdes, con i riti degli sciamani o con le tisane magiche e chi sostenesse che acquistare diamanti sia un’arma potentissima contro la depressione, richiederebbe il contributo di tutti per l’acquisto della sua “ricca” medicina. Per questo è importante definire cos’è una cura. Un bagno d’oro lo è? Una pozione magica? Un rito propiziatorio è qualcosa di cui la società deve farsi carico? No, cura è tutto ciò che ha dimostrato di esserlo, nel miglior modo possibile, che oggi è il metodo scientifico.

La scelta quindi è abbastanza logica: la società sostiene solo le cure che hanno mostrato scientificamente di funzionare. Chi per sua scelta o convinzione (se maggiorenne e capace di intendere) volesse sottoporsi a cure che non hanno dimostrato alcun beneficio può farlo, è suo diritto, ma a sue spese. Credo non ci sia nulla di “eclatante” in una regola come questa, tanto è limpida e di buon senso. Questo concetto spesso fa a pugni con quanto decidono certe sentenze di cui abbiamo avuto notizia anche recentemente, come nel caso di Stamina o della “cura Di Bella” o per altre cure inefficaci: una persona decide di seguire la cura non scientifica, ma un giudice impone il rimborso per l’acquisto di quei farmaci o l’obbligo della sua somministrazione.

Questo tipo di controversie nasce spesso dalla mancanza di informazione corretta e dal punto di vista giudiziario anche dal fatto che un giudice, non essendo un uomo di scienza, basa le sue decisioni su perizie, spesso di parte, altre volte superficiali, a volte spinte dall’opinione pubblica. La disperazione per una grave malattia (personale o di una persona cara) rende vulnerabili ed esalta qualsiasi speranza, anche la più flebile o incredibile. Molte persone, di fronte ad una diagnosi grave, cercano in giro chi possa fornire appigli o possibilità di salvezza. Troveranno decine di “guaritori” o “cure” che promettono risultati incredibili, guarigioni insperate, tutte, chissà perché, mai dimostrate efficaci. Questi “guaritori” si fanno pubblicità nei luoghi più frequentati della rete vivono di notorietà e nessuno di loro regala la cura, potete scommetterci, nessuno di loro vive a contatto dei malati in ospedale, nessuno ha mai sperimentato la reale efficacia della presunta terapia eppure la vendono come risolutiva, provata, quasi miracolosa. Sopperiscono alla mancanza di efficacia della pseudocura spendendo fiumi di parole sui limiti della medicina, sulla “concorrenza”: se non puoi dimostrare di essere migliore, prova a dimostrare che il concorrente è peggiore, è una vecchia regola del commercio (scorretto).

Così sono migliaia i disperati che spendono migliaia di euro in farmaci e pozioni inutili, passano il loro tempo in cerimonie terapeutiche estenuanti, vanno all’estero o si rivolgono a persone e strutture che sono vere e proprie trappole con tanto di staff pubblicitario e premono per un rimborso o per effettuare la cura nelle strutture pubbliche in nome di un inesistente “diritto a sprecare i soldi di tutti”, cosa già successa (caso Stamina o voli di stato per “cure all’estero” inutili). C’è un preciso interesse da parte di questi truffatori nel confondere due concetti: quello di “libertà di cura” e quello di “diritto alla cura”. Tutti abbiamo diritto di curarci, ma la comunità può aiutare solo chi vuole curarsi nel migliore dei modi. Chi sceglie altre vie e quindi fa una scelta consentita ma personale non può chiedere alla sua comunità di sostenerlo nella scelta, umanamente forse sì, ma economicamente no, perché questo non significherebbe aiutare chi sta male ma essere complice di chi truffa, al quale della scienza non interessa nulla, mai in ogni caso, di quanto gli interessino i soldi e questo dovrebbero capirlo i cittadini, i governanti ed i giudici.

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