Alla ricerca dei componenti di materia ed energia oscura
La sfuggente materia oscura e l'ancor più enigmatica energia oscura possono essere studiate anche in laboratorio senza dover aspettare di rilevare i prodotti diretti della loro interazione con la matera ordinaria in seguito a collisioni cosmiche ad altissima energia. A dimostrarlo sono due studi che hanno posto diversi limiti alle possibili teorie su di esse(red)
Le teorie che cercano di spiegare la materia oscura e e l'energia oscura hanno ora dei limiti più stringenti grazie a due studi pubblicati su “Science”. Questi studi mostrano inoltre come sia possibile ricercare effetti misurabili di queste due sfuggenti entità con esperimenti “di laboratorio” invece di essere costretti a rilevarne le componenti nelle collisioni ad altissima energia che avvengono su scala cosmica e – forse - in quelle realizzabili in acceleratori della potenza di LHC al CERN..
La materia oscura serve a spiegare l'esistenza delle galassie, il cui vorticoso moto rotatorio dovrebbe disintegrarle se non fosse compensato da una forza gravitazionale decisamente molto più elevata di quella prodotta da tutta la materia ordinaria che contengono. L'energia oscura è stata invece postulata nel 1998, quando gli scienziati hanno osservato che l'universo si sta espandendo a un ritmo sempre crescente, apparentemente sotto l'influsso di una pressione invisibile che permea tutto lo spazio.
In questa immagine dell'ammasso di galassie Abell 2744 è indicata in blu la presunta distribuzione della materia oscura, ricavata da calcoli teorici (in rosso, rosso la distribuzione dei gas) (Cortesia NASA, ESA, ESO, CXC & D. Coe (STScI)/J. Merten, Heidelberg/Bologna)L'assenza di dati di laboratorio che imponessero severi limiti alle possibili spiegazioni di materia ed energia oscure ha portato a una vera fioritura di ipotesi sulla loro natura, che i due studi ora pubblicati contribuiscono a sfoltire.
Una delle teorie più accreditate sulla materia oscura, per esempio, prevede che sia composta dalle cosiddette WIMP (Weakly Interacting Massive Particles), particelle massicce che hanno la caratteristica di interagire molto debolmente - e quindi molto di rado - con protoni e neutroni. Tuttavia, se per caso urtano un atomo, gli comunicano una piccola quantità di energia, perturbandone lo stato in modo teoricamente rilevabile. Purtroppo, però, distinguere questa perturbazione da quelle generate da altre fonti è estremamente difficile.
Nel 1998 la collaborazione DAMA/LIBRA, che si serviva di uno scintillatore a base di ioduro di sodio nei Laboratori nazionali del Gran Sasso per osservare queste perturbazioni, aveva individuato un possibile segnale periodico di collisione fra WIMP e atomi, legato alla rotazione della Terra attorno al Sole.
Schema dell'apparato Xenon100 presso i Laboratori nazionali del Gran Sasso. (Cortesia Laboratori Nazionali del Gran Sasso/INFN)Ora però – come è illustrato nell'articolo dedicato alla materia oscura – la XENON Collaboration (diretta dall'italiana Elena Aprile della Columbia University) che ha sfruttato un rilevatore allo xeno molto più sensibile di quello di DAMA/LIBRA,ospitato anch'esso al Gran Sasso, ha stabilito che quel segnale non era prodotto dalla materia oscura. Ma non si tratta di una cattiva notizia. L'assenza di segnali ha infatti permesso di escludere tutte le teorie secondo cui la materia oscura sarebbe "leptofilica", cioè preferisca interagire con gli elettroni (leptoni, in base alla classificazione delle particelle) anziché con i nuclei atomici. D'ora in poi ci si potrà limitare al controllo delle teorie che prevedono solo un'interazione nucleare.
Il secondo articolo descrive invece un metodo per testare una serie di teorie sull'energia oscura. P. Hamilton e colleghi hanno usato un interferometro a singolo atomo di cesio in camera a ultravuoto per cercare la cosiddetta “particella camaleonte”, una particella associata al campo dell'energia oscura.
Il cuore dell'apparato usato negli esperimenti di Hamilton e colleghi. (Cortesia Holger Mueller/Science/AAAS)Il nome “camaleonte” è legato all'ipotesi che la massa di questa particella cambierebbe in funzione delle condizioni dell'ambiente in cui si trova, in pratica mimetizzandosi agli occhi dell'osservatore. In particolare, la particella eserciterebbe una forza inversamente proporzionale alla massa presente nell'ambiente circostante: su un pianeta come la Terra, l'attrazione o la repulsione sarebbe quindi debolissima ed estremamente difficile da rilevare, mentre nel vuoto dello spazio profondo, a scale cosmiche, la forza avrebbe un'intensità tale da spiegare l'accelerazione dell'espansione dell'universo.
I dati interferometrici ottenuti nei primi esperimenti da Hamilton e colleghi hanno posto dei limiti a come può essere la particella camaleonte - ammesso che esista, cosa che non hanno dimostrato. Di conseguenza, i loro risultati hanno già ridotto notevolmente le possibili teorie che spiegano l'energia oscura invocando l'esistenza di una "quinta forza" accanto alle quattro forze fondamentali (gravitazionale, elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole). Ulteriori applicazioni della tecnica da loro adottata potrebbero inoltre escludere anche altre teorie.