La vita disperata dei pavoni

I maschi dei pavoni per accoppiarsi devono inventarsi di tutto: fare la ruota, emettere ultrasuoni e fingere di avere avuto più compagne di quelle che hanno avuto davvero

di Rachel E. Gross – Slate

Un pavone nello zoo di Santa Cruz a San Antonio del Tequendama, in Colombia, nel marzo del 2014.
(LUIS ACOSTA/AFP/Getty Images)
Un pavone nello zoo di Santa Cruz a San Antonio del Tequendama, in Colombia, nel marzo del 2014. (LUIS ACOSTA/AFP/Getty Images)

È così facile disprezzare il pavone. Se lo guardate mentre avanza vanitoso, cammina impettito, e si volta sfacciatamente per controllarsi il didietro, capirete perfettamente come si è guadagnato la reputazione del più insopportabile narcisista in natura.

Chiedete a Jessica Yorzinski, ricercatrice sui pavoni alla Purdue University, che lo ha osservato nel suo momento di minor dignità: mentre sfoggiava tutte le sue qualità di maschio per la specie sbagliata. Davanti agli occhi di Yorzinski, un pavone ha fatto svolazzare le piume, ha chinato la testa e scatenato i suoi strilli impudichi mentre si dirigeva a squarciagola verso l’oggetto del suo desiderio (lo spettacolo conosciuto come “fare la ruota”), solo per scoprire che stava cercando di montare uno scoiattolo. «Per quel che ho visto io, la cosa non è mai andata a buon fine. Lo scoiattolo se la svigna sempre piuttosto rapidamente».

Come ha potuto la natura inventare una creatura così ornamentale, ingombrante ed equipaggiata in modo talmente futile e costoso? Questa domanda teneva Charles Darwin sveglio la notte. Inizialmente la coda del pavone, così voluminosa e vistosa, sembrava contraddire la teoria della selezione naturale per cui gli animali avevano successo o soccombevano in base alla loro capacità di adattarsi con efficacia alla natura circostante. «La vista di una piuma della coda del pavone, da qualunque lato la si consideri, mi fa sentire male», scrisse una volta Darwin a un suo amico.

Ma soffermarsi sulla goffaggine di questo uccello significava perdere di vista il punto. I pavoni erano soggetti alle pressioni della selezione naturale come qualsiasi altro animale; semplicemente rispondevano a richieste leggermente diverse. Il corteggiamento dei pavoni – come quello del gallo della salvia, del colibrì e della mosca della frutta – ruota attorno al lek, cioè una zona definita in cui i maschi si radunano per corteggiare le femmine, ostentando i colori del piumaggio o del mantello, danzando e cantando. I pavoni si sono quindi evoluti per esibirsi davanti alle femmine della loro specie insieme ad altri maschi. E le femmine pavone possono essere davvero difficili: in un normale lek circa il 5 per cento dei maschi ottiene la maggior parte delle femmine, mentre quasi tutti gli altri non ottengono niente di niente, spiega Angela Freeman della University of Winnipeg di Manitoba, in Canada. Quando si parla di forti incentivi per compiacere la tua donna!

E così Darwin, come i pavoni femmine, capì il senso dell’insensatezza del pavone. Invece che una minaccia alla sua teoria, questo uccello divenne il suo manifesto: la sua totale futilità lo rendeva l’esempio supremo di come la selezione naturale potesse causare mutamenti spettacolari in una specie. «Spesso ne scopriamo nuove pieghe, ma la teoria della selezione naturale è talmente potente che il suo funzionamento non deve stupirci», dice Robert Montgomerie, biologo evoluzionista alla Queen’s University. Oggi ricercatori come Yorzinski, Montgomerie e molti altri costruiscono nuove teorie a partire dagli studi di Darwin.

Per esempio, questi ricercatori hanno scoperto che non basta l’apparenza per attirare un pavone femmina. Una recente ricerca pubblicata su Animal Behaviour ha scoperto che i pavoni fanno affidamento sul suono e sul movimento quanto sull’aspetto: per attirare le femmine, per esempio, emettono infrasuoni che le orecchie umane non riescono ad avvertire. «Il quadro che emerge è che l’udito può essere di gran lunga più importante della vista», dice Jim Hare, scienziato del comportamento animale alla University of Manitoba e capo ricercatore dello studio. Hare ha anche osservato pavoni in cattività mentre tubavano con le pareti del rifugio in cemento in cui si trovavano: l’equivalente acustico del fare le prove davanti allo specchio.

Per avere successo, il pavone maschio non deve essere soltanto glorioso: deve essere più glorioso di tutti i suoi simili. Nella sua ultima opera non ancora pubblicata, Yorzinski ha utilizzato una tecnologia all’avanguardia che permette di tracciare il movimento degli occhi dei pavoni e seguire così lo sguardo dei maschi. Ha scoperto così che i pavoni passano un’esorbitante quantità di tempo – circa il 30 per cento – a studiare gli altri maschi nel lek, per farsi un’idea della concorrenza. Può sembrare una perdita di tempo, ma secondo Yorzinski non è così. «I maschi possono anche infilarsi in qualche lotta piuttosto dura tra loro», spiega.

Ma tutto quel soffiare e sbuffare è davvero necessario? Sfortunatamente sì: i pavoni femmine sono un pubblico piuttosto sgarbato. In alcuni studi in cui sono stati monitorati gli occhi delle femmine, Yorzinski ha scoperto che spesso non si curano del ricco piumaggio dei maschi. I loro occhi vagano in giro mentre beccano a terra con nonchalance, anche quando un maschio inclina le penne controluce in un arco di lucente iridescenza. Per farsi notare, i maschi devono giocare tutti i loro assi nella manica (compreso l’inganno: sanno fingere falsi versi di accoppiamento per far credere di aver ottenuto più femmine di quanto ne abbiano avute davvero).

Non possiamo considerare questo uccello se non come un concentrato di pena. Il suo modo di fare impettito maschera una profonda disperazione: i suoi sforzi non sono convincenti, è tutta fatica sprecata. Non conquisterà le femmine, non trasmetterà i suoi geni e non avrà alcun impatto sul futuro della sua specie. Sarà soltanto un granello appariscente nelle sabbie del tempo. Yorzinski la mette giù così: «I maschi possono combattersi quanto vogliono, e probabilmente si piazzeranno in un buon punto di passaggio delle femmine, ma alla fine saranno sempre le femmine a decidere».

Ma ricordiamolo: chi tra noi non si è mai svilito in nome dell’amore? Chi non è mai bruciato di così tanta passione che, per almeno un momento, ha perso la testa e ha dimenticato sé stesso nella ricerca solitaria di un altro sfuggente? Senza lo sguardo dell’altro – «l’unico presupposto che rende la nostra esistenza sopportabile è che qualcuno ci stia guardando», come dice lo scrittore Tom Stoppard – anche noi saremmo scoperti in tutti i nostri disperati atti di affetto, «mentre ogni gesto e ogni posa si perdono nell’aria sottile e disabitata».

Perché l’amore, a quanto pare, è come la coda di un pavone: cieca ma piena di occhi.

© Slate 2015