Storia del grande George Lucas

Dai primi film sperimentali al successo mondiale di Star Wars, il cui prossimo film vedrà per la prima volta al cinema come tutti gli altri

di Hank Stuever – Washington Post

George Lucas (ANDREA BALDO/AFP/Getty Images)
George Lucas (ANDREA BALDO/AFP/Getty Images)

Al ranch, sì. Sì. Sentila scorrere dentro di te. Il cancello, la strada, le colline, gli alberi, la vigna. Tu, lui, la casa. Illuminati noi siamo. Tutto questo è stato costruito nel 1980 con le montagne di soldi di quel primo Star Wars, ma la casa principale fu costruita per sembrare molto più vecchia e grandiosa, vittoriana nello stile, un’autentica imitazione che si crogiola nel sole di Marin County.

In un breve corridoio accanto al foyer ci sono due discrete bacheche di vetro che contengono quello che si penserebbe di vedere superate le guardie dello Skywalker Ranch: la spada laser di Darth Vader, il Sacro Graal di Indiana Jones, quel genere di cose. I visitatori a volte sono delusi dal fatto che il posto non sia completamente pieno di quelle cose. Curiosando in giro – ammirando tutte le opere d’arte, incluso un dipinto di Norman Rockwell del 1920 – a un certo punto il 71enne regista George Lucas arriva silenzioso alle tue spalle nelle sue scarpe da tennis bianche, i suoi jeans sbiaditi e quei voluminosi capelli argentati, a loro modo notevoli.

Questa settimana Lucas riceverà il Kennedy Center Honor per i suoi film e per la tecnologia cinematografica che ha contribuito a sviluppare, ma lui fa notare subito di essere l’unico ricevente del premio di quest’anno a non essere un performer. “Lavoro nell’ombra”, dice Lucas, e di questi tempi lui è più familiare con il buio dello Spazio profondo. “Una volta che esci dalla luce del riflettore, tutti si dimenticano di te. E va bene così”.

È strano essere il padre di Star Wars in questo momento. I Kennedy Honors vengono assegnati solo 12 giorni prima dell’uscita di Star Wars: Il risveglio della forza, il settimo episodio della saga, diretto da J.J. Abrams. Se si guarda attentamente ai credits sul poster del film si nota che il nome di Lucas non c’è da nessuna parte, a meno che non si conti anche la parola “Lucasfilm”.

Da quando ha venduto la Lucasfilm alla Disney tre anni fa in un incredibile affare da 4 miliardi di dollari (che ha comportato anche consegnare tutti i diritti su Star Wars e Indiana Jones) Lucas non ha avuto nessun rapporto con i nuovi film, nonostante alcune prime notizie secondo cui avrebbe lavorato da consulente esterno. Lui dice che a Disney “non sono piaciute” le storie che aveva tratteggiato per i sequel. Gli diventò presto chiaro che la sua creatura sarebbe andata per la sua strada da sola, alla velocità della luce. Disney adesso sta costruendo due enormi parchi a tema Star Wars e ha altri progetti cinematografici, a parte gli episodi VIII e IX della saga.

“Io lo definisco un divorzio”, dice Lucas candidamente. Ha sempre saputo che a un certo punto avrebbe dovuto prendere una strada diversa da Star Wars per far continuare a vivere la saga. “Non esiste quella cosa di lavorare sulle spalle di qualcun’altro. O sei il regista o non lo sei. E fare altrimenti non funzionerebbe, allora ho detto: ‘divorziamo’. Sapevo che non sarei più stato coinvolto. Tutto quello che farei lavorando ai nuovi film sarebbe farli sentire infelici e fare sentire me stesso infelice. Rovinerei la visione generale: J.J. ha una visione ed è la sua visione”, dice Lucas.

Solo due settimane fa, mentre i fan che impazzivano per i nuovi trailer de Il risveglio della Forza, Lucas non aveva ancora visto il nuovo film: non un solo frame. Si aspettava di vederlo presto al suo ranch (“Ho il miglior cinema del mondo”, dice), magari anche con Abrams e il presidente di Lucasfilm Kathleen Kennedy (collaboratrice di Lucas per molti anni) che guardavano lui mentre lui guardava il film. E invece? “Ora devo fronteggiare questa realtà imbarazzante, ma va bene” dice Lucas. Ampliando la sua metafora, spiega che è come quando un figlio si sposa. “Devo andare al matrimonio, la mia ex sarà lì, la mia nuova moglie sarà lì, ma io dovrò fare un respiro profondo e fare il bravo, stare seduto e godermi il momento, perché le cose stanno così per una decisione che ho preso io”.

Quando era un bambino a Modesto, in California, George Walton Lucas Jr. andava matto per le auto e le gare: era del tutto indifferente alla scuola, a parte quando poteva smontare motori in classe.

I film che poi ha scritto, diretto e prodotto, celebrano tutte l’idea del guidatore esperto, ardito e in qualche modo irresponsabile: lo si vede nella scena in cui Robert Duvall scappa in moto dall’agente di polizia droide nel film del 1971 THX 1138, o quando gli adolescenti fanno gare di drag in American Graffiti, o quando Han Solo passa attraverso un campo di asteroidi in L’Impero colpisce ancora, o quando Anakin Skywalker fa quella rimonta in La minaccia fantasma (in uno scambio rivelatore di L’Impero colpisce ancora, R2D2 chiede a Luke Skywalker se vuole mettere l’X-Wing con il pilota automatico per il viaggio verso Dagobah: “Va bene così, mi piacerebbe tenere i controlli in manuale per un po’”).

Dopo essere sopravvissuto a un serio incidente d’auto quando aveva 18 anni (si scontrò con un’altra auto mentre guidava una Fiat Bianchina) Lucas pensò che forse doveva darsi un’istruzione. Frequentò un college e poi andò a scuola di cinema all’Università della California del Sud, dove, come molti verso la fine degli anni Sessanta, diventò ossessionato dai i film sperimentali. Era praticamente impossibile trovare lavoro in quel campo, quindi lui e il suo amico Francis Ford Coppola formarono la loro casa di produzione, la Zoetrope Studios, in un’epoca in cui altri giovani registi – Scorsese e Spielberg, per esempio – stavano per cambiare tutto per sempre.

Spielberg Lucas 1984(George Lucas e Steven Spielberg nel 1984/AP)

Con più di 40 anni di storia del cinema da prendere in considerazione, oggi può essere difficile immaginare cosa Coppola e Lucas avessero in comune. “Condividevamo molte idee su come quel mondo potesse essere diverso e funzionare diversamente per fare film più “personali”, dice Coppola. “Quando vidi i suoi film da studente rimasi del tutto impressionato da cosa potesse fare questo timido ragazzo”.

Dopo che Coppola fece Il Padrino e Lucas THX 1138, entrambi erano vogliosi di collaborare per un film sul Vietnam (che poi diventò Apocalisse Now di Coppola), ma Coppola sfidò il suo amico a fare una commedia.

Lucas raccolse la sfida e fece American Graffiti, un film molto sentito e genericamente ispirato alla sua stessa esperienza, che racconta di un ragazzo (Richard Dreyfus) che vagabonda per le strade di Modesto per l’ultima notte prima della sua partenza per il college. American Graffiti era ambientato meno di dieci anni prima rispetto alla data in cui uscì al cinema, ma al pubblico, che aveva visto e vissuto i tumulti della fine degli anni Sessanta, l’atmosfera ricreata in American Graffiti sembrava passata da un secolo. La colonna sonora, un doppio LP pieno di successi degli anni Sessanta, vendette milioni di copie.

Oggi viviamo in un’epoca di costanti ricordi e nostalgie (tutti parlano ancora oggi degli anni Ottanta, anche Il risveglio della Forza gioca sulla nostalgia con l’anziano Han Solo e il tocco di grigio in Chewbacca). La nostalgia, tuttavia, non è mai stata negli intenti di Lucas. Le sue materie preferite al college erano psicologia, antropologia e sociologia, e lo sono ancora. Lucas pensava ai suoi film quasi come a dei documentari, un’elegia per cose come i DJ radiofonici, l’innocenza adolescenziale, i venerdì sera e il cazzeggio. “Ho pensato, ‘sai com’è, tutto questo finirà presto’”.

Nel lungo termine aveva ragione: osservate l’auto che si guida da sola di Google e le persone con sempre meno intenzione di fare la patente per la macchina. “Mi sono detto che dovevo documentare quell’idea, quell’unico rituale americano di accoppiamento… tutto questo mondo di fantasia di essere un adolescente innamorato”. Film come quello, dice Lucas, oggi potrebbero esistere solo online.

Dalla metà degli anni Settanta, Lucas sperava di ritornare a fare film sperimentali, ma Alan Lad Jr. della Twentieth Century Fox gli portò la stramba idea di un film di fantascienza spaziale. Lucas voleva fare un film che insegnasse ai bambini l’etica del giusto e dello sbagliato, del bene e del male. “Volevo vedere se potevo modellare le loro vite in un momento particolare quando erano vulnerabili, e dargli le cose che abbiamo sempre dato ai bambini nella storia. L’ultima volta che lo avevamo fatto era stato con i film western; una volta che erano finiti quelli, non c’era più stato un veicolo per dire cose come ‘non si spara a una persona di spalle’ o cose simili”.

Ma più di tutto Lucas voleva fare “un film vero. Tutto quello che avevo fatto era molto economico, messo insieme in qualche modo. Non avevo mai fatto nulla in un soundstage. Volevo costruire i set. Lavorare con un art director e un production designer”.

All’uscita di Star Wars, Lucas e tutti quanti alla Fox temevano che il film facesse fiasco. Era costato circa 11 milioni di dollari e lo studio era già messo male finanziariamente. Arrivò nei cinema il mercoledì prima del Memorial Day del 1977 in 32 sale.

Sei abbastanza vecchio da ricordarti?

Sei abbastanza fortunato da ricordarti?

Non le nuove edizioni, non le volte che è stato trasmesso via cavo, non le migliaia di volte che lo abbiamo rivisto sullo schermo dell’IMAX o su quello dell’iPhone, ma la prima vera volta che è stato proiettato in quei cinema e quei drive in. Le parole che ti arrivano attraverso un campo di stelle, la camera che si abbassa su un pianeta deserto, l’Imperial Star Destroyer che sembra arrivare sulla nostra testa con i suoi cannoni laser che sparano alla navicella della principessa Leila.

A quel punto abbiamo perso la testa.

Ora saltiamo nell’iperspazio, passiamo oltre con la storia, principalmente perché la sapete a memoria.

Dopo Star Wars, i blockbuster diventarono una significativa merce americana da esportazione. Gli artisti e gli ingegneri che avevano lavorato per gli effetti speciali di Lucas e le società che si occupavano della qualità del suono miglioravano continuamente l’esperienza degli spettatori, non solo per grandi film estivi ma per tutti. Tutti i film diventarono più precisi e affilati, i cinema diventarono roboanti. Il laborioso stop-motion lasciò spazio agli effetti al computer. Quando Spielberg fece Jurassic Park nel 1993, la cosa fu un segnale per Lucas che gli effetti digitali erano pronti per l’epica storia di Star Wars sulla caduta del nobile cavaliere Jedi e la nascita del maligno Impero Galattico.

Oppure, come dice Lucas: “C’era finalmente un modo per far combattere Yoda con la spada?”.

C’era, ma significò aprire il vaso di Pandora. Lucas poteva o meno essere pronto per la profondità delle attese e per la febbrile devozione che aspettava i prequel della seconda trilogia, i gossip online (documenti di produzione della Minaccia fantasma arrivarono ai primi blog di quegli anni), i fan ansiosi, il suono dei critici cinematografici che affilavano i loro coltelli.

Il suo primo passo fu rivedere digitalmente i vecchi Star Wars e distribuirli nuovamente nei cinema nel 1997. Lucas è un difensore del diritto degli artisti di tornare indietro e rivedere il loro lavoro: questo è il motivo per cui Lucasfilm ha ripulito i vecchi film della trilogia da tutte le sbavature e ha aggiunto altre creature e altri personaggi alle scene affollate. Era come portare un’auto restaurata a fare un giro. Lucas tornò anche su alcune scene che lo avevano sempre infastidito, in particolare nel film del 1977: quando Han Solo è minacciato da Greedo, un cacciatore di taglie che lavora per Jabba the Hutt, Han riesce a raggiungere la sua pistola e a sparare a Greedo di sorpresa sotto un tavolo. Nella nuova versione è Greedo a sparare per primo, per un decimo di secondo. I fan videro la cosa come un sacrilegio, Lucas probabilmente morirà difendendo la scelta. Quando Han sparava per primo violava i principi di Star Wars. “Han Solo stava per sposare Leila, e tu ti trovavi a pensare “Può davvero essere uno spietato assassino?”, dice Lucas. “Io lo pensavo in modo mitologico: deve essere un cowboy alla John Wayne? E ho pensato ‘sì, dev’essere John Wayne’ e quando sei John Wayne non spari per primo, lasci che gli altri abbiano la prima possibilità. È una realtà mitologica che spero che la nostra società cominci a tenere in considerazione”.

I suoi prequel di Star Wars uscirono tra il 1999 e il 2005. Erano grandiosi e tecnicamente impressionanti (e ottennero in tutto 2,5 miliardi di dollari di incassi), ma molti li trovarono senz’anima e senza spinta.

La protesta dei fan fu notevole. In un episodio di The Big Bang Theory, Raj raccomanda di guardare Star Wars nel cosiddetto machete order (episodio VI e V, poi gli episodi II e III e infine l’episodio VI) per evitare l’indegno La minaccia fantasma. C’è stato anche un documentario del 2010 chiamato Il popolo contro George Lucas.

Lucas, per dargli credito, non abboccò mai all’esca, ma un disturbo nella Forza persiste. In una puntata recente di Jimmy Kimmel Live il conduttore ha chiesto al suo ospite Harrison Ford: “Chi preferisci, George Lucas o J.J. Abrams?”. Gli spettatori hanno cominciato a ululare. Ford ha fatto una pausa, ha finto disagio e poi ha detto: “George è stato favoloso con me. È stato l’autore dei primi capitoli della mia vita e mi ha dato la possibilità di vivere una vita davvero straordinaria”.

In parte per non dover leggere le cose peggiori che si scrivono su di lui e sui suoi film, Lucas dice di aver evitato Internet dai primi anni 2000. Niente Facebook, niente Twitter, nessuna email. Ma questo non significa evitare le persone. Nel mondo, fuori, le persone lo riconoscono (nei posti più banali, quando va con sua moglie al cinema o si deve presentare in tribunale per fare il giurato, o entrando per sbaglio nell’inquadratura di un video che qualcuno sta girando per YouTube) e hanno bisogno di rivelare i loro sentimenti. Per dirgli cosa è stato Star Wars per loro all’epoca e cos’è per i loro figli ora. Quella storia non diventa mai vecchia.

Ora sta vivendo il suo sequel, gli anni di Yoda.

Nel 2013 Lucas ha sposato la 46enne Mellody Hobson, che si occupa di investimenti, difesa della diversità sul posto di lavoro e che è anche presidente della DreamWorks Animation. Durante uno shooting fotografico, orgogliosamente ha tirato fuori il telefono e ha mostrato le foto della loro figlia di due anni, Everest, descrivendo liberamente i dettagli della gestazione surrogata con cui è nata (dopo il suo divorzio dalla prima moglie nel 1983, Lucas ha cresciuto tre figli, ora grandi, due dei quali ha adottato da padre single).

US film direcor George Lucas arrives for(George Lucas con la sua futura moglie alla Casa Bianca nel maggio 2009 – TIM SLOAN/AFP/Getty Images)

Lucas ha promesso di dare via quasi tutta la sua fortuna di 5 miliardi di dollari. La maggior parte della sua filantropia si è concentrata sull’istruzione, con donazioni consistenti alla scuola di cinema che ha frequentato lui stesso e alla Lab School dell’Università di Chicago. Molte delle sue energie le ha messe nel Lucas Museum of Narrative Art di Chicago, la cui costruzione potrebbe costargli circa 300 milioni di dollari più altri 400 milioni per il suo mantenimento perpetuo.

Il museo mostrerà esempi della cultura e dell’arte popolare del 20esimo secolo, illustrativa, cinematica e anche digitale. Includerà alcuni artefatti di Star Wars, ma raccoglierà anche lavori di artisti come Maxfield Parrish e Norman Rockwell (Lucas e Spielberg insieme possiedono quasi tutti i dipinti di Rockwell) e altri lavori che sono stati derisi dai critici d’arte per la loro mancanza di profondità intellettuale.

“Per me l’arte è comunicare emozioni, questo è tutto”. dice Lucas. “È l’arte. Se non comunica emozioni ed è solo esercizio intellettuale, allora è solo una mappa stradale. O il progetto per una costruzione, non la costruzione stessa”.

“La gran cosa dell’arte è che ti fa provare un sentimento per qualcosa, ti fa raggiungere la conoscenza di qualcosa, ma non sai perché. Descrivere la Cappella Sistina è molto difficile. Mi ha fatto avere pensieri spirituali e sentimenti che non avevo mai avuto prima”. In che senso? “Non so bene come dirlo, devi andare e provare. Star Wars è stato così. Le persone non potevano descriverlo, si limitavano a dire ‘lo devi vedere, lo devi vedere, lo devi vedere’. Ora noi facciamo la stessa cosa con l’opera di Broadway Hamilton. Come mai? Provare a descrivere queste cose è molto difficile”.

Dopo essersi offerto di costruire il museo nella sua città di San Francisco, Lucas si è stancato di dover lottare contro quelli che criticavano la sua posizione proposta e la sua sensibilità. Ora sta affrontando una battaglia simile a Chicago, dove critici d’arte e di architettura hanno fiutato il design e la posizione del museo sul lungolago della città. Un consigliere cittadino ha paragonato il progetto del museo realizzato dall’architetto cinese Ma Yasong a una navicella spaziale per Jabba the Hutt, mentre i tifosi dei Bears si sono lamentati che occuperà un posto normalmente usato da loro per festeggiare prima e dopo le partite allo stadio Soldier Fields.

Il museo ha dalla sua parte il sindaco e il governatore dello stato. Un giudice federale ha recentemente dato fino a febbraio a un gruppo di ambientalisti per rispondere alla richiesta della città di lasciar cadere una causa per bloccare il museo. “Facendo questo museo ho capito che la maggior parte delle città non vogliono un museo”, ha detto Lucas. “Sai, è troppo esoterico per la maggior parte delle persone e non vengono visti come istituzioni istruttive”. Ma “sono ottimista”, dice. “ Sono sempre ottimista”.

Ed è anche ottimista per il giorno in cui prenoterà un posto al cinema, le luci si spegneranno e (presumibilmente) le parole “Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana” appariranno sullo schermo (quello sicuramente non lo avranno cambiato).

Pensateci in questo modo, dice lui: ”Io non ho mai potuto vedere l’arrivo della navicella nel 1977. Non ho mai potuto avere le stesse sensazioni che hanno avuto tutti quanti. Non ho mai davvero visto Star Wars. Questa volta lo farò”.

Di tutte le persone, sembra che lui si sia guadagnato il diritto di perdere la testa per il film.

© 2015 The Washington Post