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  • Martedì 18 agosto 2015

Come ci si comporta davanti all’haka?

Davanti alla minacciosa danza maori degli All Blacks, ogni nazionale ha un approccio diverso: rispettarli, ignorarli o disturbarli?

di Pietro Cabrio

I giocatori della Nuova Zelanda eseguono l'haka prima della partita del Quattro Nazioni contro il Sudafrica (GIANLUIGI GUERCIA / AFP)
I giocatori della Nuova Zelanda eseguono l'haka prima della partita del Quattro Nazioni contro il Sudafrica (GIANLUIGI GUERCIA / AFP)

L’haka è una danza tipica dei maori — l’etnia polinesiana diffusa soprattutto in Nuova Zelanda — che negli anni è stata resa famosa in tutto il mondo dalla nazionale di rugby neozelandese, la più forte e famosa al mondo, che la esegue subito dopo gli inni nazionali e prima del calcio d’inizio di ogni partita. Non esiste un modo corretto per affrontare la danza maori che gli All Blacks fanno prima di ogni partita in faccia ai loro avversari. Ogni nazionale reagisce a modo suo: i gallesi per esempio cercano di non farsi impressionare, gli inglesi ci cantano sopra, i francesi a volte la sfidano e noi italiani siamo stati spesso incerti.

L’haka ha diversi significati e si può vedere sia alle feste che ai funerali. Principalmente richiama lo spirito e l’identità dei maori. Può essere eseguita in varie maniere, ma i due stili più conosciuti sono il Ka Mate e il Kapa o Pango. Il primo è quello più usato dagli All Blacks, il secondo è considerato da alcuni “la variante cattiva”, anche se non esprime nessun concetto aggressivo o violento nei confronti degli avversari. Il Kapa o Pango viene eseguito dal 2005 prima delle partite disputate contro le nazionali rivali o in ambienti particolarmente “caldi”.

Come l’haka può avere diversi significati, anche gli avversari possono rispondere in vari modi. Nei paesi con una solida tradizione rugbistica generalmente non si sta a guardare in silenzio: i giocatori possono ridacchiare in segno di sfida o avvicinarsi di qualche metro mentre il pubblico canta e cerca di coprire le urla e i versi neozelandesi. In altri paesi, invece, dove il rugby non è così popolare, l’haka non è considerata come un modo con cui gli All Blacks si caricano e cercano di intimidire gli avversari, ma più semplicemente come uno spettacolo a cui assistere: una specie di inno nazionale a cui è più divertente assistere. Spesso quindi si tende a fraintenderne il significato – l’haka non è l’inno nazionale – e mostrare un’eccessiva riverenza, dimenticandosi che quelli vestiti in nero in fondo stanno cercando soprattutto di caricarsi e intimidire chi hanno di fronte, peraltro gli stessi neri che nove volte su dieci escono dal campo vincitori.

Ogni nazione davanti all’haka reagisce a modo suo. Il concetto di “rispetto” non è così rigido come si crede. Le cose che sarebbe meglio non fare, comunque, le abbiamo fatte noi italiani e gli americani.

Francia

La Francia è una delle più grandi rivali della Nuova Zelanda. Dopo Australia e Sudafrica, è la nazionale che è riuscita a batterli più volte, anche con gli sfavori dei pronostici. Gli incontri che si sono disputati negli ultimi dieci anni fra le due squadre sono stati sempre molto duri.

Nel 2007 le due nazionali si sfidarono al Millennium Stadium di Cardiff nei quarti di finale della Coppa del Mondo. Nonostante giocassero in Galles, la sede principale del torneo era la Francia, e i francesi erano lì per vincere, esattamente come gli All Blacks. Poco prima che iniziasse l’haka, i francesi avanzarono in segno di sfida e si fermarono solo pochi centimetri di fronte, creando uno dei momenti più tesi vissuti di recente nel rugby internazionale. La partita poi venne vinta dalla Francia.

Nel 2011, ma in casa propria, la Nuova Zelanda si prese la rivincita nella finale della Coppa del Mondo. Questa volta però gli All Blacks eseguirono l’altra haka, “quella cattiva”, e i francesi rimasero un po’ più indietro tenendosi per mano e formando una freccia.

Galles

Una delle risposte più efficaci alla domanda del titolo fu quella data dai gallesi nel 2008: oltre al gran baccano del pubblico di Cardiff, i giocatori rimasero immobili in mezzo al campo, come se nulla fosse accaduto, anche dopo la fine dell’haka. Per alcuni secondi anche gli arbitri non seppero bene cosa fare.

Irlanda

Con l’Irlanda non c’è mai stata una particolare rivalità, anche se nel 1989 gli irlandesi si piazzarono di fronte agli All Blacks e gli urlarono in faccia per tutta la durata dell’Haka. Ci mancò poco che si menassero prima di iniziare a giocare.

Nel 2016, a Chicago, i giocatori irlandesi formarono il numero otto davanti agli All Blacks in ricordo di Antony Foley, ex giocatore della nazionale e allenatore del Munster morto per un malore pochi giorni prima.

Inghilterra

Il pubblico inglese di Twickenham — lo stadio londinese del rugby — risponde puntualmente all’haka cantando a squarcia gola “Swing low, sweet chariot”, una canzone che di solito viene intonata dal pubblico ad ogni partita della nazionale, come incitamento.

Sudafrica e Australia

Sudafrica e Australia sono le nazioni che hanno giocato più volte contro la Nuova Zelanda. Nonostante la grande rivalità fra le squadre, non si è mai verificato nulla di così particolare: solo nel 1996, mentre i neozelandesi eseguivano l’haka, la nazionale australiana fece finta di niente e continuò a riscaldarsi.

Samoa, Tonga e Figi

Anche altre tre nazionali dell’Oceania eseguono una danza tribale. Samoa ha la Siva Tau, Tonga la Sipi Tau e le Isole Figi hanno la Cibi. Quando una di queste tre squadre incontra la Nuova Zelanda, può capitare che le due danze vengano eseguite nello stesso momento.

Stati Uniti

La nazionale di rugby statunitense ha giocato due volte contro gli All Blacks. La prima volta, nel 2013, il pubblico di Philadelphia sommerse di fischi e insulti l’haka e scandì il classico “U-S-A! U-S-A!”. A Chicago, un anno dopo lo spiacevole episodio di Philadelphia, il pubblico mantenne un comportamento più “europeo”.

Italia

Prima della partita dei gironi della Coppa del Mondo del 2007, i giocatori italiani decisero di chiudersi in cerchio dando le spalle agli All Blacks e all’haka. Per questo il pubblico dello stadio Velodrome di Marsiglia fischiò gli azzurri e sostenne — come se ne avesse avuto bisogno — la Nuova Zelanda, che poi vinse passeggiando 76-14.

Tre anni prima, al Flaminio di Roma, le cose non erano andate meglio. Durante l’haka la banda dei carabinieri che pochi minuti prima aveva suonato l’inno di Mameli continuò a suonare una marcetta mentre lasciava il campo da gioco. Probabilmente nessuno li aveva avvisati. Ci fu dell’imbarazzo.

Nel 2012 all’Olimpico di Roma lo speaker introdusse l’Haka dagli altoparlanti dello stadio con un lungo intervento in italiano e in inglese, senza che ce ne fosse veramente bisogno, costringendo i neozelandesi ad aspettare che finisse.