l’Arborio? Mai mangiato, e forse neanche il Carnaroli

risopublicdomainCon cosa lo fate il risotto? Col Carnaroli? Con l’Arborio? E le minestre di riso? Con l’Originario? Credete davvero? In realtà probabilmente voi l’Arborio non l’avete mai mangiato. E forse neppure il Carnaroli.

Il mondo del riso è affascinante e, a differenza di altri settori dell’agroalimentare, quasi sconosciuto al consumatore. Nel corso delle ricerche per il libro Contro Natura ci siamo resi conto di sapere molto poco di questo cereale che sfama una buona parte della popolazione mondiale e che è parte integrante della tradizione gastronomica italiana. A EXPO un cluster è stato dedicato al riso (con risultati un po' deludenti). Abbiamo scoperto brevetti, filiere esclusive, modifiche genetiche per resistere ai diserbanti, mutazioni da radiazioni, finti risi biologici e, appunto, di non aver mai mangiato l’Arborio. Ecco perché (con un estratto da Conto Natura).

Il Karnak in dispensa

amazing-adventures-2-2-1970-karnak«Karnak? Ma non era un supereroe della famiglia degli Inumani?»[1] Il vostro autore è un appassionato di fumetti, e la prima volta che ha sentito questo nome non ha di certo pensato al riso. Lo conoscete? Magari no, ma noi scommettiamo un risotto che, almeno una volta nella vita, il Karnak lo avete mangiato. Ci state?

In Italia, alcune varietà di riso «storiche» come l’Arborio o il Carnaroli sono ancora coltivate, nonostante abbiano rese non particolarmente elevate rispetto a varietà più moderne e siano più suscettibili alle malattie. Nel nostro Paese si coltivano un centinaio di varietà diverse di riso e ogni anno se ne registrano di nuove. Dove finiscono? È possibile che arrivino sulle nostre tavole solo quelle tradizionali?

«All’agricoltore interessa la novità, mentre il consumatore vuole la tradizione.»

Due punti di vista opposti e, sembrerebbe, inconciliabili che, però, ci spiega Paolo Carrà, presidente dell’Ente Nazionale Risi, hanno trovato un punto d’incontro nella legge n. 235 del 18 marzo 1958 con l’istituzione delle «griglie».

Secondo questa legge, il riso italiano è raggruppato in tipologie omogenee per i diversi impieghi culinari. Per ognuna di queste sono indicate la varietà che dà il nome al gruppo e tutte quelle che afferiscono. In pratica, se a casa avete una scatola di riso «Originario», sappiate che può contenere una delle seguenti varietà: Originario, Agata, Ambra, Arpa, Balilla, Brio, Castore, Centauro, Cerere, CL 12, Ducato, Elio, Eridano, Lagostino, Marte, Perla, Selenio, Sfera, Sole CL, SP 55, Terra CL o Virgo. E in realtà, andando a vedere l’estensione delle superfici coltivate, è molto probabile che abbiate il Selenio.

Gli unici gruppi che, per il momento, sono formati da una sola varietà sono il Vialone Nano e il Sant’Andrea, quindi, salvo frodi,[2] se a casa avete una scatola di questi risi potete essere certi che lì dentro ci sono sicuramente o Vialone Nano o Sant’Andrea. Ma per tutti gli altri valgono le regole delle griglie, anche per le varietà più diffuse come il Carnaroli, l’Arborio o il Baldo.[3]

Quindi si chiamano in un modo, ma dentro potrebbe esserci tutt’altro. Certo, niente di così diverso da rovinare la preparazione dei piatti, ma le differenze tra le varietà, come è facilmente intuibile, ci sono e se nonostante compriate la stessa marca di riso da sempre ogni tanto avete risultati diversi dal solito, il motivo potrebbe essere questo.

Il raggruppamento in classi abbastanza omogenee ha avuto sicuramente il vantaggio di semplificare la commercializzazione del riso senza bloccare lo sviluppo di nuove varietà che potessero andare incontro alle esigenze degli agricoltori e al cambiamento dell’agricoltura, che non è più quella del 1945.

In altre parole, ci spiega Carrà, senza questa legge, il «peso» della tradizione, spesso glorificata dal consumatore che non ha mai visto un campo di riso da vicino e che idealizza un’agricoltura e i suoi prodotti sempre uguali a se stessi, sarebbe forse stato schiacciante.

Forse. Non lo sappiamo, in realtà. Per altri settori agricoli non ci si preoccupa nemmeno della varietà che stiamo acquistando. Le patate, per esempio, sono distinte dal consumatore in base al colore della buccia e all’uso gastronomico che se ne fa. Nel caso dei pomodori, invece, siamo abituati a vedere sempre nuove varietà che prima non esistevano: il datterino, il cuore di bue, il ciliegino ecc. Il consumatore non è per nulla confuso: assaggia una nuova varietà e, se gli piace, ne può addirittura decretare il successo commerciale. Cosa sarebbe successo al riso se non ci fosse stata quella legge del 1958 non lo possiamo sapere. Forse ora avremmo scatole con il nome Barone CL o Volano. Già, il Volano. Così diffuso tra i risicoltori eppure così sconosciuto tra i consumatori.

Pensavo fosse Arborio e invece era Volano

L’Arborio è frutto dell’incrocio tra il Vialone e la varietà americana Lady Wright, ottenuto da Domenico Marchetti che gli dà il nome dell’omonima cittadina vercellese. L’Arborio è coltivato per la prima volta nel 1946 e fin da subito ebbe un certo successo, tanto che in soli tre anni raggiunse i 1000 ettari di coltivazione. Per i trent’anni successivi, almeno fino al 1980, Arborio era sinonimo di risotto per la maggior parte degli italiani. Ma, come abbiamo visto, l’evoluzione agricola va di pari passo con quella biologica e nel 1972 la Società Italiana Sementi introduce il Volano, ottenuto da un incrocio tra Rizzotto e Stirpe 401, agronomicamente molto simile all’Arborio. Pian piano questo riso si diffonde ed entra nelle griglie ministeriali, può cioè essere venduto come Arborio. Se nel 1982 si coltivavano 20.000 ettari di Arborio e solo 500 di Volano, pian piano le parti si sono invertite. Nel 1990 l’Arborio scende a 14.000 ettari e il Volano sale a 6500, nel 2000 è l’Arborio a essere coltivato su 5700 ettari e il Volano su 17.000. Nel 2012 il Volano occupa quasi 20.000 ettari e il glorioso Arborio è ridotto al lumicino, con 674 ettari. La probabilità che, avendo una scatola di Arborio in dispensa, abbiate veramente riso della varietà Arborio sono, come potete immaginare, bassissime.

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C’è da chiedersi se abbia ancora senso una regolamentazione del genere. Per Carrà, sì:

«Questa soluzione accontenta tutti. L’agricoltore è soddisfatto perché può coltivare un prodotto più redditizio e il consumatore si trova rassicurato da un nome che riconosce. Se vendessimo il Volano come Volano, ci sarebbe un crollo totale del mercato, perché non lo comprerebbe nessuno. Alla fine, se il consumatore si trova bene con un prodotto e continua a comprarlo, vuol dire che va bene così».

Per altri, invece, come Eugenio Gentinetta, costitutore di decine di varietà, le differenze si vedono eccome:

«Il Volano è quasi tutto perlato e cuoce diversamente. L’Arborio ha la perla centrale, cuoce bene all’esterno e all’interno rimane un po’ crudo. Stanno nella stessa categoria perché hanno le stesse dimensioni, una collosità simile e basta».

Scopriamo infatti che tra i criteri per essere inseriti nelle griglie mancano totalmente le caratteristiche organolettiche. Si valutano l’aspetto del chicco, le dimensioni, la percentuale di amido, ecc., ma il gusto o la consistenza in cottura, per esempio, no.

Massimo Biloni, direttore di Sa.Pi.Se., una delle varie aziende sementiere di riso italiane, non ha peli sulla lingua rispetto a questa legge che, da sementiere, non gli piace:

«Sappiate che è una cosa solo italiana. L’agricoltore non può dichiarare il falso e se produce Carnise lo deve vendere come Carnise. Le riserie[4] invece possono acquistare il Carnise e venderlo come Carnaroli. Fuori dall’Italia sarebbe frode in commercio. Se in Francia inscatoli Carnise e lo chiami Carnaroli è frode in commercio. In Italia è una «frode legalizzata». Da far rizzare i capelli. La Comunità europea però ha detto che va bene e che non è una frode in commercio perché è un richiamo a nomi storici».

Rincara la dose Dino Massignani, agricoltore «controcorrente» che incontriamo nella tenuta che dirige, immersa nel parco del Ticino:

«Metti che compri una Ferrari e la paghi 300.000 euro. Poi vai a ritirarla e al suo posto ti consegnano una Duna, rossa e con lo stemma della Ferrari. Tu dici: “Ma io avevo comprato una Ferrari!”. E loro ti rispondono: «Beh, ma è rossa, c’ha pure lo stemma». Sì, ma io voglio la Ferrari!».

I punti di vista di Biloni, Gentinetta e Massignani sono diversi, i primi due, da costitutori, vorrebbero vedere dar valore sia ai nomi delle varietà sia alle caratteristiche specifiche del chicco, al terzo, invece, non piace che altre varietà che lui considera minori vadano a «sporcare» il nome delle «fuoriclasse» storiche.

Il Carnaroli

Un caso analogo riguarda il glorioso Carnaroli, il re dei risotti, che vede nella sua griglia altre varietà come il Carnise, il Poseidone e il Karnak, sviluppato dallo stesso Gentinetta, che nel 2012 ha raggiunto il Carnaroli come superfici coltivate. In pratica, è molto probabile che su due scatole di Carnaroli che avete a casa almeno una contenga in realtà Karnak. Come vedete, abbiamo vinto la nostra scommessa e ci dovete un risotto.

Gentinetta ci racconta che ha iniziato a lavorare sul Carnaroli quando ancora stava all’Ente Risi, per poi continuare in maniera indipendente. Voleva produrre varietà agronomicamente interessanti anche per un mercato che era sempre sembrato sacro e intoccabile, quello dei risi da risotto.

«Ho mandato all’ENEA semi di Carnaroli, Baldo, Arborio e Roma per farli irradiare, ma ho avuto risultati solo con il Carnaroli.»

La tecnica è la stessa che abbiamo descritto per il grano Creso. Il programma di mutagenesi da radiazioni fatto partire da Scarascia Mugnozza negli anni Cinquanta è stato ufficialmente chiuso da ENEA negli anni Ottanta. I fondi sono stati destinati ad altre attività ritenute più interessanti dal punto di vista scientifico, tuttavia il servizio di irraggiamento è rimasto attivo, per enti o aziende che ne avessero bisogno. Infatti, ci conferma Gentinetta:

«La mutagenesi è un po’ la genetica dei poveri. Se non si possono usare tecnologie più moderne si usa quello. E forse è per questo che più della metà delle varietà di riso che coltiviamo oggi nel mondo sono ottenute per mutagenesi diretta o per incroci con varietà mutate».

Dall’irraggiamento dei semi di Carnaroli, Gentinetta ha ottenuto un mutante molto interessante, identico al Carnaroli come aspetto, ma molto più basso, un metro contro i quasi due del Carnaroli. Ne esistono altri, di risi ottenuti per mutazione, ma non è possibile sapere con sicurezza quali: «Non è obbligatorio e fa paura, quindi evitano di dirlo» ci dice Gentinetta.

«Il chicco è identico e rende molto di più. La resa di una pianta di Carnaroli è per il 70% paglia e per il 30% chicco, mentre nel Karnak il rapporto è metà e metà. Quindi la resa per ettaro è maggiore del 20%.»

Mica poco considerando che, essendo riuscito a entrare in griglia, può essere venduto allo stesso prezzo del Carnaroli. E il gusto?

«Non si fanno mai test organolettici. Quando devo sviluppare una nuova varietà parto da genitori buoni che abbiano molto amilosio[5] e per il resto mi fido del mio occhio. Se son belli, son belli e si vede. Qualcuno dice che il Karnak è diverso dal Carnaroli, che non è buono. Ma sono tutte polemiche strumentali. Ci sono personaggi innamorati del Carnaroli e per loro è il massimo.»

Il Karnak è stato introdotto nel 2002 e nel giro di pochi anni rivaleggia, come superfici coltivate, con il più famoso Carnaroli di cui può utilizzare il nome sulla confezione. Nel 2012 i risicoltori italiani coltivano 8700 ettari di Carnaroli e 7800 di Karnak.

«A me piacerebbe vedere il Karnak, il Cammeo, il Caravaggio, il Keope e tutti gli altri risi che ho fatto sugli scaffali. Adesso, in teoria, si può ancora fare e qualche coraggioso che scrive “Karnak” sulle scatole lo si trova ancora, ma la nuova legge lo impedirà ed è un peccato, perché si dà l’idea che non c’è più ricerca.»

karnak_okMentre mangiamo il risotto Keope, Gentinetta ci racconta che da anni si discute di metter mano alla legge del 1958 con un provvedimento che dovrebbe essere approvato nel 2015. Le bozze che abbiamo potuto visionare durante la preparazione di questo libro descrivono una situazione ancora meno trasparente, per il consumatore, di quella attuale. Le griglie saranno ridotte e bloccate alle sei tradizionali: Arborio, Roma/Baldo, Carnaroli, Ribe, Sant’Andrea e Vialone Nano. Le varietà ammesse in griglia dovranno obbligatoriamente chiamarsi col nome di riferimento del proprio gruppo. Il Karnak e tutte le altre decine di varietà in griglia non potranno più essere vendute come tali a meno di non uscire dalle griglie e cercare di conquistare il mercato da sole. Tutto il resto potrà essere miscelato e venduto come Tondo, Medio, Lungo A e Lungo B secondo la classificazione commerciale europea. Non troveremo più, se la legge verrà approvata, scatole di Rosa Marchetti per esempio.

Da un lato, la legge del 1958 e l’eventuale nuova legge del 2015 aiutano gli agricoltori permettendo loro di seminare nuove varietà più resistenti alle malattie e a resa più alta senza dover a ogni costo inseguire il mercato. Dall’altro, il consumatore, abituato a un nome simbolo, non deve continuamente aggiornarsi sulle caratteristiche delle nuove varietà. Una scatola di riso denominato Arborio sarà sempre adatta per fare il risotto,  anche se di Arborio praticamente non se ne coltiva più.

Un effetto collaterale di questo espediente però è che il consumatore ha la falsa impressione che le varietà di riso non cambino mai, che siano immutabili. Ecco dunque che varietà esplicitamente descritte come «nuove» sono viste con sospetto se non addirittura rifiuto. Se le griglie ministeriali fossero state introdotte negli anni Quaranta, oggi il Carnaroli, l’Arborio, il Baldo e praticamente tutti i risi «tradizionali» non sarebbero conosciuti e continueremmo a pensare di mangiare quelle varietà ormai dimenticate come il Maratelli (che non è buono per il risotto) che mangiavano le nostre nonne.

Se però volete anche una ragione pratica del perché sarebbe bello vedere i nomi delle varietà sulle scatole di riso, anche solo accompagnando il nome del gruppo principale (indicando, per esempio, «Karnak, gruppo Carnaroli»), questa si basa sul fatto che due varietà, anche se simili, non sono identiche. Il sapore è un po’ diverso così come le caratteristiche di cottura. Se avete una scatola di riso Carnaroli quasi finita a casa e la mescolate con una seconda scatola, di una marca diversa ma sempre etichettata Carnaroli, in realtà potreste avere mescolato del Karnak, o del Carnise, o del Carnise precoce, con del Carnaroli e ottenere risultati poco soddisfacenti nella vostra risottiera. E ovviamente lo stesso discorso vale per altre varietà: nella vostra scatola di Roma o Baldo potrebbe esserci un Barone CL, nel sacchetto di Originario un Sole CL, nel Rosa Marchetti un Furia CL e in un Ribe un Luna CL.

D’altronde, indipendentemente dalla legge, il mercato sta già andando da tempo nella direzione della semplificazione estrema. Sugli scaffali dei supermercati iniziano a comparire confezioni di riso che il nome della varietà lo riportano solo in piccolo vicino alla data di scadenza. Sono risi «Gran Chicco» o «Per Risotti» o «Insalate Perfette».

A noi la proposta di riforma della legge del 1958 non piace. Ci pare una brutta legge solo a favore dell'industria e non del consumatore, e speriamo che non venga approvata nella formulazione attuale. Ci piacerebbe che anche altri soggetti si unissero a noi nel sollevare la questione.

Noi vorremmo una legislazione differente. Noi vogliamo sapere se stiamo acquistando Volano oppure Arborio, Karnak oppure Carnaroli, o l’ultima star del firmamento risicolo: il Cammeo. Crediamo che la trasparenza nel mondo del cibo sia un valore in sé e che, se questa trasparenza è accompagnata a una comprensione e a una conoscenza di quello che coltiviamo e compriamo, non si dovrebbe avere paura di chiamare le cose con il loro nome.

Alla prossima

Dario Bressanini


[1] Karnak degli Inumani, creato dalla fertile mente di Stan Lee e Jack Kirby per i fumetti della Marvel Comics negli anni Sessanta.

[2] Come denunciata già nel 1996 in una interrogazione parlamentare dal deputato Stefano Signorini, altre varietà, come Argo e Cripto, sono a volte, truffaldinamente, vendute come Vialone Nano. http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_0...

[3] Nel 2014, il gruppo del Carnaroli conteneva, per esempio, Carnise, Carnise Precoce, Karnak, Poseidone. Il gruppo dell’Arborio: Aleramo, Volano e Vulcano. Il gruppo del Baldo: Bacco, Bianca, Elba, Fedra, Galileo, Neve, Proteo e Roma.

[4] Le riserie prendono il riso prodotto dagli agricoltori, lo sottopongono alla lavorazione per togliere la lolla – la parte esterna del risone –, per arrivare al riso integrale oppure, proseguendo nella raffinazione, al riso bianco, per poterlo confezionare pronto per essere consumato.

[5] L’amido del chicco di riso contiene due molecole, amilosio e amilopectina, in proporzioni diverse a seconda della varietà.

312 commenti RSS

  • Scusate, gli inconvenienti di scrivere dal cellulare -.-"

    Dicevo, il ni ovviamente era un intruso.

    Gabriele

  • Buongiorno signor bressanini volevo farle una domanda... Ho senti on televisione uno che che diceva: "io non sfuma il riso con il vino perché non serve a nulla., visto che tanto in cottura l'acidità che da il vino svanisce" per sapere ha ragione o meno? Grazie

  • Scusi la scrittura scorretta ma è il t9 del telefono.

  • No, in cottura se ne va l'alcool ma non gli acidi. É comunque una queste di gusto. Io sfumo raramente

  • Ah ok ok grazie

  • Alberto

    stavo facendo una ricerca sul risotto alla pilota, trovo ovviamente molte varianti e alcune discordanze, mi chiedevo se hai fatto ricerche sulla ricetta per così dire "antica e originale"

    - mi confermi che la regola generale è pari volume di acqua e riso?
    - una volta fatto il cono di riso, si lascia cuocere così o si scuote la pentola per livellare il contenuto?
    - nella versione "semplice" con salamella, 100 g di riso e 50 g di salamella o la salamella è poca? Le ricerche mi dicono che in origine il condimento era pari al riso.

    Grazie

  • Andrea

    Non voglio usurpare Guidorzi, ma posso dirti come procedo io.

    - La ricetta "tradizionale" chiamerebbe pari quantità di riso e acqua. Io personalmente uso una proporzione di 1.5 volte di acqua rispetto al riso, mi dà più controllo nella prima fase della bollitura.
    - Dopo la formazione del "cono", si livella/pareggia scuotendo la pentola e si fa bollire a fuoco allegro fino a quando ha assorbito tutta l'acqua, stando attenti che non attacchi eccessivamente (l'eventuale riso attaccato si lascia sul fondo al momento di condire). Mediamente un vialone nano nostrano assorbe quest'acqua in 6-7-8 minuti.
    - Si spegne la fiamma e si pone un coperchio che tenga bene, ponendo un canovaccio tra la pentola e il coperchio. Si prosegue la cottura al vapore per circa 10-11 minuti. Poi si toglie il coperchio e si sgrana con una forchetta.
    - Proporzione riso/carne. Anche il 50% può andare, ma sinceramente io faccio pari quantità di riso e "pesto" di maiale. Normalmente usiamo questo pesto piuttosto che salamelle sgranate.

    Ne ho mangiato un bel piatto proprio domenica, con "puntèl" di costina al forno :)

  • Dario, commento innocuo sul riso alla pilota bloccato...

  • Mi sa che Dario, visto l'andazzo dell'ultimo periodo, ha alzato le barricate ...

  • Andrea

    Io non sono un cultore di cucina, ma nelle varie manifestazioni nelle quali sono invitato a parlare del maiale (che sistematicamente finiscono con una risottata) so che a Mantova vi sono due tipi di risotto in fatto di cottura: Il risotto alla Pilota e il risotto "menà".

    Il risotto alla pilota è come di ci tu salvo che una volta messo metà riso e metà acqua si porta ad ebollizione, raggiunta questa si toglie e si versa il riso (mediante un imbuto) in un'altra casseruola e avviene la seconda fase esattamente come l'hai descritta. Una variante o meglio un'aggiunta è il il risotto "cul puntel" che non è altro che un risotto alla pilota servito con sopra un braciola o delle costine di maiale ( in dialetto mantovano "puntel" deriva dal verbo più o meno italiano di "puntellare" sostenere, rinforzare).

    Questo è tipico di Casteldario e dato che è il paese natale di Tazio Nuvolari molti dicono che il nome è dato dal pilota Nuvolari, mentre Nuvolari non c'entra nulla ed è così chiamato dal nome dell'operaio che "pilava" (decorticava) il riso, che non smettendo di lavorare preparava la sua razione di riso a tempo perso, ecco del perchè della non mescolatura.

    Il Risotto "menà" deriva dal verbo "menare" cioè mescolare che prevede il soffritto, la tostatura a secco mescolando in continuazione, poi si versa vino bianco e mescolando si lascia evaporare. Adesso è giunto il momento di aggiungere la salamella o il pesto di salamella e ancora mescolando si lascia imbiodire la carne poi si continua la cottura aggiungendo brodo in modo da evitare la mescolatura di frequente come prima e snevare il chicco di riso che ormai è arrivato circa a metà cottura.

    Questo invece è il risotto tipico che ormai si fa in tutta la provincia di Mantova, ma la sua nascita è l'alto mantovano.

    Però, ti posso assicurare che le polemiche sulle "antiche e originali" ricette non sono ancora finite e dopo che ho fatto la mia relazione sul maiale mi diverto a ascoltare i battibecchi.!!!!!

  • Luca e Alberto

    grazie,mi confermate le ricerche effettuate sui vari libri, dovendo dare una ricetta veloce userò la versione con la salamella, mi rimane un dubbio ma ci mettereste noce moscata e cannella in questo caso?

    P.s.: tra le varie ricette ho trovato quella del più noto risicoltore del quale abbiamo già parlato, a parte la variante di cottura in brodo di pollo, la cosa che mi ha divertito è stata la preparazione del condimento con lo splendido ossimoro "pancettina bella magra".

  • Cannella e noce moscata lasciamola agli Isolani, per il pur ottimo risotto all'isolana. ;)

    Forse con la salamella, se dovesse essere non particolarmente saporita, potresti mettere un rametto di rosmarino. Un consiglio: falla cuocere in modo abbastanza veloce in un tegame ampio, in modo che non stia tutta ammassata a lessare orribilmente e buttar acqua/grasso (come fanno mediamente nonne e mamme che usano sempre un tegame troppo stretto e alto). Una lieve rosolatura può andare, senza però troppo scomodare maillard. Se piace (ma non è indispensabile) puoi sfumare con un po' di vino bianco.

    Una cosa importante: i minuti di cottura a cui ho accennato sono del tutto indicativi, bisogna conoscere il riso che stai usando e la sua tenuta in cottura, oltre che adattare i tempi al gusto personale.

    Buon risotto ;)

  • Riso e salciccia, insomma. E se ne fa un capolavoro pure qui. Finisce l'Expò, e degli abbinamenti fra riso e salciccia se ne deve parlare qui, pensa un po'. Che magari invece ci han fatto conferenze sopra e nessuno ci ha detto niente. A me ha dato sempre la stessa consistenza che danno gli spaghetti col ragù (alla bolognaise checché voglia dire, si capisce), ma magari non me l'han mai fatto bene, quel risotto lì. Mi pare più uno dei tanti risultati di fare con quel che si aveva, e la fame di contorno quando il grana arrivava alla crosta... ;)

  • Son gusti Zeb caro...

    Che sia un piatto povero non ci piove e hai ragione a chiamarlo "riso" e non risotto. Normalmente alle feste dei risotti è piuttosto scarso (credo a cause delle grosse quantità e del fatto che sosta lì più del dovuto), per il resto il risotto mantecato /che fa più figo come rituale) ha preso il sopravvento e questa cottura simil pilaf non la fa più quasi nessuno da noi. Non fatico a credere che non t'abbia mai entusiasmato. Per parte mia non ho mai trovato un ospite, nemmeno dei più riluttanti ai complimenti, a cui non sia piaciuto, ivi compresi diversi stranieri di svariata provenienza. Sarà stato solo merito del "puntèl" di costina o braciola di maiale? :)

  • Zeb

    sicuramente piatto povero, ma Alberto con la storia del maiale confermerà che non poteva essere un piatto tanto diffuso, avere carne spesso era un lusso. E poi sai anche tu che oggi i maiali hanno una percentuale di grasso decisamente scarsa e il gusto ne risente, anche una fetta di coppa alla brace oggi riesce ad essere legnosa, è un po' come mangiare il prosciutto crudo senza grasso. Io comunque mangio il grana anche per arrivare alla crosta. 😀

  • @dariobressanini tostare il riso serve a non fare uscire troppo amido . è vero?

  • Per me no, vediamo se Dario concorda.

  • Lavori scientifici sul risotto non ne ho mai letti. A naso (e guardando i chicchi quando faccio il risotto) serve più per far entrare del grasso e per cambiare la forma cristallina del chicco, quindi per fargli tenere di più la cottura. Ma è solo una mia teoria per ora :) Dovrei fare degli esperimenti

  • Bressanini, sarebbe troppo divertente confutare questa teoria, perché è sulla bocca di tutti ;) crediamo in lei

  • Mattia, Dario

    Alberto mi aiuterá ma la differenza tra il nostro japonica e l'indica è proprio la struttura dell'amido che nello japonica è amorfa e nell'indica invece è cristallina (oltretutto privo anche della perlatura interna data dalla presenza di aria), questa caratteristica è quella che rende lo japonica adatto al risotto perchè tende ad assorbire i liquidi e, come diceva Dario, il grasso durante la tostatura mentre con l'indica non si riesce a fare, poi all'interno dei nostri japonica abbiamo le varie tipologie di utilizzo in funzione del rilascio di amido che dipende dalla grandezza del chicco oltre che dal rapporto amilosio/amilopectina. Oltretutto se l'ipotesi della tostatura per impedire il rilascio di amidi fosse vera si potrebbe usare anche un Balilla per risotti ma temo proprio che non funzioni.

  • Sono in disaccordo sul fatto che la tostatura serva a fare entrare il grasso, anche perché si può tostare benissimo senza aggiungere nessun grasso, io di solito faccio così seguendo quello che diversi cuochi mi hanno insegnato.
    Effettivamente, anche se non saprei proprio come diavolo fare una prova "scientifica", cambia il modo in cui i chicchi rilasciano l'amido, cosa tanto più vera tanto meno il riso che si usa è adatto a essere utilizzato per fare un risotto. Per capirsi senza tostatura rischi di ritrovarti con una pappetta di riso invece di un risotto, o con dei chicchi ormai flosci fuori ma ancora duri dentro.

  • del resto un risotto è tale proprio perché viene rilasciato dell'amido, no? come già è stato detto un basmati (var. indica) non è adatto per un risotto.
    questo però non risolve l'enigma intorno al mito della tostatura, che ricorda quello della sigillatura della carne...

  • Certo che lo puoi "tostare" senza grasso. Ma la consistenza e' diversa a mio parere. Ma e' indubbio che nella tostatura classica il grasso entri nel chicco. Basta guardarlo :)

  • Kalimero, non sono d'accordo. Non tosto mai il riso perché se lo faccio mi viene un risotto con i chicchi sgranati e al dente, mentre a me piace estremamete cremoso con i chicchi cotti il giusto, ossia né al dente né spappolati.
    Con il Roma mi viene bene, mentre se uso i vari pseudo Carnaroli o pseudo Arborio (o quelli che vendono per tali) mi vengono delle orribili insalate di riso calde. D'altronde anche tanti altri presunti risotti che mi hanno rifilato in molte altre occasioni erano insalate di riso calde e sgranate, quindi giungo alla conclusione che ci sia qualcosa nella tostatura che compromette la cremosità finale.

  • Bressanini servirebbe un bel esperimento ;)

  • So che molti cuochi oggi usano tostare senza grassi ma anche a me non piace. Non so se Dario concorda ma con la tostatura si porta il riso più vicino alla temperatura di cottura evitando lo shock termico quando si aggiunge il brodo bollente, così come per una cottura uniforme non bisogna aggiungere brodo freddo, forse la gelatinizzazione degli amidi mal sopporta gli sbalzi di temperatura? Di fatto con la cottura pilaf che mantiene una cottura a temperatura costante si ottiene un riso sgranato senza rilascio di amidi.

  • come ho detto andrebbero fatti esperimenti controllati. Anche perche' la tostatura arriva da un'epoca con varieta' molto diverse. Lo shock termico secondo me non incide molto sulla gelatinizzazione degli amidi. E' piu' un cambiamento della struttura cristallina (d'altra parte osservate i chicchi dopo la tostatura, hanno un colore diverso)

  • Dario

    per gli esperimenti bisognerebbe essere sicuri delle varietà utilizzate, se vuoi ti fornisco i campioni.
    Comunque ecco due informazioni in più

    Carnaroli: chicco grosso e alto contenuto di amilosio
    Vero Arborio: chicco grosso e basso contenuto di amilosio
    Volano: chicco grosso e medio contenuto di amilosio
    Vialone Nano: chicco medio e alto contenuto di amilosio
    Vero Roma: chicco grosso e basso contenuto di amilosio
    Balilla: chicco piccolo e medio contenuto di amilosio

    Il Carnaroli è diventato famoso proprio per la caratteristica della tenuta in cottura e il basso rilascio di amidi ha avuto fortuna in in cucina perché non scuoce e produce risotti sgranati, il Balilla pur con un contenuto di amilosio medio non è adatto al risotto mentre lo sono l'Arborio e il Roma che hanno un basso contenuto però a differenza del Carnaroli con queste varietà si ottiene un risotto "all'onda" o mantecato che dir si voglia. Il Vialone Nano pur avendo un chicco medio ha un alto contenuto di amiloso che lo rende adatto per risotti. Il mitico Volano non può essere uguale all'Arborio in pentola per il suo maggior contenuto di amilosio, infatti Nico conferma di non riuscire a mantecare con lo pseudo Arborio.

    Ps.s. ho utilizzato le diciture piccolo/grosso per intendersi anche se non sono le dizioni corrette.

  • Si avvicina al Balilla come amilosio ma ha chicco più grande quindi si adatta anche a risotti, la morte sua è nella panissa. Se vuoi ho anche quello, quello vero intendo.

  • Ricordo che Balilla e Maratelli sono entrambi selezioni dalla varietà Chinese Originario.

  • @Bressanini
    Mi sono espresso male: concordo sul fatto che se tosto con dei grassi, i grassi entrano nel chicco; non sono d'accordo sul fatto che sia l'effetto più importante.

    Poi, se usare i grassi o no in tostatura... si entra nei gusti personali.

    Come è chiaro io continuo a propendere per la seconda soluzione ;-)

  • Tra il resto, sempre parlando della modalità di tostatura, alcunio cuochi consigliano un fuoco allegro, altri un fuoco piuttosto tenuo per tostare con più calma...
    Ci saranno differenze nel chicco a seconda della modalità scelta?

  • ..continuo a sognare un correttore in questo blog...

  • A me risulta che si "tosti" a secco. Se c'è burro o altro grasso si cerca di non soffriggere, ma insomma è diverso, e comunque dipende sempre dalla mano e dal sentimento del cuoco...
    (Kalimero, e prendersi quei dieci secondi per rileggersi, invece, prima di lanciare il post? ;) )

  • Balilla e Maratelli sono buoni solo da riso in brodo.

  • Zeb

    la ricetta "tradizionale" del risotto, almeno per noi milanesi (vedi la ricetta di Gadda pubblicata qui da Dario), prevede obbligatoriamente il soffritto di cipolla nel burro, poi de gustibus 😀
    Come immaginerai sono un talebano del "risotto alla milanese" quindi niente variazioni alla tradizione (al limite esagerando niente midollo), pena direttamente il patibolo senza processo. Tutte le varianti sono ammesse/mangiate/cucinate anche da me ma non sono appellabili "risotto alla milanese", al limite "risotto con lo zafferano".

    Alberto

    devo correggerti il vero Maratelli è sempre stato usato anche per risotti

    http://www.risoitaliano.eu/centanni-di-maratelli/

  • Andre', punta la spingarda e spara pure: io uso solo parboiled, che più o meno fa tutti i risi uguali. Poi ci mette la mano di supporto il sugo che gli fai assorbire e contornare, ma insomma abbi pazienza: mi son dovuto sorbire in gioventù pure i risotti di riso integrale, mo magno quel che pare a me... ;)

  • Il parboiled? All'armi! All'armi! All'armi siam puristi......😀
    La grazia ti può venire dall'essere stato costretto a mangiare riso integrale, mi vengono i brividi solo a pensarlo. 😅

  • Andrea

    Ho scritto Maratelli (semifino come il vialone nano) ma nel mio cervello vi era il Ticinese (riso comune come il Balilla)

  • @Zeb

    Hai raghione penderò 10 secndi pr rileggermi :-) :-) :-)

    PS: Parboiled per il risotto?!?!?! Aaaaagh

  • Luca Poltronieri 9 ottobre 2015 alle 09:33

    Andrea, mai provato il risotto "allo zafferano" (non dico alla milanese se no mi mandi al patibolo) come lo fa Gualtiero Marchesi, ossia sostituendo il soffritto iniziale con un burro acidulato (prodotto impastando un ristretto di cipolla e vino con del burro) da usare in mantecatura? Potresti ricrederti...

    Il problema di tutti i soffritti per risotti è lo stesso che si deve risolvere con la rosolatura della carne per il ragù: la temperatura per un soffritto delicato (la cipolla bruciata nel burro diciamolo fa schifo!) è troppo bassa per eseguire la tostatura del riso nel grasso, che richiede temperature più elevate. Non c'è soluzione al problema se non separare le due cotture. Diversamente o bruci il soffritto o non tosti il riso.

    Ciò a prescindere dalla utilità/funzione della tostatura, su cui spero Dario prima o poi ci illumini in modo definitivo :)

  • @Luca
    "Risotto alla milanese" e "Risotto allo zafferano": hai fatto bene ad usare due nomi ben distinti se no non se ne usciva più.

    Per inciso io sono un grande fan del burro acido alla Marchesi.

  • Luca

    non ho una preferenza sulla componente acida e anche Gadda prevede la possibilitá di due cucchiai di vino rosso, sull'argomento potremmo aprire un'altra discussione infinita, per esempio Dario ha detto di sfumare raramente. Anche se lo chiama "allo zafferano", senza midollo e con la scenografica foglia d'oro non mi permetterei mai di togliere il titolo di "milanese" al risotto di Marchesi.
    Comunque qui qualche altra indicazione

    http://ifioridelmale.it/articoli/il-perfetto-risotto-allo-zafferano

  • Luca Poltronieri 9 ottobre 2015 alle 11:25

    Andrea, secondo me l'acidità di un soffritto fatto in modo troppo aggressivo è assai peggio rispetto a una acidità controllata aggiunta ex post (dipende dalla dose di burro acidulato). Ma ovviamente è questione di gusti. Anche io non sfumo quasi mai, e se uso il vino lo faccio scaldare/ridurre a parte per eliminare gran parte dell'alcool PRIMA di aggiungerlo.

    Buon risotto :)

  • Giuro che dopo questo non farò altri commenti in materia in questa discussione.

    A completamento: io preferisco il burro acido ma mica sempre, nelle ricette di risotto un poco più ruspanti preferisco il soffritto (però soffritto a parte e poi aggiunto).

  • Kalimero

    perché? Non credo che Dario si offenda, dopotutto non parliamo di dieta alcalina o di biodinamico.

  • Non pensavo si offendesse nessuno, solo è un poco AOT, tutto qui.

  • Luca Poltronieri 9 ottobre 2015 alle 17:08

    Kalimero: sono d'accordo su tutta la linea. ;)

  • da nipote di mondina io il risotto lo faccio col vialone nano da sempre, come nonna comanda (ed e' un pelo piu' difficile che col carnaroli o suoi affini, permettetemi)...a parte questo volevo dire che vialoe e sant'Andrea all'occhio si riconoscono. e anche al gusto, se son mescolati si vede e si sente..poi taccio.

  • Bressanini come mai se si fa il risotto non bisogna mai mescolare per evitare che si attacchi alla pentola? Oppure si mescola in continuazione, però è "noiso" come metodo

  • Dario, sto finendo di leggere il tuo libro "Contro natura" che ovviamente mi piace molto e, a proposito di riso, ho una domanda da porti: ultimamente sento parlare di riso rosso con proprietà anti colesterolo, ma si tratta dello stesso riso rosso o crodo infestante di cui spieghi tu? L' ho visto in vetrina a Novara ma non ho potuto approfondire, puoi aiutarmi a capire? Grazie!

  • nono, è un riso pigmentato, un po' come quello nero derivato da un incrocio con varietà cinesi.
    Comunque non credere alle balle nutrizionali che si raccontano. ANCHE ammesso che abbia proprietà anticolesterolo, non mangi riso rosso tutti i giorni.

  • Grazie Dario, io comunque sono un po' come San Tommaso non ti preoccupare. Per questo mi piacciono il tuo blog e i tuoi libri😉

  • di solito il meccanismo è questo
    1) l'alimento X contiene la sostanza Y
    2) la sostanza Y in VITRO, cioè somministrandola a delle cellule in coltura, mostra una attività di qualche tipo
    3) questa attività, SE avvenisse anche nel corpo umano, POTREBBE influire su alcune malattie

    ma

    1) non si dice quanto ne serve per avere un effetto
    2) non si dice quanto ne contiene l'alimento
    3) ci sono un sacco di sostanze che in vitro hanno un effetto ma in vivo no
    4) non si sa che altri effetti potrebbe avere.
    5) tu mica ti mangi solo quella sostanza. E le altre?

    Insomma, mangiati il riso se ti piace, ma lascia perdere le supercazzole nutrizioniste ;)

  • Guarda caso in questo preciso istante qualcuno ha scritto qualcosa sul Riso Rosso fermentato su Facebook.

    Diciamo che è l'integratore del momento. Riso Rosso fermentato per abbassafre il colesterolo, in comodissime capsule deglutibili. Tempo fa lessi un articolo su Altroconsumo che sosteneva che data l'efficacia della molecola (monacolina K) il prodotto dovrebbe essere messo sotto prescrizione medica. Cioè in effetti è efficace però non si può lasciare al fai da te. Meno male che non succede, altrimenti qualcuno griderebbe al complotto di Big Pharma e al complotto delle statine....

  • Alberto Guidorzi 12 giugno 2016 alle 15:14

    Tirano in ballo gli antiossidanti e dato che io la penso come Bressanini ho voluto documentarmi e ne ho ricavato questo:

    http://www.olioofficina.it/saperi/salute/cibo-e-antiossidanti-cosa-c-e-di-vero.htm

  • Alberto, non riesco ad aprire il sito che hai indicato né dal tuo link né su google. Puoi gentilmente fare un riassunto? O dare le informazioni più salienti? Grazie mille

  • Alberto Guidorzi 12 giugno 2016 alle 22:05

    Mate

    Niente ho solo fatto una ricerca di vari studi, ma non ve n'è uno che parli di prove su esseri viviventi al massimo le prove sono in vivo su cellule isolate, solo che un antiossidante per arrivare alle cellule deve essere passare intata alla digestione essere assorbita, passare nel circolo sanguigno e arrivare alle cellule.

  • Complimenti per l'articolo... non si sente mai parlare di questo problema, che invece E' un problema. Da operatore del settore - commercio all'ingrosso- aggiungo che le cento varietà in potenziale uso all'agricoltore (in realtà almeno il 50% sono dismesse, ed una buona parte delle rimanenti sono soggette alla moda, alle preferenze del mercato - es: i cinesi vogliono solo l'Augusto, e se ne accorgono se gli dai qualcosa di diverso, chissà mai perchè - ed a politiche commerciali un po' opache dei sementieri, che ad esempio a Novembre cominciano a far girare voci di "scarsità di seme di certe varietà", così gli agricoltori/pecora si ammazzano a comprarle) sono un grosso guaio per chi utilizza il riso a livello industriale. Se due risi tondi sono diversi dal punto di vista organolettico e sensoriale, perchè ad esempio dovrebbero comportarsi allo stesso modo quando li usiamo per fare riso soffiato, fiocchi di riso, farina per pane, torte, biscotti, pasta di riso, risolatte, budino di riso? Il grosso del mercato del riso tondo e del lungo è influenzato da consumatori industriali (quelli che fanno i Rice Crispies, per non fare nomi), che periodicamente si stufano di comprare in Italia perchè hanno oscillazioni qualitative continue in quello che gli viene fornito. L'alternativa è sempre la Spagna, dove si semina UN solo tondo, o l'importazione, ad esempio dell'Egitto. Il risultato sono oscillazioni nei prezzi al produttore, col prezzo del risone che riesce a dimezzare e poi triplicare nello stesso anno, riserie che hanno paura a prendere grossi clienti e a fare contratti lunghi, un mercato spaventato dalla volatilità che diventa ogni anno sempre più "provinciale" e non in grado di competere in Europa e nel mondo.... triste, no?

  • Io sarei per riportare il nome della griglia sul fronte delle confezioni (non so in che formato sia acquistato a livello industriale ma stesso discorso) e quello della cultivar sul retro. Così è possibile accontentare sia chi vuole la semplicità sia le industrie, i cuochi e i consumatori attenti.

  • Coldiretti di Pavia sta lavorando seriamente su questa problematica e dopo due anni di lavoro da quest'anno parte con un marchio di filiera certificata per garantire un Carnaroli da Carnaroli pavese.

    Quindi un riso Carnaroli che non abbia varietà similare e che sia coltivato in provincia di Pavia, zona originaria di questa varietà.

    Per maggiori info La Via del Carnaroli

  • Alberto

    finalmente potremo mangiare degli italianissimi risi Indica garantiti dall'etichetta coltivati e lavorati in Italia

    http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2017-05-08/etichetta-made-italy-anche-pasta-e-riso-151923.shtml?uuid=AEkZPPIB&utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter

    chissà se qualcuno tra Mipaaf, Mise e Coldiretti sa dell'esistenza di questo

    http://www.enterisi.it/servizi/Menu/dinamica.aspx?idSezione=17505&idArea=17525&idCat=17531&ID=17531&TipoElemento=categoria

  • Buonasera tutti e... caro Dario, non sai da quanto tempo sei 'di casa' sul mio pc. Ho in versione ebook (persi con il mio vecchio account amazon) tre tue pubblicazioni e sono lettrice 'di lungo corso' del tuo blog e rivisualizzatrice, nel senso che li riguardo a distanza di tempo, dei tuoi video.

    Perchè scrivere solo qui e ora, dopo mesi (anni!!) di religioso silenzio, e non in uno dei tanti altri articoli o in calce a uno dei tuoi video che ho letto ad apprezzato, vedi zuccheri, lattosio, meringhe, bollito non bollito, caramello, Maillard, glutine, sale gialloverdebirulò, omeopatia, calce, ogm, olio di palma, popcorn ecc ecc?

    Semplice, perchè questa del riso mi ha un po' stranamente sconvolta.

    Stranamente, perchè di primo acchito non è un argomento boom della serie "ommioddiocistannoavvelenando"... Pare una cosamolto più 'easy' e appunto per questo mi fa girare le pelotas.
    Se compro del riso Carnaroli credo di comprare il prodotto di una pianta che da 'sempre', inteso come memoria di una generazione, è più o meno quello. Nella mia ignoranza sto comprando una VARIETA' (?).
    Cavolo, se mi vuoi vendere del riso "pincopallo" che ritieni adatto per i risotti, mi scrivi "Riso Pincopallo" per risotti e speri che io lo compri. Non me lo vendi come Carnaroli perchè sai che lo comprerò.
    Lo ritengo scorretto anche per chi investe e coltiva il riso Carnaroli.

    Non è che uno mi vende una trota iridea chiamandola 'trota fario', perchè a colpo d'occhio le distinguo. Ma il riso no..è piccolo, bianco, imbustato sottovuoto o in scatola e quindi te ne approfitti?

    Ho anche pensato "Sì ok, ma anche il melone avrà tante cultivar (?) e me lo vendi come retato, liscio, semiretato, giallo, invernale..." e mi sono detta "Ci sto, perchè alla fine non mi stanno vendendo una varietà specifica ma un qualcosa che ha delle caratteristiche". E' un po' come le patate gialle bianche o rosse o le pesche, che son gialle bianche, noci....

    Ma quando compro il riso credo (anzi fino ad oggi credevo) di comprare QUEL riso.
    Se compro delle pere williams o abate o decana, compro un tipo specifico, no?
    Sarò strana io...

    Comunque, saluti a tutti e grazie Dario per il tuo punto di vista e la tua voglia di metterti in gioco.

  • Alberto Guidorzi 21 agosto 2017 alle 12:26

    Airin

    Mi permetto di dirti, in aggiunta, che se volessi veramente mangiare il riso della varietà Carnaroli, dovresti essere pronta a sborsare non so quanti soldi perchè il riso carnaroli è incoltivabile per un agricoltore (ed infatti se ne produce pochissimo): produce molto poco ed è soggetto alla malattia del brusone in modo "indecente". Sono d'accordo con te che occorrerebbe essere più seri e vendere il riso per categoria merceologica e non per il capostipite della varietà più rinomata. Insomma un po' come si fa con il frumento che è venduto per una certa categoria merceologica ai trasformatori e per un'altra categoria merceologica ai consumatori.

    Consoliamoci però perchè nella la moda dei grani antichi si fa di peggio, si vende una farina o un pane che si dice fatto con delle varietà di frumento che non esistono più.

  • Grazie a te Airin :)
    Per le mele la varietà è bella in mostra. Per i pomodori anche. Non capisco perché non si possa fare per il riso! (Cioè, lo capisci ma non ha nulla a che fare col consumatore, perché i risicoltori che seminano una varietà X vengono pagati per X. Sono i produttori, le riserie, che possono venderlo per Y

  • Quindi il signor Mario che semina del SISR215 viene pagato dal sig. Curti e dal sig. Scotti per il SISR215, il signor Paolo semina il RIBE e viene pagato dal sig. Curti e dal sig. Scotti per RIBE, mentre io compro da Scotti e Curti una scatola di Riso RIBE ricevendo indiferentemente del SISR215 o del 'vero' RIBE?
    Beh dai, perlomeno i produttori guadagnano per quello che vendono, ma a sto punto la convenienza la hanno solo i sig. Scotti, Curti, Gallo nonchè chiunque rivenda riso a propro marchio (coop, esselunga, pam..) et similia!

    Forse ora capisco perchè ho trovato al ristorante delle crocchette di riso che a menu erano contrassegnate dalla scritta 'riso acquerello'.. (ho dovuto cercare su web per vedere che era..e scoprire che c'è pure la mappa dei rivenditori e locali che usano questa marca (fanno carnaroli ..pure in versione invecchiata) come materia prima.

    Da qui la domanda: se io produco il mio risone vulcano, lo lavoro e lo rivendo, posso denominarlo 'arborio'? O poichè non l'ho comprato da nessuno lo devo vendere col suo nome?

  • "se io produco il mio risone vulcano, lo lavoro e lo rivendo, posso denominarlo 'arborio'? O poichè non l'ho comprato da nessuno lo devo vendere col suo nome?"

    Qui ci vorrebbe Andrea, ma credo proprio che tu possa inscatolarlo e venderlo come Arborio se è nella griglia ministeriale. Sono le riserie che fanno i prezzi delle diverse varietà, non è OBBLIGATORIO che abbiano prezzi diversi :)

  • Airin in ogni caso "acquarello" non è una varietà di riso ma un marchio registrato di un produttore di Livorno Ferraris. E' carnaroli (varietà non griglia) che il produttore tratta in modo particolare.

  • dannato correttore -> "acquerello"

  • Dario

    scusa ma sono giorni intensi, la risposta rapida è sì, per essere più esustivi: l'articolo 1 della legge del 1958 così come modificato dall'art. 28 del decreto legislativo 109/1992 (quello che fino a Dicembre 2014 regolava in pratica tutta la normativa etichettatura) recita

    Il nome di riso e' riservato al prodotto ottenuto dalla lavorazione del risone con completa asportazione della lolla e successiva operazione di raffinatura

    sempre con lo stesso decreto legislativo è stato modificato l'art. 2 con l'introduzione delle famigerate griglie

    Con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato e' determinata la denominazione delle varieta' di risone e delle corrispondenti varieta' di riso, che formano parte integrante della denominazione di vendita.

    che per loro stessa definizione quindi si applicano al "riso" come definito sopra, pertanto è il risone in quanto tale che deve essere venduto con la sua vera denominazione, nel caso quindi di risicoltore con riseria può coltivare Volano e una volta lavorato venderlo come Arborio, resta fermo il divieto di miscela di diverse varietà anche appartenenti alla stessa griglia. La pratica della miscela era diffusa prima della legge del 1958, motivo che ha portato all'approvazione della legge come si può evincere anche qui

    http://www.camera.it/_dati/leg03/lavori/stampati/pdf/31100001.pdf

    in occasione della sua prima modifica risalente al 1961.
    Purtroppo non riesco a ritrovare i verbali che hanno portato alla legge del 1958.

  • Trovato il carnaroli in purezza. Azienda Agricola Ardizzina, strada Valenza, 21 - Casale Monferrato
    http://www.ardizzina.com

  • Alberto

    Ho letto il tuo articolo su olioofficina relativi agli antiossidanti e Co dove confermi la mia convinzione su certe ciarlatanerie, tutto bello
    Ma alla fine trovi la pubblicità di un ciarlatano

  • PS
    Dimenticavo scritto sempre con estrema logica e rigore da far invidia

  • Oggi prova provata che il carnaroli è una bestia rara
    confezione nuova di riso carnaroli acquistato all'esselunga, tempo di cottura indicato 18 minuti, tempo reale 12 minuti, che riso mi hanno venduto?

  • rborio, resta fermo il divieto di miscela di diverse variet

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