15 settembre 2014

Il cervello allenato compensa le placche dell'Alzheimer

Le placche amiloidi, gli ammassi proteici tipici della malattia di Alzheimer, possono essere aggirate dalle comunicazioni neuronali quando il cervello ha mantenuto una sufficiente plasticità anche nell'età avanzata. La scoperta è di un nuovo studio basato sulla risonanza magnetica funzionale, che ha mostrato aree di maggiore attivazione nel cervello di alcuni soggetti portatori di placche ma cognitivamente normali. Gli autori ipotizzano che la ragione sia l'abitudine ad affrontare attività stimolanti per il cervello(red)

Per quale motivo alcuni anziani con placche amiloidi, uno dei principali segni organici della malattia di Alzheimer, mantengono una funzionalità cognitiva normale, mentre altri sviluppano una forma di demenza?

Lo hanno scoperto Jeremy A Elman del Lawerence Berkeley National Laboratory a Berkeley, in California e colleghi di altri istituti statunitensi: le scansioni di risonanza magnetica funzionale, la tecnica di imaging che permette di evidenziare le aree cerebrali che si attivano mentre un soggetto effettua determinati compiti, mostrano che il cervello è in grado di aggirare l'ostacolo delle placche, purché possa contare su un sufficiente livello di plasticità.

Lo studio, pubblicato su “Nature Neuroscience”, è stato condotto su 22 soggetti giovani e in salute e su 49 adulti più anziani senza segni di declino cognitivo. La risonanza magnetica funzionale ha mostrato che 16 soggetti, compresi nel secondo gruppo, avevano depositi amiloidi.

Il cervello allenato compensa le placche dell'Alzheimer
 Elaborazione al computer delle scansioni di risonanza magnetica funzionale che mostrano un cervello di soggetto con placche amiloidi: le aree in giallo evidenziano la maggiore attivazione cerebrale (Cortesia William Jagust)
Gli autori hanno poi utilizzato la stessa tecnica di imaging per osservare l'attività cerebrale dei soggetti durante alcuni test in cui dovevano memorizzare immagini di varie scene e successivamente confermare se una serie di descrizioni scritte corrispondevano a quanto visto in precedenza.

“I due gruppi si sono comportati in modo simile durante le prove, ma dalle scansioni è emerso un dato molto interessante in tutti i portatori di placche amiloidi: quanto più era difficoltoso il compito, più risultava incrementata l'attività cerebrale del soggetto”, ha spiegato William Jagust, che ha guidato lo studio. "Era come se il loro cervello avesse trovato un modo per compensare la presenza delle placche”.

Ciò che rimane ancora da chiarire è perché altri soggetti
con placche amiloidi non riescano a fare altrettanto. L'ipotesi più probabile, sostenuta dallo stesso Jagust, è che le persone abituate per tutta la vita ad attività cognitivamente stimolanti siaNo più capaci di adattarsi a un potenziale danno delle placche.