Sperimentazione animale, perché è sbagliato prendersela con i ricercatori

Siamo stati alla manifestazione indetta dal Partito animalista europeo per liberare cinque macachi utilizzati da un’équipe di scienziati della Sapienza. Ecco cosa hanno sostenuto i manifestanti (e qualche risposta)

di Sandro Iannaccone e Simone Valesini

Giovedì 5 febbraio. Siamo alla Sapienza Università di Roma, dove un centinaio di attivisti del Partito animalista europeo sta manifestando per esprimere il proprio dissenso sulla sperimentazione animale a fini di ricerca scientifica e chiedere la liberazione dei quattro macachi utilizzati dall’équipe di Roberto Caminiti, del dipartimento di Neurofisiologia dell’ateneo romano. Sarebbero dovuti scendere in piazza anche studenti e ricercatori, per contromanifestare e spiegare le proprie ragioni, ma il confronto non avrà mai luogo, su esplicita richiesta del rettore e invito della Questura. Sotto una pioggia torrenziale, gli animalisti illustrano la propria posizione e i motivi della protesta: a parlare – prima ai manifestanti e poi ai microfoni di Eduardo Stoppa, inviato di Striscia la Notizia, i cui servizi avevano dato il via alla querelle – sono Stefano Fuccelli, fondatore e presidente del Partito Animalista Europeo, e Bruno Fedi, referente scientifico dell’evento e primario patologo dell’Ospedale di Terni.

**Sperimentazione animale: una questione etica o scientifica?**Spesso le proteste contro la sperimentazione animale confondono due piani diversi. Sul piano etico è indiscutibile che ognuno abbia diritto a sostenere la propria opinione. È assolutamente lecito (al più non condivisibile) ritenere che lo sfruttamento degli animali sia sbagliato in ogni sua forma, sia che avvenga a scopo alimentare o industriale, sia che il loro utilizzo serva a sviluppare nuove terapie per curare malattie e salvare vite umane. Tuttavia, ancora pochi in Italia sono così radicali. Cos'hanno di diverso gli esperimenti sugli animali per scopi di ricerca scientifica rispetto ad allevamenti, mattatoi e pelliccerie? Perché i primi attirano con tanta veemenza l'indignazione degli amanti degli animali?

È qui che la questione si fa scientifica, perché chi protesta, come ha raccontato Fedi, si appella alla (presunta) inutilità scientifica della sperimentazione animale. Gli animali dunque sarebbero inutili per la ricerca (come dice il primario di Terni, non rappresentano un modello adatto per studiare l'organismo umano). Se fossero indispensabili, d'altronde, non ci sarebbe nulla di diverso tra usare un topo per verificare la tossicità di un nuovo farmaco, e uccidere una mucca per farne bistecche o scarpe di cuoio. Questo ci porta al secondo punto.

Chi decide cosa è utile per la ricerca?La risposta, scontata per qualunque scienziato, è che lo decide la comunità scientifica. E checché ne dicano il Partito animalista europeo, la Lav, e le altre associazioni che si oppongono alla sperimentazione animale, la comunità scientifica, finora, ha deciso che gli animali oggi sono ancora indispensabili per la ricerca. Lo dicono tutte le società scientifiche del mondo, lo sottolineano i tanti premi Nobel assegnati a ricerche svolte su animali, e lo tengono bene a mente le agenzie regolatorie internazionali, che pretendono che i nuovi medicinali siano testati su animali prima di poter iniziare i trial sugli esseri umani. Anche se, come è normale che sia, all'interno della comunità degli esperti esistono voci critiche (il parere assolutamente contrario di Fedi, per esempio), esiste una posizione ufficiale ben salda. Secondo la quale la sperimentazione animale è stata essenziale, e lo è ancora, per ottenere progressi in medicina.

È un complotto delle case farmaceutiche?Gli anti-sperimentazione animale spiegano la posizione della comunità scientifica adducendo a motivo il forte interesse economico di lobby di potere e case farmaceutiche, cui converrebbe continuare a sperimentare i propri farmaci sugli animali invece di cercare metodi alternativi. Ora, intendiamoci, le case farmaceutiche non fanno beneficenza, ed è quindi credibile che resistano a qualunque cambiamento che intacchi il loro margine di profitto. Peccato, però, che le argomentazioni degli animalisti per spiegare l’organizzazione di questa truffa colossale da parte di big pharma siano piuttosto vaghe e confuse.

Proviamo a ricostruire la faccenda: secondo la tesi di partenza, la sperimentazione animale è inutile e dannosa, perché le cavie animali non rappresentano un modello corretto per le malattie e la fisiologia umane. In più, l’appropriatezza dei modelli animali – dicono gli animalisti – non è mai stata validata da alcuna istituzione scientifica del pianeta. La fallacia sta qui: perché alle case farmaceutiche dovrebbe convenire utilizzare un modello che non funziona?

La verità è che l’industria del farmaco, se ne avesse la possibilità, farebbe volentieri a meno della sperimentazione animale, così come farebbe a meno di qualunque costoso passaggio tra lo sviluppo di un farmaco e la sua commercializzazione. E sarebbe molto pericoloso, come ci insegna la storia: i rigorosi protocolli di sperimentazione sono stati introdotti solo negli anni ‘60, in seguito ad alcuni scandali clamorosi, (il caso del talidomide, per esempio, raccontato in un documento della Fda) che hanno dimostrato i drammatici pericoli dei farmaci non testati.

È sbagliato prendersela con i ricercatoriCome abbiamo detto, dunque, la quasi totalità della comunità scientifica sostiene, non certo per sadismo, la sperimentazione animale. Che sia eticamente giusto o sbagliato, è bene ricordare che i ricercatori seguono le leggi vigenti e il parere ufficiale della scienza. Dare addosso agli scienziati con campagne d’informazione stucchevoli e frettolose, nel tentativo di soccorrere le possibili vittime (in questo caso i macachi della Sapienza), rischia di fare solo male. Alla comunità scientifica, in primo luogo, ma anche alla collettività. Pensiamo per esempio a quanto ci costa la legge che vieta l’allevamento di cani, gatti e scimmie a scopo di ricerca nel nostro paese, senza però proibirne l’utilizzo.

Sarebbe forse più opportuno, da parte di chi è eticamente contrario alla sperimentazione animale, convogliare le proprie pressioni sulle richieste di finanziamenti per metodi alternativi, anziché far la guerra agli scienziati. Metodi che, tra l’altro, in parte sono già utilizzati (sarebbe più opportuno chiamarli complementari) e che già permettono di ridurre di parecchio il numero di cavie necessarie agli esperimenti e i rischi cui vanno esposte le cavie stesse.

Ma c****osa pensano davvero gli italiani della sperimentazione animale?Questo è un punto importante, perché sottolinea la scarsità di informazioni che circolano a riguardo, e l'importanza di un dialogo aperto tra le diverse opinioni. Nel corso della manifestazione, gli attivisti hanno sottolineato con veemenza, a ulteriore sostegno delle loro tesi, che l’80% degli italiani è contrario alla sperimentazione animale”. In realtà, le cose non stanno esattamente così.

Lo evidenzia chiaramente un sondaggio Ipsos del gennaio scorso, condotto su un campione di mille persone stratificate per età, sesso, titolo di studio e area geografica di provenienza: il 57% degli intervistati, al contrario, considera la sperimentazione animale a fini di ricerca scientifica “del tutto accettabile” o abbastanza accettabile*”*, una cifra sostanzialmente mantenutasi stabile rispetto al 2011.

La domanda è stata posta dopo aver spiegato agli intervistati il contenuto delle direttive Cee che controllano la sperimentazione scientifica sugli animali: “Le gabbie devono essere pulitissime e di dimensioni adeguate e chi fa interventi chirurgici sugli animali deve dimostrare di essere in grado di farlo limitando al massimo le sofferenze. Inoltre oggi le sperimentazioni scientifiche sugli animali si sono molto ridotte e circa il 90% degli animali utilizzati per le sperimentazioni sono topi. Alla luce di quello che le ho appena detto, quanto ritiene accettabile la sperimentazione scientifica sugli animali per testare nuovi medicinali o nuove cure prima che arrivino all’uomo?”.

Questo perché, a detta dei sondaggisti, il livello di informazione sulla sperimentazione animale è ancora “troppo scarso*”* e le modalità di comunicazione “risultano decisive: da un lato la comunicazione troppo urlata o sensazionalistica e, dall’altro, l’assertività e la scarsa apertura al dialogo, che*”radicalizzano le posizioni indipendentemente dal merito e dai contenuti”*.