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  • Mercoledì 18 febbraio 2015

Come funziona il New York Times

La rivista Popular Mechanics racconta numeri, tempi, luoghi e meccanismi del giornale più famoso del mondo

(Andrew Burton/Getty Images)
(Andrew Burton/Getty Images)

Il mensile statunitense Popular Mechanics – una rivista che dal 1902 si occupa di tecnologia – ha raccontato nel suo numero di questo mese come funziona e come viene fatto ogni giorno il New York Times, probabilmente il giornale più conosciuto al mondo, il cui sito web è oggi consultato da 28 milioni di utenti unici al mese. Ma nonostante il grande seguito dell’edizione digitale, il New York Times ottiene ancora la maggior parte dei suoi guadagni dalle 730mila copie cartacee – che diventano 1,25 milioni nell’edizione del weekend – distribuite ogni giorno in tutti gli Stati Uniti d’America; proprio la carta, che al pari dei contenuti rappresenta quindi uno degli elementi fondamentali di cui è fatto il New York Times, è l’inizio del racconto.

La tipografia
Il principale stabilimento tipografico del New York Times, dove ogni notte 350 persone lavorano per produrre più di 300mila copie del giornale, ha una superficie di 48mila metri quadrati e si trova nel quartiere newyorkese del Queens, a circa quindici chilometri dalla redazione. Al suo interno una stanza di coordinamento piena di schermi, che ricorda la torre di controllo di un aeroporto, sorveglia il funzionamento di 22,5 chilometri di nastri trasportatori. Questi muovono tonnellate di carta, che ogni settimana arrivano da quattro cartiere – due in Québec e una in Ontario (in Canada), una in Tennessee – sotto forma di grandi rotoli da 1000 chili di peso e 130 centimetri di diametro. Questi enormi cilindri alimentano i rulli delle rotative attraverso un’apertura nel soffitto e sono poi diretti verso sette diverse presse che stampano le singole pagine per sei/undici ore consecutive. Ogni volta che uno di questi rotoli sta per esaurirsi, un addetto collega con grossi pezzi di nastro adesivo la fine del vecchio cilindro all’inizio di quello nuovo per non interrompere il funzionamento dell’impianto.

La stampa è un passaggio molto delicato: quando il file digitale di una pagina arriva dalla redazione centrale, un laser ne incide l’immagine su una lastra di alluminio ossidato, che viene poi lavata in una soluzione chimica a base di zuccheri. Per completare la stampa di una pagina sono necessarie quattro piastre – una per ogni colore usato delle presse: ciano, magenta, giallo e nero – e poiché il contenuto di ogni pagina può variare secondo le edizioni, la tipografia del Queens ogni notte utilizza 3mila piastre per stampare le circa cinquanta pagine del quotidiano.

Le piastre vengono installate sulle presse di stampa, che fissano l’inchiostro solo sulle aree incise dal laser, poi la carta scorre fino al centro di una stanza in cui alcuni tipografi controllano che le presse dei diversi colori siano in asse: nell’angolo in alto a sinistra di ogni pagina c’è un quadrato di un millimetro di lato, se dopo la stampa questo è nero significa che i macchinari stanno funzionando correttamente, se invece i tipografi notano una sbavatura di colore significa che la piastra corrispondente è fuori registro. Spesso prima che la “first good copy” (la prima copia approvata per la distribuzione) sia pronta lo stabilimento ha già stampato migliaia di pagine, che finiscono direttamente nei contenitori della carta da riciclare.

Dopo la stampa, ogni foglio è piegato a metà e tagliato; i nastri lo trasportano fino a un’altra postazione, dove si ordinano i singoli fogli a formare i giornali completi; questi sono impilati in mazzi da cinquanta copie, legati con fasce di plastica e accumulati sui bancali, che a loro volta finiscono poi sui camion. Tutto in modo completamente meccanizzato.

Entro le 3:25 della notte, i camion lasciano lo stabilimento tipografico secondo un ordine programmato al minuto e si dirigono verso una cinquantina di depositi: il passaggio successivo della distribuzione. Qui le risme di copie vengono scaricate e ritirate da coloro che si occupano della diffusione al pubblico, che in genere inizia verso le 5:30 del mattino.

La redazione
Dal 2007 la sede principale del New York Times è al 620 della Eighth Avenue di New York, in un edificio progettato dall’architetto italiano Renzo Piano che dista circa 500 metri da Times Square. Times Square – originariamente Longacre Square – fu rinominata in omaggio al giornale, che nell’aprile 1904 spostò la sua sede nell’edificio chiamato One Times Square. Sul tetto di questo palazzo, occupato dalla redazione fino al 1913, è collocata la Times Square Ball, che dal 1907 durante l’ultimo minuto di ogni fine d’anno scende lungo il palo che la sostiene e con la fine della sua corsa segna l’inizio del nuovo anno.

In una grande sala conferenze della nuova sede, invece, ogni giorno alle 16 si svolge il page one meeting, la riunione in cui si decidono le notizie che verranno pubblicate il giorno dopo sulla prima pagina dell’edizione cartacea del New York Times. In passato il page one meeting si teneva alle 10 di mattina, ma ora la riunione di quell’ora è stata rinominata news meeting perché al suo interno si prendono decisioni che interessano non solo l’edizione cartacea, ma anche il sito web e le applicazioni per tablet e smartphone.

Dal 2011 è l'”Associate Masthead Editor” Tom Jolly – giornalista prima a capo della sezione sportiva, poi promosso a questa nuova posizione intraducibile nata proprio in quell’anno – a coordinare queste due riunioni fondamentali, cui prendono parte una trentina di caporedattori più i responsabili delle redazioni distaccate. Oltre a scegliere cosa pubblicare sulla prima pagina del quotidiano e sulla home page del sito internet, Jolly supervisiona l’attività di tutte le redazioni cartacee o web, quella delle applicazioni per smartphone e tablet, dei social media e decide se inviare notifiche via SMS agli oltre 14 milioni di utenti che hanno sottoscritto il servizio breaking news. Durante il page one meeting ciascun responsabile di sezione espone le notizie più rilevanti della propria area e i partecipanti valutano le proposte, ma la selezione finale degli articoli e delle immagini che finiranno in prima pagina è compito di Jolly e Dean P. Baquet, il direttore del New York Times.

La trasformazione del New York Times da giornale edito una volta al giorno a moderno produttore di contenuti multimediali e multipiattaforma 24/7 (cioè attivo a qualsiasi ora di qualsiasi giorno) è particolarmente evidente nella redazione delle news, dove lo stesso spazio fisico è occupato da professionisti che svolgono attività molto diverse: c’è chi si occupa di scrivere i titoli più adeguati per gli articoli e di far rispettare le scadenze orarie per le singole sezioni del quotidiano (la prima è alle 21, l’ultima è a mezzanotte e mezza), ma c’è anche chi ha pochi secondi per decidere se pubblicare e quanto risalto dare a una delle circa 300 notizie che ogni giorno il New York Times produce sotto forma di articolo, galleria d’immagini, video, post individuale o altro.

Il settore della redazione che con la nascita di Internet ha subito il cambiamento maggiore, però, è quello della grafica, dove insieme a fotografi e disegnatori oggi lavora un gruppo di 35 persone esperte in statistica, programmazione, cartografia, grafica 3D, produzione audio, animazione e produzione video. Questa squadra ha il compito di produrre immagini da affiancare agli articoli scritti, ma lavora anche in autonomia producendo grafici e infografiche frutto dell’elaborazione dei dati.

Le nuove tecnologie
Il New York Times occupa circa 1.300 giornalisti, una classificazione che accanto ai ruoli più “tradizionali” include anche professionalità nuove per il mondo dell’editoria. NYT Now, per esempio, è la prima applicazione mobile del New York Times ad avere una redazione dedicata, che si occupa 24 ore su 24 di monitorare il web per scoprire notizie interessanti e di scegliere i contenuti prodotti da qualunque sezione del giornale che meritano di essere pubblicati nella selezione della app. L’Interactive News Team, invece, è un dipartimento nato nel 2007 e composto da giornalisti-programmatori, che uniscono competenze informatiche e giornalistiche per sviluppare programmi e strumenti utili all’attività di redazione.

Il massimo grado di sperimentazione si raggiunge però nel R&D Lab, il laboratorio ricerca e sviluppo del New York Times creato – come scrive Popular Mechanics – “con l’obiettivo di guardare tre/cinque anni nel futuro”. In un ampio open space al ventottesimo piano della redazione, ogni tecnologia potenzialmente utile all’attività futura del giornale viene messa alla prova: dai prototipi di droni per effettuare riprese dall’alto, ai programmi che monitorano i terremoti e sono in grado di generare automaticamente testi sulla base dei dati sismografici, ogni progetto ha il fine di dare più strumenti al New York Times per rimanere competitivo nel mondo dell’informazione e offrire un prodotto migliore ai lettori.

Il CIO (Chief Information Officer, il manager responsabile della tecnologia aziendale) del New York Times, Marc Frons, dice di non sapere come le persone interagiranno con il suo quotidiano fra dieci anni: “potrebbe essere sul tuo polso, o sulla fronte, o magari prenderai una pillola, o ci sarà una lente a contatto olografica, o una proiezione nella tua auto, oppure sullo specchio nel tuo bagno”. Nell’ambito dell’innovazione, il laboratorio R&D – spiega Popular Mechanics – sperimentò l’e-Ink (la tecnologia per display tipica dei lettori di e-book che imita l’aspetto dell’inchiostro sul foglio) prima che il Kindle di Amazon fosse messo in vendita e ha aiutato il New York Times a diventare la prima pubblicazione con un’applicazione per i Google Glass, gli occhiali da collegare al proprio smartphone per vedere sulle lenti notifiche di vario tipo e ottenere indicazioni geografiche. Recentemente un ricercatore del laboratorio ha sviluppato una spilla che s’illumina ogni volta che un articolo menziona un argomento interessante per chi la indossa, sulla base delle sue precedenti letture. Alla domanda del giornalista di Popular Mechanics sulle possibili applicazioni pratiche di questa tecnologia, il direttore del laboratorio Matt Boggie ha risposto: “Non lo sappiamo ancora!”