Anna Guaita
Quest'America
di Anna Guaita

L'ultimo trend: il coffee-shop in banca

di Anna Guaita
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Martedì 28 Marzo 2017, 17:59
 
NEW YORK – Vado in banca a prendermi un caffè.

Fino a poco tempo fa, dicevamo: “Vado in libreria a prendermi un caffè”. Erano le grandi catene, come Barnes and Noble o la defunta Borders’s ad aver inaugurato l’idea di fondere ristoro e commercio. Vai in libreria a comprarti i libri da portarti al mare, e ti fermi al bar a prendere un caffè, una pastarella, o una spremuta di arancia.

Adesso sono le banche a copiare il concetto.

A Union Square, la piazza newyorchese che è diventata estremamente trendy grazie alla presenza dilagante degli studenti della New York University e a una serie di negozi molto popolari, l’angolo a sud-ovest presenta questo nuovo connubio. Dove fino a qualche mese fa sorgeva un immenso negozio di scarpe, ora c’è una filiale di Capital One, la banca della Virginia specializzata in carte di credito e prestiti.

Ma quando guardi le vetrine, non vedi cassieri o bancomat: vedi lunghe tavole affollate di giovani che lavorano ai loro lap-top e iPad, e sullo sfondo un bar affollatissimo che smercia cappuccini ecc.

La banca quasi non la vedi neanche.

La banca si presenta cioé come luogo dove ritrovarsi e lavorare in compagnia, svagarsi e ristorarsi.

Difficile credere che che possa funzionare.

Eppure pare funzioni, nel senso che oggi alle banche interessa attirare i clienti oltre il gabbiotto dei bancomat, portarli dentro a scoprire tutte le “meraviglie” dei prestiti, dei mutui ecc. Importa soprattutto interessare i giovani, e convincerli a farsi una carta di credito. E cosa meglio di postazioni di lavoro per il computer, con Wi-Fi ad alta velocità gratuito, le prese per la ricarica di tablet e cellulari, tavoli lunghi per chi vuole lavorare in compagnia, oppure poltrone e tavoli bassi per chi vuole stare da parte e riposarsi un po’?

La ricetta, è provato, funziona per le librerie. La Barnes and Noble spiega infatti che se i clienti che passano ore nei bar magari non comprano nulla, tuttavia c’è una innegabile ricaduta poi nel commercio on-line: la gente vede i libri negli scaffali e poi li compra via internet. Quindi il bar è un’attrazione che vale non solo per il costoso affitto che le catene di coffee chop pagano per il diritto di aprire un bar nel cuore delle librerie, ma anche per la ricaduta a lungo termine.

Difatti quando l’altra grande catena è fallita, la Border’s, nel farne il post-mortem vari analisti trovarono che la ragione era proprio che la catena originaria del Michigan era arrivata seconda su vari fronti: sia la presenza on-line, sia proprio la presenza di un bar. Arrivata seconda, dovette accontentarsi di accogliere bar meno famosi, non lo Starbuck che invece Barnes and Noble si era assicurato in esclusiva.  

E la banca di Union Square? Loro si sono assicurati un nome che è mitico negli Usa, il Peet’s cafè. La catena è nata a Berkeley, nella San Francisco degli hippies, della rivoluzione culturale degli anni Sessanta. Rimane un marchio popolare presso i giovani un po’ alternativi, e di sicuro piacerà alla popolazione universitaria della New York University.

Ora sarà interessante vedere se anche le altre banche imiteranno Capital One. La banca della Virginia ha più di 800 filiali negli Usa. Per ora solo 10 hanno anche la zona bar-WiFi-socializzione, ma ne sta preparando altre. E guarda caso, tutte in grandi città, vicino a università.

 
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