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Cultura

Brand journalism, se il marchio genera una nuova cultura dell'informazione

Ansa
Ansa 

Internet ha cambiato il modo di fare informazione

, rivoluzionando la forma e la sostanza della notizia, il ruolo del giornalista e il rapporto non più passivo tra il giornale e il lettore.

Uno degli effetti più innovativi e relativamente recenti del web in quanto strumento è la diffusione del brand journalism, ovvero quel tipo di giornalismo che si occupa della comunicazione di tutto ciò che ruota attorno a un marchio - brand - con lo scopo di informare e i lettori sulla storia dell'azienda attraverso gli strumenti e le regole proprie del professionista che opera nei mass media.

Causa del brand journalism è la stanchezza del consumatore per i messaggi pubblicitari tradizionali, essendosi così assuefatto da non recepirli più in maniera positiva, determinandone così la pressoché inutilità.

Da qui la necessità di una nuova modalità di marketing: il racconto di storie - storytelling - con la capacità di attrarre la domanda, utilizzando come ancore le emozioni e gli interessi.

Il Brand Journalism - traducibile in italiano con giornalismo d'impresa - non è, però, nato con internet: due magazine, infatti, possono essere annoverati tra i suoi illustri antenati, nati a cavallo degli inizi del secolo scorso.

Innanzitutto, era il 1895 quando John Deere pubblicò The Furrow, una rivista per i clienti con contenuti utili per gli agricoltori.

Questo magazine esiste ancora oggi e raggiunge circa 2 milioni di persone in tutto il mondo (Unione Europea, Europa dell'Est, Medio e Vicino Oriente, Nord Africa). Il suo scopo è fornire al lettore un mix di temi di attualità agricola sia locale che internazionale e guide pratiche.

Cinque anni dopo, invece, fu la volta della prima pubblicazione della famosa Guida Michelin, nata per aiutare i guidatori a cercare officine per riparare le proprie auto e alloggi dove dormire durante i viaggi in Francia. Oggi, la Guida Michelin è il maggiore riferimento mondiale per la valutazione della qualità dei ristoranti e degli alberghi a livello nazionale e internazionale.

Più vicino ai nostri tempi, infine, è l'intuizione, nel 2004, di Larry Light, allora capo dell'ufficio marketing di McDonald's, la catena mondiale di fast food che, consapevole del fatto che il marketing di massa avesse smesso di funzionare, cominciò ad applicare una nuova tecnica pubblicitaria, dove è la storia del marchio ad essere protagonista.

Light diede questa definizione di brand journalism: "È la cronaca delle varie cose che accadono al mondo di un marchio, attraverso i giorni e attraverso gli anni. È così che creiamo un valore reale, percepito per sempre dal consumatore".

Ciò che condusse Light a pensarla in questo modo fu un momento difficile che stava passando McDonald's in quegli anni, perché stava subendo soprattutto attacchi da chi riteneva che nei fast food si proponesse una cattiva alimentazione, rischiosa per la salute.

Il capo dell'ufficio marketing, quindi, decise di portare un gruppo di mamme nei laboratori di McDonald's con lo scopo di testare con i propri occhi, come dei veri e propri reporter, la qualità del fast food.

Da allora, il brand journalism ha contagiato molti altri brand internazionali - come Red Bull e la Coca Cola - e si sta diffondendo anche in Italia, con la nascita sempre più numerosa di magazine dove i giornalisti sono necessari per raccontare le storie che riguardano i marchi.

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