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Il modello Svezia è in discussione

L’afflusso di migranti mette a dura prova uno degli Stati sociali più generosi al mondo, evocando paure e istinti isolazionistici. L’economia tiene e, malgrado la crescita delle destre, il paese resta accogliente. Ma l’Europa delude e la socialdemocrazia arranca.

Estratto dell'articolo "Il modello svedese scricchiola"
di Andrea Tarquini
Pubblicato il Aggiornato il
Dettaglio di <a href=http://www.limesonline.com/la-svezia-e-la-sua-sfera-dinfluenza/92483>questa carta</a> di Laura Canali
Dettaglio di questa carta di Laura Canali 

Città ordinate e sicure, movida giovanile vivacissima, vita culturale di alto livello, design ed eccellenze tecnologiche sempre ai vertici, ferie per tutti nei mari caldi senza tagli al bilancio familiare.


Rispetto ai sussulti di crisi dell’Europa meridionale o francesi, e anche a paragone degli scossoni che le Ängste degli elettori tedeschi verso i migranti e verso la politica della Banca centrale europea (Bce) danno all’establishment di Angela Merkel, le difficoltà del modello svedese - matrice del modello nordico - appaiono invisibili, o insignificanti.


Eppure, se li ascolti bene sono loro i primi a dirlo: il modello che da decenni, dall’epoca gloriosa di Tage Erlander e Olof Palme ha prodotto consenso, stabilità e prosperità va reinventato. Così com’è, rischia di non essere più sostenibile nel futuro.


Almeno cinque fattori lo sfidano.


Primo, l’ondata dei migranti, inevitabilmente destabilizzante anche qui. Nel 2015 ne sono arrivati in circa 190 mila. Rispetto alla popolazione, è come se la Germania ne avesse accolti non 1,2 milioni ma quasi due.


Le leggi svedesi sono rigorosissime, per cui non puoi ospitarli in tendopoli o alla meglio: devi dar loro alloggi veri, assistenza piena, scuole per i figli, corsi di lingua, aiuto a cercar lavoro. I costi allora esplodono: l’aumento delle prestazioni sociali ha sorpassato a sorpresa l’altro aumento, anch’esso nuovo ma previsto, delle spese per la difesa.


Secondo, la crisi dei partiti storici e la crescita dei nuovi populisti. È una realtà anche qui in Svezia, come negli altri paesi scandinavi; non ancora dirompente come in Francia, Regno Unito o Italia, ma non più trascurabile. Secondo sondaggi recenti il blocco socialdemocratici-verdi, alla guida del paese con un governo di minoranza presieduto dal socialdemocratico Stefan Löfven in seguito alle ultime elezioni politiche (settembre 2014), avrebbe l’appoggio di appena il 28,5% dell’elettorato. L’alleanza delle opposizioni democratiche formata da Nya Moderaterna e dagli altri partiti «borghesi», come si dice qui, cioè moderati o liberal-conservatori, che erano prima al potere con l’ex premier Fredrik Reinfeldt, arriva al 35,7%.


Per fermare i populisti l’alleanza sostiene il governo sul bilancio e su altri temi fondamentali, ma ciò scontenta molti elettori, che non hanno mai votato per una grande coalizione alla tedesca, e insieme alle tensioni create dall’ondata di migranti rafforza la destra antistranieri. Cioè Sverigedemokraterna di Jimmie Åkesson, che nei sondaggi d’inizio anno toccava punte del 27,9% (prima forza politica del paese), per calare un po’ solo dopo che il governo ha introdotto misure di controllo migratorio più severe.


Terzo, la delusione verso l’inefficienza dell’Unione Europea (Ue).


Tra gli scandinavi, gli svedesi sono senza dubbio il popolo più europeista. Ma il modo in cui l’Unione ha gestito (o non gestito) la sfida della grande migrazione è stata un trauma per il regno. «Saremo stati anche ingenui, come altri governi e altri paesi, nel sottovalutare il problema migratorio, ma il fatto è che ci siamo sentiti abbandonati», ha detto il premier Löfven di recente. Il suo governo si riserva di denunciare la Germania davanti alla Corte europea di giustizia, perché la politica delle braccia aperte voluta da Angela Merkel ha inondato di profughi anche altri paesi. Compresa la Svezia.


Ufficialmente, fastidio e critiche sono espresse solo verso i paesi del fronte del rifiuto, governi come quello polacco che incassano gli ingenti fondi di coesione europei ma poi non accettano un solo migrante, lasciando tutto sulle spalle degli altri. Ma pur taciuto per savoir-faire diplomatico, il fastidio per le conseguenze della politica tedesca è percepibile.


Quarto, le tensioni con la Russia.


Al contrario di Polonia e paesi baltici, la Svezia e gli altri scandinavi non soffrono di russofobia. Però sono i fatti ad allarmarli: violazioni dello spazio aereo e navale da parte dei russi più che nella guerra fredda, dichiarazioni ostili, spionaggio, cyberwar, guerra psicologica da parte di Mosca sono realtà che non possono essere ignorate.


Quinto, le incognite dell’economia mondiale. Attualmente l’economia svedese è fortissima: crescita media del pil intorno al 4%, conti pubblici in ordine più di quelli tedeschi, pil costituito quasi al 50% da export di manufatti industriali ad alto valore aggiunto ed elettronica, disoccupazione in calo.


Eppure, la debolezza dell’Eurozona e il rallentamento cinese allarmano un’economia la cui prosperità dipende dalle esportazioni, essendo il mercato nordico troppo piccolo.


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