Economia

Göteborg rinuncia alle 6 ore lavorative. Troppi costi

La città svedese dopo aver sperimentato nell'impiego statale la giornata di sei ore di lavoro, è tornata sui suoi passi: servirebbero nuove assunzioni per coprire i servizi necessari alla popolazione

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STOCCOLMA – Orario quotidiano abbreviato, solo sei ore di lavoro al giorno? No, grazie. Ci abbiamo provato ma alla fine abbiamo visto che, almeno nel pubblico impiego, costa troppo. Cos ha detto il comune di Göteborg, seconda città svedese e polo di eccellenze globali perché è sede di ‘global players’ come Volvo o Hasselblad, il produttore delle migliori fotocamere del mondo. O parte del comparto aerospaziale svedese, ai migliori livelli competitivi con Usa Cina e Russia. L’esperimento di un orario lavorativo quotidiano più corto, sebbene abbia mostrato conseguenze positive per i dipendenti pubblici interessati, alla fine non conviene: per compensare l’efficienza del servizio pubblico ai cittadini, che in Svezia e in generale in Scandinavia è valore costitutivo e imperativo etico, occorre assumere più persone, e quindi caricare più costi sulle spalle dei contribuenti.

L’esperimento dell’orario di lavoro ridotto a sei ore quotidiane era stato introdotto dal comune di Göteborg per i dipendenti (in maggioranza donne) dell’ospizio di Svartedalen. Ha funzionato in un senso: perché i dipendenti con l’orario di lavoro ridotto hanno poi lavorato meglio essendo più riposati. Ma per compensare le ore in meno, è stato necessario assumere 17 persone in più, al costo di 12 milioni di corone, cioè circa 1,3 milioni di euro.

La decisione di rinunciare all’orario accorciato è stata tanto più dolorosa, in quanto Göteborg è governata dalle sinistre democratiche, che storicamente in Svezia hanno nei potenti sindacati (LO) la loro spina dorsale e constituency-chiave. Il problema dell’aumento dei costi non può essere ignorato, ha detto all’agenzia Bloomberg Daniel Bernmar, responsabile dei regolamenti e degli orari nel settore pubblico della seconda città del paese-guida del Grande Nord.

Un colpo e una delusione all’ambizione storica della Svezia di cercare sempre di essere all’avanguardia nella solidarietà sociale e nel welfare come nell’efficienza dei servizi e nella competitività-globale del sistema-paese. Ambizione che ha radici ormai antiche: dopo la sanguinosa repressione nel 1931 dello sciopero dei minatori di Adalen (narrata splendidamente in ‘Adalen 31’, un film-culto del regista Bo Widerberg) i socialdemocratici vinsero, e con leader storici da Tage Erlander a Olof Palme idearono e costruirono il modello nordico misto di solidarietà e welfare al meglio e competitività ai massimi livelli mondiali.

Eppure, dice Daniel Bernmar, un lato positivo l’esperimento lo ha dimostrato: con le costose nuove assunzioni rese necessarie per compensare le riduzioni d’orario, il costo dei sussidi di disoccupazione era calato per il bilancio della città. La Svezia vanta attualmente e da anni una crescita media del pil attorno al 4 per cento, dovuta per il 50 per cento all’export industriale d’eccellenza, una disoccupazione bassa, e conti pubblici da far invidia alla Germania con un debito attorno al 40 per cento del pil. E insieme, sistema scolastico, investimenti pubblici e privati in scienza ricerca e nuove tecnologie, che concorrono nel promuovere l’occupazione giovanile.

In settembre si terranno elezioni legislative a scadenza regolare di legislatura, e a causa dell’enorme ondata di migranti (il numero più alto per abitante nella Ue) il nuovo partito nazionalpatriotico-euroscettico, ‘SverigeDemokraterna’, i democratici di Svezia, guidato con grande talento politico dal giovane ex estremista di destra Jimmie Akesson, vola nei sondaggi. Il governo attuale – premier socialdemocratico, Stefan Loefvén, ministra degli Esteri vero ‘uomo forte’ Margot Wallstroem, appoggio parlamentare del centrodestra per bene per fermare le nuove destre – appare a rischio. Con il modello svedese stesso. Fine testo
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