Mezzogiorno, 11 febbraio 2017 - 10:35

Sud, è il lavoro la trincea dei giovani

Uno su due è senza occupazione. È un quadro nero che al segretario generale della Cei ha fatto venire in mente la battaglia sul fiume Marna, agli inizi della prima guerra mondiale, dove migliaia di giovani si ritrovarono a combattere gli uni contro gli altri

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di Marco Demarco

Nel Mezzogiorno un giovane su due è senza lavoro. È un quadro nero che a monsignor Galantino, segretario generale della Cei, ha fatto venire in mente la battaglia sul fiume Marna, agli inizi della prima guerra mondiale, dove migliaia di giovani si ritrovarono a combattere gli uni contro gli altri. George Bernanos ne immaginò l’ultimo lamento: «Abbiamo chiesto ai nostri padri una ragione per vivere ed essi ci hanno mandato a morire nelle trincee». Dobbiamo ringraziare Dio, ha aggiunto Galantino, se quello di Michele, il trentenne che si è tolto la vita per non essere riuscito a trovare lavoro, è rimasto un caso isolato. Ma se questa è la percezione del dramma che stiamo vivendo, se già si parla di «generazione Michele» come altrove si parla di «millennials» o di «generazioneY», come è possibile aver trattenuto, al termine del convegno sul lavoro promosso a Napoli dalle conferenze episcopali meridionali, la sensazione di uno stallo nell’azione conseguente? Nella lotta alla disoccupazione dovremmo essere alla vigilia di una svolta. Siamo invece a un punto morto. Le riforme recenti non hanno sbloccato il mercato del lavoro e le risorse disponibili non sono sufficienti per una qualche forma di reddito universale. I giovani del Sud sono dunque in trincea senza alcuna rete di protezione e nessuno sa bene cosa fare. Non lo Stato. E neanche la Chiesa, a dire il vero. Non è un caso che il documento conclusivo del convegno di Napoli sia poco più di un appello ai giovani a non perdere la speranza.

E non è un caso che nella stessa occasione, De Luca abbia lamentato i limiti dell’azione del governo e il ministro de Vincenti abbia manifestato netta contrarietà al progetto del governatore, quello delle assunzioni di massa nella pubblica amministrazione. Chiesa e Stato sono entrambi lontani dallo spirito con cui nel ‘48, per la prima volta, fu affrontata la questione meridionale. A quel tempo, i vescovi indicarono com’è inevitabile la riforma agraria, cioè un fatto concreto che avrebbe dovuto sconvolgere i rapporti di proprietà terriera, e la riforma puntualmente arrivò. Oggi invece c’è incertezza sulle soluzioni.

Nel mondo cattolico ci sono gli alternativi e i realisti. Nella sinistra di governo ci sono, come sempre, i gradualisti e i massimalisti. Gli alternativi cattolici sono quelli che la pensano come il professor Becchetti, principale relatore al convegno di Napoli. Sono convinti che si possa intervenire sul mercato del lavoro o attraverso nuove pratiche (comunitarie, ambientaliste) o attraverso leve morali, ad esempio premiando (fiscalmente e organizzando la domanda) le aziende che più tutelano la dignità del lavoro. I realisti sono invece come il presidente della conferenza episcopale calabrese, monsignor Bertolone, per il quale una sola cosa è chiara: il lavoro non lo creano tre o quattro cooperative di giovani, ma gli imprenditori veri, quelli che sanno muoversi nel mondo globalizzato e che hanno bisogno di regole, infrastrutture, servizi, modernità. I primi credono nella sperimentazione, anche minuta. I secondi fanno i conti con la grande arretratezza delle rispettive realtà regionali. I primi, ancora, indicano ad esempio il progetto Policoro: artigianato locale, agricoltura biologica, turismo culturale. I secondi l’Irlanda, che non ha i bronzi Riace, ma ha più turisti, più reddito pro capite, più laureati. Nella sinistra di governo, invece, la frattura è tra chi — come il ministro De Vincenti — crede che possa esserci lavoro solo se c’è un’economia in crescita e chi, all’opposto, pensa — come il governatore De Luca — che proprio perché l’economia non va, serva un piano straordinario per l’occupazione, costi quel che costi. I primi contrastano la demagogia dell’assistenzialismo, ma hanno finora praticato un riformismo con scarsi risultati.

I secondi temono l’astrazione di uno sviluppo senza occupazione, come può essere, dice De Luca, quello prefigurabile con l’ industria 4.0. Ancora. I primi credono nei Masterplan per il Sud e nei patti regionali. I secondi dicono di crederci, ma poi, quando reclamano misure straordinarie e aggiuntive, di fatto si smentiscono. Lo stallo è tutto qui. E i giovani lo hanno capito.

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