venerdì 23 dicembre 2016
«Torniamo a respirare, finalmente», dice padre Firas Lutfi, rettore del collegio Terre Sainte. Tutti i muezzin delle moschee hanno innalzato preghiere e le chiese hanno suonato a festa.
Il dono di un futuro nel Natale di Aleppo, il primo senza guerra dopo sei anni
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«Torniamo a respirare, finalmente». Tira un sospiro di sollievo, padre Firas Lutfi, rettore del collegio Terre Sainte, e poi continua a raccontare della sua Aleppo che fiduciosa aspetta la pace. Vede i volti delle persone sorridere e «le automobili che hanno ripreso a circolare. Osservare di nuovo il traffico caotico tra le strade affollate come un tempo è emozionante», racconta il francescano. Siamo in Siria, alla vigilia del primo Natale senza guerra. Il primo, dopo sei anni di agonia. L’acqua scorre a singhiozzo nelle case, e l’elettricità è ancora intermittente. Ma c’è spazio per sperare, e questa è la vera novità.

«Dopo lunghe trattative tra l’Esercito e le milizie armate i gruppi militari hanno consegnato le armi e sono usciti dalla parte est della città». Mantiene una sana prudenza padre Ibrahim Alsabagh, parroco di Aleppo, ma non trattiene la gioia per quello che sta accadendo: «L’esercito ha detto ormai di considerare Aleppo una città sicura. Appena giunta la notizia, tutti i muezzin delle moschee hanno innalzato preghiere e le chiese hanno suonato a festa». Per tanto tempo gli aleppini hanno aspettato questo momento. «Ho chiesto in ogni caso di non mettere troppi addobbi natalizi fuori dalle case», ripete – pragmatico – padre Ibrahim.
La strada verso la normalità sembra ancora lunga e dolorosa, e il timore di un attentato è tale da aver costretto i francescani ad anticipare la messa di mezzanotte: «Celebreremo la funzione alle cinque di sera, quando il sole tramonta. È più sicuro e limita i pericoli di un possibile colpo di coda delle ultime frange jihadiste rimaste in città». La gente però è fiduciosa, «e di notte finalmente riusciamo a dormire – dice padre Lutfi – senza il continuo rumore dei bombardamenti che nelle ultime settimane non ci ha dato tregua».

Prosegue senza sosta anche la grande catena di solidarietà internazionale per i civili stremati. «Alle persone che vengono a chiedere aiuto – racconta il parroco – non rifiutiamo nulla. A nessuno». E sono sempre di più quelli che grazie a questa vicinanza sentono «la carezza di Dio sui loro volti sofferenti». Come quel bambino di sette anni che, proprio qualche giorno fa, gli ha detto, abbracciandolo: «La Chiesa è come la mia mamma, mi vuole davvero bene». «Ci aspettano anni ancora lunghissimi, e altri pesi da sopportare, ma siamo sicuri che Dio continuerà ad assisterci come ha fatto in questi anni».

Difficili, ma pieni di miracoli. Come i tanti che raccontano i due frati della Custodia di Terra Santa in questi giorni concitati. «È stato impressionante vedere in questi giorni tanti cristiani soccorrere le migliaia di sfollati di Aleppo Est. Quando li hanno visti evacuare sono corsi in casa per prendere alcuni vestiti invernali e donarglieli. Quei disperati che tentavano di raggiungere i nostri quartieri erano scalzi, senza nulla addosso, nel gelido inverno di Aleppo». E grazie a quel gesto di solidarietà hanno riscaldato il corpo, e anche il cuore. Per la prima volta poi «abbiamo acceso in piazza l’albero di Natale. La gente era contenta, sente vicina la fine della guerra». Aleppo recupera la speranza perduta in questi anni di violenze.

Tra coloro che festeggeranno il Natale, c’è Nour. Ragazza di 23 anni e già madre di due bambini, è stata trovata proprio qualche giorno fa sotto le macerie di una casa bombardata dopo una settimana di ricerche. Per sopravvivere in quei giorni interminabili ha mangiato fieno, e mentre i topi le camminavano sulla testa continuava a picchiare sui muri che aveva addosso, sperando che qualcuno la sentisse. Suo padre, che nel frattempo si mette a cercarla, dopo sette lunghissimi giorni sente improvvisamente questi piccoli colpi, disperati.

Ci sono volute sette ore di scavi per poterla tirare fuori. I due figli piccoli, purtroppo, non sono sopravvissuti al crollo della casa. Padre Firas è corso subito in ospedale a trovarla: ha un ginocchio distrutto e brutte notizie ancora da ascoltare. Ma tutti la credevano morta. «Per questo – chiude padre Lutfi – dobbiamo ringraziare il Signore, perché quella ragazza era morta ed oggi è tornata in vita». In vita, come sembra essere tornata anche la Capitale del Nord. La sua gente è in festa, ed «è il regalo più bello che abbiamo mai immaginato», racconta padre Ibrahim. «Solo Dio poteva realizzarlo. Lo abbiamo chiesto con insistenza e Lui ci ha esaudito». Un regalo enorme. Proprio ora, proprio a Natale.

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