Grazie Blu.

Ma ora non conserviamo, costruiamo Ostiense.

Luca Alagna
Ezekiel Brief
Published in
7 min readDec 1, 2014

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Se non il Comune di Roma, almeno la comunità locale dovrebbe ringraziare un grande artista come Blu che ha realizzato un’opera magnifica come questa nel quartiere Ostiense-Testaccio.
Un lavoro durato tre anni.

E, ovviamente, vanno ringraziati anche gli occupanti (dal 2003) di questo enorme spazio, ex caserma abbandonata, nel cuore di Roma che hanno finanziato l’artista e il suo lavoro.
Circa 400 persone che hanno perso (o non erano in grado di ottenere) un alloggio e vivono lì (da abusivi), pacificamente e sostanzialmente senza disturbare nessuno.

Ecco com’era prima questo edificio, e come è stato per decenni (in un rosselliniano bianco e nero).

Famo a capisse (come si dice qui): probabilmente l’intento dei committenti non è fare puro mecenatismo, e ci mancherebbe altro, sarebbe compito di altri ben più danarosi.
Probabilmente l’intento è quello di mostrare come si può migliorare il quartiere e opporre una sorta di “vincolo artistico” su chi volesse eventualmente sgomberare per abbattere tutto e costruire chissà che.
Se un giorno dovesse mai accadere, si solleverebbero proteste ovunque, in caso si dovesse toccare quest’opera d’arte quantomeno.
E avrebbero ragione, perché è un’opera notevole e ormai è lì.

Amo più il pragmatismo (politico) che l’ideologia quindi non mi interessa più di tanto indagare sul perché una cosa è stata fatta, se è una cosa buona e di valore.
E questa lo è.
Però mi interessa anche il futuro e su questo tutti dovremmo metterci d’accordo. Mi trovo sempre dalla parte di chi vuole migliorare, non di chi vuole conservare. Però serve fare un passo indietro.

il Gazometro illuminato per la Notte Bianca del 2006

Breve scheda della zona: ex quartiere operaio e industriale del ‘900, sede storica dei Mercati Generali di Roma (la cui ristrutturazione si trascina da decenni e meriterebbe un capitolo a parte) quelli che avrete visto in qualche film di Alberto Sordi, zona di uno dei più celebri e celebrati gazometri d’Europa. Questa parte è territorialmente integrata, tanto da essere un tutt’uno, con la zona di Testaccio intorno al Monte Testaccio e all’ex Mattatoio, oggi parte Museo di Arte Contemporanea del Comune (MACRO) e parte Città dell’Altra Economia.

Soprattutto è la zona di uno dei monumenti meno conosciuti e più sorprendenti di Roma, la Piramide di Caio Cestio, oggi splendido spartitraffico per auto e motorini.
Senza dimenticare l’adiacente Cimitero Acattolico, un piccolo Pere Lachaise di Roma con tombe di artisti e personaggi (ad es. Gramsci), la Porta San Paolo luogo storico della resistenza ai nazifascisti e le Mura Aureliane, le più antiche della città di Roma.

Il quadrilatero tra Gazometro, ex Mercati Generali, Piramide e Monte Testaccio, che ai primi del ‘900 era periferia industriale di Roma oggi è una zona centrale (si può raggiungere il Colosseo a piedi in 20 minuti o con due fermate di metropolitana) e tra le più collegate della città.
Dalla Stazione Ostiense si accede alla rete ferroviaria metropolitana e regionale, da lì partono i treni alta velocità Italo per tutta Italia e quello per l’aeroporto di Fiumicino. Nello stesso posto parte la ferrovia Roma — Lido (in 20 minuti si arriva sulla spiaggia di Ostia) e c’è la linea B della metropolitana, a 4 fermate dallo scambio di Termini. Sempre nella stessa zona c’è il capolinea della linea tramviaria circolare di Roma e si incrociano numerose linee di autobus.

La zona oggi è diventato centro di riferimento per gourmet e per lo slow food, considerando anche che a un passo, sulle rive del Tevere, c’è da tempo la Città del Gusto del Gambero Rosso.
Dall’apertura di Eataly, il negozio della catena con maggiore estensione al mondo, nella zona è stato un fiorire di attività legate al cibo di qualità, alcune proprio in via del Porto Fluviale. Allo stesso tempo è anche zona di divertimento notturno, con i ben noti locali sotto il Monte Testaccio, ed è curioso come si sia riusciti lì ad associare due settori che sembravano in contrasto: buon cibo, ambienti di qualità e divertimento sfrenato.

È una zona in cui si osserva una sorprendente integrazione con gli stranieri.
Gli esercizi di servizio del quartiere sono quasi tutti gestiti da stranieri, aperti spesso fino a sera tardi e nei giorni di festa. Hanno rilevato vecchie polverose mercerie, botteghe e ferramenta portando prodotti (quasi sempre alimentari) che prima non si trovavano nelle vicinanze o era possibile trovare solo in un supermercato. I famigerati lavori che gli italiani non vogliono fare più, loro li fanno, e bene, lavorando senza sosta e (udite udite) rilasciando sempre lo scontrino.
La convivenza con una piccola comunità di nomadi è sempre stata pacifica e non ha mai creato alcun problema (l’unico a creare problemi fu Alemanno nel 2008 che li sgomberò perché “fortemente richiesto dai cittadini della zona”: non risulta a nessuno).
I casi eclatanti di violenza o reati nel quartiere, invece, sono quasi sempre ad opera di italiani più o meno pregiudicati.

L’edilizia abitativa è popolare, raramente ristrutturata, in mano ai grandi enti e composta quasi interamente da inquilini storici. Molti di loro hanno anche acquistato la propria casa con le cartolarizzazioni dell’ultimo decennio.
La disponibilità, da sempre, di grandi spazi ex industriali da ristrutturare ha permesso di far nascere loft, spazi di lavoro creativo e nuove attività, oltre agli uffici che già erano presenti in quantità.
Ma moltissimi grandi spazi rimangono ancora chiusi, vincolati e abbandonati, come in nessun’altra parte centrale di Roma forse.

Camden Lock, Londra.

Si tratta, dopotutto, di un caso tipico di quartiere ex industriale presente in tutte le grandi metropoli europee (e non solo).
Per esempio a Londra mi ricorda molto Camden Town (senza i mercatini ma non a caso nata anch’essa intorno alla ferrovia).
Solo che a Roma quel processo è appena iniziato ed è lento, lento.
Aiutame a di’ lento, diciamo noi.

Opificio Romaeuropa vicino il Gazometro

Ho premesso tutto questo per raccontare il contesto, perché alla fine l’informazione è sempre nel contesto.
Ho raccontato un quartiere che, nonostante non sia esteticamente curato (perché il Comune e tutti se ne fregano da sempre), nonostante venga “usato” intensamente dal resto della città giorno e notte senza sosta, tiene botta con le proprie forze e anzi rifiorisce.
Una zona che oggi non è degradata, non è periferica e ha enormi potenzialità per tutti.
Si potrebbe dire, quasi un modello di evoluzione per il resto della città.
Un quartiere a due velocità, anzi in due epoche storiche diverse: quello dei beni pubblici abbandonato agli anni ‘40 del Novecento; chi ci vive e lavora già proiettati al 2015.
Tecnologia e servizi su cui investono i privati (come per es. l’Opificio sede del Romaeuropa Festival) e vecchi edifici abbandonati che cadono a pezzi.

In tutto questo l’ex caserma di via del Porto Fluviale (è enorme!) è proprio uno di quegli spazi che potrebbero essere linfa vitale per il futuro di una parte di città.
Abbandonata e in rovina da decenni, con i servizi ancora oggi a spese del Ministero della Difesa, è giusto che, nell’Italia priva di edilizia popolare e con graduatorie-farsa, abbiano trovato un riparo famiglie bisognose, anche se fuori dalla legge.
Ma è anche vero che un edificio che cade a pezzi da tempo non può resistere così a lungo senza costosi rifacimenti (mettendo alla lunga a rischio la vita di chi lo abita).
Inoltre lo spazio è davvero enorme e potrebbe essere ottimizzato per molte cose utili.
A questo punto il quartiere non ha bisogno di conservare quello che c’è ma di accelerare, cambiare, migliorare e persino sperimentare.

spazio Collective a Camden — Londra

Una soluzione interessante potrebbe essere quella di garantire lo spazio a chi ci abita da 11 anni ma ristrutturare per ottenere anche degli spazi per la collettività.
Per esempio destinare, con un progetto nuovo, metà ad edilizia popolare e metà a spazi attrezzati di condivisione del lavoro per giovani, artigiani, makers, spazi di incontro e convegni.
Casa e lavoro.
E ovviamente fare di tutto per mantenere l’opera di Blu, oppure ingaggiare l’artista per riprodurlo nuovamente a lavori ultimati.
Con quali soldi? Con quelli ottenuti dagli spazi di lavoro, in concessione o vendendo (ma vincolando) la relativa parte.
È fantascienza? A Roma fino ad oggi sì.
Eppure basterebbe così poco per piegare i piccoli interessi politici, economici e personali allo sviluppo di tutti, senza più alibi per nessuno.

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