lunedì 6 ottobre 2014
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A 25 anni dal crollo del Muro, ecco un testo inedito dello scrittore e presidente ceco scomparso nel 2011.Nei giorni in cui ero considerato uno dei "dissidenti", venivano occasionalmente a farmi visita alcuni giornalisti occidentali, e spesso dalle loro domande percepivo un grande stupore per il fatto che noi dissidenti - un’esigua percentuale della popolazione - stessimo lottando apertamente per un cambiamento radicale dello status quo, anche se era assolutamente ovvio che non ci saremmo mai riusciti. Anzi, sembrava solo un modo per provocare maggiori persecuzioni. I nostri sforzi risultavano vani perché non avevamo il sostegno neppure di una leva del potere né l’appoggio esplicito di alcun settore valido della società. Che cosa volete ottenere quando manca l’appoggio della classe lavoratrice, dell’intellighenzia, di un movimento insorgente, di un partito politico legale o di un’altra rilevante forza sociale? Questo era il genere di domande che i giornalisti ci rivolgevano, e noi avevamo pronte le nostre risposte standard. 
 
Il loro stupore derivava dall’impressione di aver compreso tutti i meccanismi storici fondamentali e quindi di sapere quello che sarebbe accaduto o sarebbe potuto accadere, ciò che poteva avere un buon esito e ciò che non poteva, che cosa era sensato e realistico e che cosa era pura follia. Nel corso di quelle interviste, io sottolineavo spesso che sotto il totalitarismo era molto difficile scorgere i meccanismi interni di una società che in superficie sembrava un monolite. Ma in realtà quel monolite - apparentemente fedele al regime, ma tenuto insieme principalmente dalla paura - poteva essere molto meno stabile di quanto risultasse a prima vista, e nessuno poteva dire quando una qualsiasi palla di neve avrebbe potuto provocare una valanga. Bisogna ammettere che la consapevolezza non era l’unica né la principale forza che guidava le nostre azioni a quel tempo, ma era così che percepivamo le cose. 
 
La lezione da imparare, soprattutto per i giornalisti e gli scienziati politici, è ovvia: non bisogna mai essere sicuri di aver compreso tutte le leggi della Storia e di poter quindi predire in modo infallibile ciò che succederà. Vent’anni fa la palla di neve cecoslovacca, sotto forma della brutale repressione di una manifestazione studentesca, si trasformò in una valanga. E l’intero sistema totalitario cominciò a crollare come un castello di carte.
Allora entrarono in gioco molti fattori, tra cui la profonda crisi interna del regime, gli avvenimenti nei paesi vicini e la favorevole situazione internazionale. Eppure restammo sorpresi da come tutto avvenisse in modo rapido e relativamente facile. In quell’occasione non furono solo i giornalisti occidentali a restare sorpresi: noi eravamo altrettanto meravigliati. Non ci aspettavamo che sarebbe successo così in fretta né che sarebbe stato così semplice. I dissidenti si rivelarono non meno impreparati dei giornalisti e degli analisti politici occidentali. Inoltre avevamo valutato male le cose e ci eravamo dimostrati incapaci di individuare e di comprendere i processi che si stavano sviluppando silenziosamente non solo nelle strutture di potere, ma anche nella società, e quindi non fummo in grado di prevederne i possibili esiti. Lottavamo per poter agire liberamente, per dire la verità, per portare alla luce la situazione del nostro Paese, ma non miravamo al potere.   Non avevamo mai pensato neanche per un attimo che noi, che ci consideravamo al massimo portavoce dell’opinione pubblica, avremmo improvvisamente ricevuto nelle nostre mani tutto il potere del governo.  Lo accettammo con sconcerto, perché non c’erano alternative. E in quel momento avvenne una cosa interessante: molti di coloro che per anni erano stati zitti e si erano allineati, al pari di quelli che in passato avevano considerato i nostri tentativi una perdita di tempo, cominciarono a rimproverarci di essere impreparati per la Storia. Volevano sapere come mai non avevamo scritto una nuova costituzione democratica già da tempo. Il fatto è che i dissidenti erano professori, pittori, scrittori, idraulici, tutto tranne che politici. Dove potevamo trovare una leadership politica alternativa di punto in bianco? E quindi restavamo semplicemente sbalorditi da ogni cosa che ci veniva chiesto di fare. Eppure penso che fu un bene essere colti impreparati dalla Storia, o piuttosto dall’accelerazione del passo della Storia. In termini generali, sono un po’ diffidente nei confronti di quelli che sono super preparati. (...)
La pazienza paga. Ha pagato nel caso di noi dissidenti; ha pagato nella laboriosa costruzione di uno Stato democratico. Il fatto è che non si può far crescere un prato tirando l’erba. A volte può essere irritante, ma a quanto pare c’è un tempo per ogni cosa. Un’Europa permanentemente divisa è un pensiero orribile. Nella nostra parte di Europa, ciò potrebbe condurre a una rischiosa ripresa del nazionalismo e delle sue schiere, come avviene quasi ovunque quando il terreno è instabile. Senza dubbio provocheremmo all’Occidente e al mondo in generale un mal di testa ancora più forte di quanto già non sia oggi. E l’infezione si diffonderebbe oltre. Quindi la pazienza ovviamente ha un senso.  Il crollo della Cortina di Ferro e la fine della divisione bipolare del mondo - che prima sembrava essere una delle cause principali di tutti i mali - furono senza dubbio eventi di importanza storica. In quei primi momenti, molti possono aver pensato che la Storia fosse davvero finita e che una qualche sorta di splendida era fosse stata inaugurata. Anche questo rifletteva una percezione inadeguata dell’imperscrutabilità della Storia, o più semplicemente una mancanza di immaginazione. Il tempo non si è fermato. Certo, una serie di grandi problemi hanno cessato di esistere, ma un’infinità di pericoli apparentemente minori sono emersi dal guscio rotto del bipolarismo. Ma in un’epoca di globalizzazione che cos’è un "pericolo minore"? In passato, le guerre mondiali scoppiavano in Europa, che è stata a lungo una sorta di centro della civiltà globale. Possiamo essere certi che sarà sempre così? Non è possibile, ad esempio, in un momento in cui qualunque piccolo dittatore può mettere le mani su una bomba atomica, che qualche serio conflitto regionale si intensifichi fino a diventare uno scontro globale? I terroristi di oggi non hanno forse un margine d’azione smisuratamente superiore a quello che hanno avuto in passato? In questa civiltà per la prima volta atea, che non ha riguardo per l’eternità, non assistiamo forse a una crescita allarmante dei rischi legati semplicemente alla poca lungimiranza?
 
Non vediamo forse emergere nuove generazioni di fanatici folli o di persone oppresse dall’odio che ai nostri giorni hanno opportunità infinitamente maggiori rispetto al passato? Non interferiamo ogni giorno nella vita del nostro pianeta con centinaia di azioni che hanno conseguenze dannose e irreversibili? Oggi, la cosa più importante è mantenere un atteggiamento umile nei confronti del mondo, avere riverenza per ciò che ci trascende, tenere a mente che ci sono misteri che non capiremo mai e realizzare che, sebbene dobbiamo assumerci le nostre responsabilità per ciò che facciamo nel mondo, non possiamo basarle sulla convinzione che abbiamo capito tutto e che perciò sappiamo già come andrà a finire. Non sappiamo nulla. Ma nessuno ci può togliere la speranza. Oltretutto, una vita priva di sorprese sarebbe estremamente noiosa.  
(Traduzione di Francesca Gnetti )
© «Lettera internazionale»
Václav Havel Library, Praga
 
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