09 settembre 2014

Un passo avanti nella spiegazione dell'origine della vita

Sofisticate simulazioni al computer dei classici esperimenti di Stanley Miller sulla formazione di composti organici complessi a partire dalle molecole semplici del "brodo primordiale" dell'antichissima Terra hanno mostrato il ruolo centrale dei campi elettrici presenti nell'ambiente. Il risultato rafforza indirettamente la teoria del "mondo a RNA" e ha interessanti implicazioni per le ricerche di forme di vita extraterrestre(red)

Una nuova ricostruzione dei classici esperimenti di Stanley Miller sull'origine della vita ha chiarito importanti passaggi dei processi che, miliardi di anni fa, portarono alla formazione di composti organici complessi a partire da semplici molecole inorganiche.

Lo studio è stato condotto da Antonino Marco Saitta, dell'Università Pierre et Marie Curie e Franz Saija, dell’Istituto per i processi chimico-fisici del Consiglio nazionale delle ricerche di Messina (Ipcf-Cnr), che riferiscono sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” di aver identificato nell'intensità dei campi elettrici presenti nell'ambiente il fattore chiave che indirizza le reazioni chimiche a produrre particolari molecole complesse invece di altre.

Un passo avanti nella spiegazione dell'origine della vita
Stanley Miller (1930 -2007) accanto a un'apparcchiatura che ricostruiva il suo storico esperimento del 1953. (© Roger Ressmeyer/CORBIS)
Nel 1953, facendo scoccare alcune scintille in una miscela di di metano, ammoniaca, vapore acqueo e idrogeno, Miller fornì il primo sostegno sperimentale alla teoria - formulata nel 1924 dal biochimico russo Aleksandr Oparin - secondo cui le molecole organiche fondamentali avrebbero potuto formarsi spontaneamente dal “brodo primordiale” presente sulla Terra primordiale.

All'epoca Miller riuscì a dimostrare la formazione di 14 amminoacidi, ma analisi di spettrografia di massa condotte nel 2008 sui suoi campioni originali hanno mostrato che in realtà gli amminoacidi che aveva ottenuto erano addirittura 22.

Nel 1961, in un esperimento con una soluzione acquosa di ammoniaca e acido cianidrico, lo spagnolo Joan Oró dimostrò poi che un apporto energetico dovuto a riscaldamento o a scariche elettriche portava alla formazione di adenina, una delle basi azotate che formano i nucleotidi degli acidi nucleici.

Tuttavia, gli esatti processi di sintesi che portano da molecole semplici (acqua, ammoniaca, metano, ossidi di carbonio) a molecole
organiche semplici (formaldeide, cianuro di idrogeno, acido formico) e infine a molecole complesse come amminoacidi, purine e pirimidine, non sono mai stati chiariti.

Per spiegarli, sono stati chiamati in causa l'irradiazione UV, l'energia termica delle fonti idrotermali marine, le reazioni di ossidoriduzione in un “mondo a ferro e zolfo”, la radioattività di fondo del pianeta e perfino le onde d'urto generate dagli impatti dei meteoriti.

Nel nuovo studio, basato su una serie di simulazioni al computer, Saitta e Saija hanno preso in esame il ruolo di un fattore finora non adeguatamente considerato: i campi elettrici. Applicando campi elettrici a miscele di acqua, ammoniaca e metano, variamente addizionate con atomi di monossido di carbonio e di azoto, hanno mostrato che, a seconda dell'intensità del campo elettrico presente, le molecole sintetizzate negli esperimenti di Miller, Oró e altri si possono formare spontaneamente e in tempi dell'ordine dei picosecondi.

Particolarmente significativa è la spiegazione della formazione di formammide, in quanto è stato recentemente dimostrato che questa molecola, sottoposta a irradiazione UV, permette la formazione di guanina. La guanina era l'unica delle quattro basi nucleotidiche che non si era riusciti a produrre solo fornendo calore al "brodo primordiale", tanto che gli studiosi dell'origine della vita avevano soprannominato la guanina "la G mancante".

L'interesse della scoperta di Saitta e Saija è rafforzato dalla recente identificazione della formammide nell'ambiente di una protostella di tipo solare. La formammide potrebbe quindi essere considerata “l'impronta digitale” della presenza di amminoacidi di origine abiotica in un ambiente extraterrestre.