L’Economist e il gelato di Renzi: il problema non era Berlusconi, ma l’Italia

Ma davvero ci voleva un gelato, malignamente messo dall’Economist in mano a Matteo Renzi mentre la barca affonda, per farci accorgere che, per le élite economiche e politiche europee, siamo sempre gli ultimi della classe, i tontoloni a cui regalare sorrisini di sufficienza? Il gelato, già. Un altro modo per...

Ma davvero ci voleva un gelato, malignamente messo dall’Economist in mano a Matteo Renzi mentre la barca affonda, per farci accorgere che, per le élite economiche e politiche europee, siamo sempre gli ultimi della classe, i tontoloni a cui regalare sorrisini di sufficienza? Il gelato, già. Un altro modo per ravvivare l’antico stereotipopizza e mandolino”, forse, ma anche un alimento “da bambini”: come sembra un po' bambino il Matteo Renzi bacchettato dal settimanale autorevole per antononomasia, in piedi in seconda fila dietro a papà Hollande e mamma Merkel. In ultima fila, a tenere a galla una barca che imbarca nuova acqua, un altro italiano, quello che tira la carretta per tutti, cioè Mario Draghi.

L’articolo di copertina, poi, spiega che l’Eurozona ha ricominciato ad andare male, che l’Italia è il fanalino di coda di tutti gli indicatori nonostante il consenso che Renzi ha catalizzato, che la Francia va malissimo e Hollande non ha neppure consenso, e che la Merkel (trattata comunque con una certa durezza) in fondo fa bene a non fidarsi di quei due, perché ogni volta che l’Europa ha allentato la catena italiani e francesi si sono rilassati e addio riforme strutturali, tagli permanenti alla spesa, difesa dei parametri dell’Europa “virtuosa”, eccetera. Anche su quelle promesse da Renzi, il settimanale-autorevole ci tiene a far vedere che il sopracciglio è più che mai alzato: perché alle parole, ancora, non sono seguiti i fatti.

Al di là del legittimo (anzi, doveroso) dibattito sul rigore senza sfumature né flessibilità difeso da Economist e Germania, alcune osservazioni autocritiche, per noi italiani, si impongono di fronte alla combinazione tra copertina e articolo.

Anzitutto, appena qualche settimana fa ci avevano raccontato la storia di un Renzi che stava facendo cambiare verso anche all’Europa. Forte del trionfo alle elezioni, il premier affascinava la Merkel, costruiva un asse forte con Draghi, si portava dietro Hollande per plasmare una nuova Europa che, riconoscendo i nostri sforzi di risanamento, avrebbe allentato la tensione sul rigore per guardare a nuovi orizzonti di crescita. Ecco, così a occhio erano balle di cui non si trovava traccia nella stampa internazionale né, con ogni probabilità, nelle menti dei protagonisti della vita politica europea.

Ancora, la nostra affidabilità come partner internazionali continua ad essere fortemente dubbia. Proprio mentre è in corso il semestre italiano di presidenza europea, siamo guardati con sufficienza, i ragazzini del gruppo che mangiano il gelato e “meno male che c’è Draghi”. Dipende dalla giovane età del premier? Probabilmente no. Dipende piuttosto da una certa scompostezza, fatta di annunci a raffica che riempiono i giornali e le tv italiane, magari lasciano il segno nella memoria di un buon numero di elettori, ma nel medio periodo ritornano indietro come un boomerang sulla credibilità di una classe dirigente. E probabilmente, è proprio questo che ha spiegato Giorgio Napolitano ieri quando – pare – ha consigliato Renzi di non mettere troppa carne al fuoco.

Infine, tocca rassegnarsi: per l’Europa e le élite internazionali il problema-Italia non è nato con Berlusconi e non è finito con lui. È giusto, naturalmente, difendere il nostro paese dal pregiudizio presuntuoso che ci giudica mafia-pizza-mandolino in fretta e furia: ma questo andava fatto anche quando al governo c’era Berlusconi, invece di cavalcare quel giudizio con esterofilia provinciale, pur di sbarazzarsi del puzzone di turno. Ma è anche giusto riconoscere che un problema di classe dirigente e di rapporti di forza (il sale della politica, che piaccia o no), ce l’abbiamo, ed è tutto nostro. Un tempo, all’apice della Prima Repubblica, eravamo la cerniera tra nord e sud dell'Europa e del mondo, tra America e Unione Sovietica, e dei nostri politici tutto si può dire ma non che non fossero trattati con rispetto in Europa e nel mondo.

Poi è arrivato il duopolio Prodi-Berlusconi. Il primo, considerato a pieno titolo un membro delle élite tecnico-politiche europee. Il secondo, sbeffeggiato finché volete, ma certo temuto, perché i rapporti solidi e diretti con Putin e Gheddafi non facevano ridere proprio nessuno. Questa nuova era, appena iniziata di fatto con un semestre di presidenza europea, si caratterizza per ora per un ricco fumo di propaganda che – l’Ecnomist lo insegna – non ha superato il confine, e per la battaglia per uno scranno europeo da far avere a Federica Mogherini, liberando una casella a Roma per un rimpasto con relative negoziazioni e scambi romani.

Un po’ pochino, diciamo.