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Foto osé, nuova frontiera della privacy: ma gli smartphone potrebbero già pensarci da soli

Il Fotogate che ha portato alla diffusione sul web di decine di immagini intime di star statunitensi ha riaperto il dibattito sui sistemi di sicurezza dei dispositivi e sull'affidabilità di memorizzare sulla nuvola certi tipi di contenuti. Ma già esisterebbero tecnologie e algoritmi che i giganti hi-tech potrebbero sfruttare per limitare i rischi

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LA DIFFUSIONE delle foto private di decine di attrici e cantanti americane, da Jennifer Lawrence a Rihanna passando per Ariana Grande, Kirsten Dunst e Kate Upton, ha riaperto un vaso di Pandora mai del tutto chiuso: quello che riguarda la protezione dei contenuti sensibili custoditi nei nostri smartphone e tablet. Fra i quali, evidentemente e senza falsi pudori, rientrano anche immagini scattate in profonda intimità. Basti pensare che secondo alcuni sondaggi alla fine del college un terzo dei giovani statunitensi - da sempre trendsetter negli atteggiamenti di fruizione delle nuove tecnologie - hanno scattato e spedito foto che li ritraggono nudi. Se a questo si aggiunge che nessuno, come testimoniano alcuni passi falsi delle ultime ore, sembra immune al fascino del selfie, il quadro è completo.

Anche in Italia il sexting, principale ma certo non unica ragione per cui ci si scattano e inviano immagini osé, è molto diffuso. Secondo i numeri di Telefono Azzurro relativi al 2012 un adolescente su quattro ha per esempio spedito o ricevuto messaggi a sfondo sessuale. Stando alle più recenti cifre di uno studio Moige si tratterebbe invece di sei ragazzi su 10. Quell'enorme mole di fotografie è custodita nel telefono e, spesso, automaticamente sincronizzata e salvata su uno dei tanti servizi di memorizzazione remota, da iCloud a Google Drive. È proprio lì che, con attacchi a quanto pare mirati ma senza una qualche falla generalizzata del sistema a disposizione degli utenti Apple, l'hacker che si fa chiamare TheOriginalGuy è riuscito a sottrarre le immagini e gli autoscatti delle vip. Diffondendoli poi su quella sorta di bacheca senza fondo che è 4chan.org. E minacciando di distribuirne ancora. Nel frattempo, alcune foto sono finite perfino in una galleria d'arte contemporanea.

Eppure gli smartphone, così intelligenti ma a volte clamorosamente limitati, potrebbero già disporre di alcuni sistemi di default (o almeno selezionabili a scelta) in grado di contenere significativamente i rischi di qualche breccia, furto e conseguente diffusione generalizzata o accesso remoto al proprio spazio sulla nuvola. Il momento è quello giusto, racconta Farhad Manjoo sul New York Times: "È tempo che l'industria della tecnologia cominci a prendere seriamente il problema della sicurezza delle immagini nude", scrive su Bits. "Le persone portano gli smartphone con sé ovunque vadano. E si trovano di frequente senza vestiti. Certo, qualcuno potrebbe consigliare di non incrociare questi due stati di natura, e senz'altro qualcuno seguirà l'invito. Ma non si può confidare e pregare per l'astinenza". Come dire: i giganti hi-tech devono rendersi conto che oltre alle magnifiche funzioni per migliorare il contrasto e i colori delle foto delle vacanze sarebbe il caso di implementare alcuni meccanismi orientati alla privacy rafforzata. Quella di foto e video senza veli.

Come fare? In fondo potrebbe essere più semplice di quanto si pensi. Per esempio, i nostri supertelefoni sarebbero già in grado di avvisarci sulla destinazione e la memorizzazione di una foto ritenuta sensibile: "In questi anni i computer sono riusciti abbastanza bene a riconoscere specifiche caratteristiche nelle immagini, inclusi volti e gatti", continua il columnist del Nyt. "Individuare sagome nude è un compito altrettanto semplice. E, al contrario del riconoscimento facciale, basterebbe cogliere la presenza di certe caratteristiche fisiche. Per esempio misurando i range dei colori negli scatti". Alcuni studi, come quello del filippino Rigan Ap-apid, dimostrano come certi algoritmi sarebbero già in grado di svolgere questo compito con tassi positivi del 90%. Molti vengono per esempio utilizzati per analizzare i video online nella lotta alla pedopornografia. E dunque, al momento del salvataggio di un nostro selfie hot, il telefono potrebbe domandarci senza pudore ma sicuro di farci cosa gradita: "Vuoi davvero sincronizzare questa immagine su iCloud?". Oppure: "Hai scattato una foto in cui sembri nudo: vuoi salvarla in una cartella che richieda una password?". E via immaginando filtri del genere.

In seconda battuta, quella che Manjoo chiama "nudity detection" potrebbe tornare utile per architettare un sistema di parental control più raffinato di quelli attualmente in circolazione. Limitando i guai del sexting. Magari, come accade già in alcuni social network appena decollati, accoppiando i dispositivi dei genitori con quelli dei figli: allo stesso modo del meccanismo precedente, la feature dello smartphone potrebbe avvisare il giovanissimo utente che quel tipo di foto non può essere salvata senza l'autorizzazione dei genitori. O, viceversa, notificare a mamma e papà quando la prole si sta misurando in autoscatti osé.

Un terzo sistema potrebbe infine essere quello di sfruttare caratteristiche di cui molti smartphone sono già dotati per mettere in piedi un double check nella visualizzazione di questo genere di foto. Basta prendere Snapchat, l'app più usata dagli adolescenti per scambiarsi immagini in grado di autodistruggersi dopo pochi secondi. E non del tutto sicura: le immagini possono infatti essere facilmente rubate e il gruppo ha riportato negli ultimi mesi diverse falle nella sicurezza complessiva. "Immaginate che la sicurezza di queste immagini possa avvantaggiarsi dal lettore di impronte digitali di Apple", suggerisce Manjoo alludendo al Touch ID installato sull'iPhone 5s e che a quanto pare sbarcherà anche sui nuovi iPad. "Potrei spedirti un'immagine visualizzabile solo sul dispositivo del destinatario e solo se poggi il tuo polpastrello sul sensore". Non sarà la panacea di tutti i mali di privacy, ma certo qualche passo avanti si potrebbe fare.