15 luglio 2014

Pensare in modo paradossale per risolvere i conflitti

Il pensiero paradossale, mirato non a contrastare direttamente le convinzioni delle persone, ma a indurre il senso di assurdità di una loro estremizzazione, può essere un modo di incoraggiare l'apertura mentale e la disponibilità a lungo termine al compromesso, e quindi risolvere i conflitti. A suggerirlo è una ricerca sulle gravi tensioni tra israeliani e palestinesi(red)

Le barriere psicologiche e sociali che si frappongono alla conciliazione di un conflitto acuto come quello israelo-palestinese possono essere smantellate più facilmente rovesciando il paradigma della maggior parte degli interventi che mirano a promuovere il processo di pace, in base a cui si illustrano alle parti le incoerenze e le lacune nelle proprie convinzioni, in modo da indurle a cercare nuove fonti di informazioni, fornendo una controinformazione in contrasto con le credenze sociali accettate. È questa l'indicazione che viene da uno studio effettuato da un gruppo di psicologi dell'Università di Tel Aviv e della Hebrew University a Gerusalemme, che illustrano un approccio alternativo basato sul concetto di pensiero paradossale in un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.

Pensare in modo paradossale per risolvere i conflitti
Manifestante pacifista (© Nik Wheeler/Corbis)
La premessa dello studio – realizzato in collaborazione con il Fund for Reconciliation, Tolerance, and Peace – è che quando si mette direttamente e fortemente in discussione il punto di vista delle persone, il senso di minaccia alle convinzioni sociali che queste provano le porta facilmente a ignorare le nuove informazioni fornite, e ad aggrapparsi alle credenze consolidate. Per evitare questa forma di chiusura, Eran Halperin e colleghi hanno pensato di adottare un paradigma alternativo originariamente elaborato da Paul Watzlawick negli anni settanta per affrontare i preconcetti di genere e basato sul cosiddetto pensiero paradossale. Invece di contrastare le opinioni delle persone, le si espone a informazioni che sono coerenti con le loro convinzioni attuali, ma presentato in un modo da rendere quelle credenze estreme o irrazionali.

Nella loro ricerca, durata complessivamente un anno, gli autori hanno ripetutamente mostrato a un gruppo di partecipanti ebrei israeliani diversi video raffiguranti uno scenario
che suggeriva che la fine del conflitto con i palestinesi avrebbe messo a repentaglio i valori ebraico-israeliani di giustizia, moralità e unità. Un video, per esempio, puntando a destabilizzare la percezione israeliana di comportarsi sempre in modo morale, ritraeva soldati israeliani che aiutavano dei palestinesi, ma poi concludeva con il messaggio "per sentirci morali, abbiamo bisogno del conflitto". Altri filmati di questo tipo riguardavano la responsabilità del perdurare del conflitto, che nella popolazione israeliana ebraica è diffusamente sentita come esclusivamente palestinese.

L'iniziale rassicurazione fornita dal video ha permesso uno scongelamento delle barriere socio-psicologiche che, a sua volta, ha portato a una percezione più positiva dei palestinesi e a un indebolimento dell'attribuzione di responsabilità, come è stato e evidenziato dal confronto fra interviste realizzate al termine del periodo sperimentale a quanti avevano visto quei video e a un gruppo di controllo che avevano visto filmati del tipo comunemente trasmesso dai media.

La maggiore disponibilità dei soggetti nei quali era stato indotto il “pensiero paradossale” è stata riscontrata anche in un follow up alla ricerca realizzato a un anno di distanza, in occasione delle elezioni israeliane nel 2013, sia attraverso interviste sia rilevandone le dichiarazioni di voto, più spostate, rispetto ai controlli, a favore di partiti dichiaratamente favorevoli alle trattative con i palestinesi.

Pensare in modo paradossale per risolvere i conflitti
Manifestazione di Peace Now a Tel Aviv svoltasi il 3 luglio 2014. (© Nik Wheeler/Corbis)
I risultati, avvertono gli autori, vanno comunque confermati da una ricerca più sistematica e ampia (i soggetti testati in quella conclusa erano 181) per chiarire ulteriormente il paradigma del pensiero paradossale, anche perché in uno studio pilota realizzato prima della ricerca principale con video di prova, una sia pur piccola percentuale di soggetti li aveva percepiti alla lettera non cogliendone l'aspetto paradossale, tanto da rafforzarsi nelle proprie convinzioni intransigenti.