16 aprile 2014

Anche l'uso saltuario di cannabis può cambiare il cervello

Un uso ricreativo della marijuana una o due volte a settimana a lungo andare può indurre alterazioni strutturali in alcune regioni del cervello. L'amigdala, e ancor più il nucleo accumbens, due centri coinvolti nella gestione delle emozioni e della motivazione, mostrano un aumento di volume e un cambiamento di forma, con la creazione di nuovi circuiti che potrebbero preludere all'insorgere di una dipendenza(red)

Usare marijuana anche solo una o due volte alla settimana basta a provocare significative alterazioni a livello cerebrale, in particolare del nucleo accumbens e dell'amigdala, due regioni coinvolte nella gestione delle emozioni e della spinta motivazionale. E' questo il risultato della prima ricerca - effettuata su un gruppo di giovani adulti - che ha esaminato gli effetti a lungo termine della marijuana non su forti consumatori, ma su soggetti che ne fanno un uso più o meno occasionale.

Lo studio – frutto della collaborazione fra ricercatori della Northwestern University, del Massachusetts General Hospital e della Harvard Medical School, e pubblicato su “The Journal of Neuroscience” - ha valutato con tecniche di brain imaging la forma, il volume e la densità delle strutture cerebrali di venti soggetti che non facevano uso della sostanza o ne avevano fatto un uso assolutamente sporadico, e di 20 soggetti che ne facevano un uso occasionale ma con una frequenza di almeno una o due volte alla settimana. Prima dell'inizio degli esami, questi ultimi sono stati sottoposti a un controllo psichiatrico, per garantire l'assenza di uno stato di dipendenza. I soggetti erano tutti studenti di età compresa tra i 18 e i 25 anni.

Anche l'uso saltuario di cannabis può cambiare il cervello
Negli ultimi decenni il contenuto in THC della marijuana è molto aumentato, passando da una media dell'1-3 per cento a una del 5-9 per cento o addirittura di più (© Bodo Marks/dpa/Corbis)
La scoperta più significativa riguarda la variazione nelle dimensioni del nucleo acccumbens che è risultato anormalmente grande, con un'alterazione in termini di dimensioni, forma e densità direttamente proporzionale alle quantità di sostanza usata.

I risultati – osservano i ricercatori – sono in accordo con gli studi sugli animali, che mostrano che nei topi a cui viene somministrato tetraidrocannabinolo (THC), il principale principio attivo della marijuana, il cervello si modifica formando nuove connessioni. Queste nuove connessioni indicano che il cervello si sta adattando a un livello
innaturale di stimolazione e ricompensa legato alla marijuana.

Questo rende meno soddisfacenti altre ricompense naturali - come il cibo, il sesso e l'interazione sociale – che, alla fine di una serie di processi biochimici, portano a un rilascio di dopamina (la principale sostanza del sistema cerebrale della ricompensa) inferiore a quello delle sostanze d'abuso. “Pensiamo che quando le persone stanno per diventare dipendenti – ha detto Anne Blood, che ha partecipato allo studio - il loro cervello inizi a formare queste nuove connessioni.”

Il contenuto in THC della marijuana assunta dai soggetti non era però noto, anzitutto perché lo studio era retrospettivo, ma anche perché nel corso dei decenni è variato notevolmente, passando da una percentuale media dell'uno-tre per cento negli anni sessanta e settanta, a una fra il 5 e il 9 per cento, o anche più, nella droga attualmente disponibile.