Milano, 23 aprile 2014 - 07:31

Una lezione allo sportello

di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

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La ragione, forse la più importante, che spiega perché i Paesi dell’euro stanno impiegando tanto più tempo degli Stati Uniti ad uscire dalla crisi riguarda le banche e, in particolare, la mancanza di credito. Questo è accaduto perché, negli interventi di politica economica successivi alla crisi, abbiamo fatto le cose nell’ordine sbagliato. Abbiamo cercato di ridurre i debiti e i deficit dei conti pubblici, dimenticandoci o quasi delle banche. Ma senza credito un’economia non funziona e quindi non cresce, e senza crescita rimettere in ordine i conti è molto difficile.

Una banca può fare nuovi prestiti se ha sufficiente capitale. Se lo ha perso, come è accaduto durante la crisi finanziaria e la lunga recessione che l’ha seguita, e non lo ricostituisce, non solo non farà nuovi prestiti, ridurrà anche le linee di credito concesse in passato. Il governo federale degli Stati Uniti ha prima obbligato gli istituti di credito a ricostituire il capitale perduto durante la crisi, solo dopo si è occupato della finanza pubblica. In Europa le banche sono ancora piu importanti. Negli Stati Uniti solo metà del credito alle imprese viene dalle banche (il resto direttamente dai mercati tramite azioni e obbligazioni) mentre in Europa è oltre l’80%. L’Europa quindi si sarebbe dovuta preoccupare ancor di più e ancor prima delle proprie banche. Ma non l’ha fatto e ora ne paga le conseguenze.

Ricapitalizzare le banche è difficile perché il nuovo capitale riduce il valore delle azioni possedute dai vecchi azionisti, e questi, comprensibilmente, si oppongono. Il governo di Washington già nel 2009 intervenne in modo deciso: o le banche trovavano nuovo capitale oppure il governo federale sarebbe intervenuto acquistando esso stesso le loro azioni. La paura di trovarsi un funzionario del Tesoro americano nel consiglio di amministrazione (alla Goldman Sachs è successo per qualche mese) ha messo a tacere le resistenze dei vecchi azionisti.

In Europa invece non è accaduto: per due motivi. Innanzitutto i vecchi azionisti delle banche, ciascuno nel proprio Paese, erano molto potenti: per esempio le fondazioni bancarie in Spagna e in Italia, i governi dei Länder in Germania. Quando hanno sottoscritto aumenti di capitale lo hanno fatto con il contagocce. Nelle scorse settimane la Federal Reserve di Washington ha imposto agli otto maggiori istituti americani un capitale pari ad almeno il 5% del totale dei loro investimenti, senza entrare nel dettaglio di quanto essi fossero rischiosi. In Europa siamo intorno al 3%. Il secondo motivo è che l’Europa non ha un governo federale come quello di Washington, capace di prevalere sugli interessi «locali». In Italia qualche segnale di cambiamento si intravede con il ritorno di interesse da parte degli investitori internazionali, americani in particolare. E qualcosa, soprattutto dopo gli interventi della Bce, si è mosso anche sul fronte della maggiore disponibilità di credito per le imprese. In qualche modo anche i recenti aumenti di capitale vanno nella giusta direzione. Ma ancora non basta.

Per ricapitalizzare le banche è necessario spostare le decisioni lontano dalle capitali europee, e quindi dagli interessi che ne frenano i governi. Per questo la legge sull’Unione bancaria europea è la decisione più importante che l’Ue ha preso da quando fu introdotto l’euro. L’aspetto centrale della nuova legge - approvata una settimana fa dal Parlamento europeo, forse la prima volta che l’assemblea di Strasburgo discute e vara una legge davvero rilevante - è lo spostamento delle decisioni dai governi e dalle banche centrali dei singoli Paesi alla Bce - che diviene responsabile della vigilanza sulle 130 maggiori banche europee - e ad una nuova istituzione, il Fondo per la risoluzione delle crisi bancarie, che verrà progressivamente alimentato da contributi delle banche.

La nuova legge sposta le decisioni al livello sovranazionale stabilendo che spetti alla Banca centrale europea decidere se un istituto si trovi nelle condizioni critiche previste per l’avvio delle procedure di risoluzione. La possibilità che interessi nazionali blocchino, attraverso il Consiglio europeo, le decisioni della Bce è limitata in quanto il Consiglio può intervenire solo se richiesto dalla Commissione europea - che per farlo dovrebbe opporsi a una decisione della Bce, evento assai improbabile. È quindi Francoforte che deciderà di quanto nuovo capitale una banca ha bisogno, e in che misura vecchi azionisti e creditori (esclusi i clienti i cui depositi sono garantiti fino a 100 mila euro) debbano partecipare accettando delle perdite. Non era mai accaduto che gli azionisti e i creditori di una banca potessero essere chiamati a subire le conseguenze di una cattiva gestione. Finora grazie ai loro appoggi politici si erano sempre salvati.

La crisi finanziaria del 2008-2009 aveva reso palesi le tante manchevolezze insite in un’imperfetta costruzione della moneta unica, e più in generale dell’Unione Europea. Finalmente si sta riparando a uno dei guasti iniziali, anche se con notevole ritardo.

Un’unione monetaria è fragile senza un’unione bancaria cosi come un mercato unico è impossibile senza un controllo europeo sulla concorrenza, una funzione che l’Europa assolve bene. Anche per quanto riguarda la finanza pubblica l’Europa e il suo Parlamento diventeranno sempre piu centrali. Ecco perché le prossime elezioni europee sono importanti e gli elettori dovranno scegliere persone oneste e preparate. Fino ad ora il Parlamento europeo ha fatto ben poco. Ora le cose potrebbero cambiare.

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