Cade finalmente l’ultimo pezzo di una delle più indegne leggi della storia repubblicana, la legge 40 del 2004, voluta da un governo liberale solo a parole (anzi, liberale solo quando si è trattato di decidere per le proprie vite): il divieto di fecondazione eterologa, insensato e feroce. Quello che ha impedito finora a alle coppie di ricorrere alla più innocente delle pratiche, utilizzare la donazione del seme di un altro, proprio come si riceve un organo da un donatore quando questo manca o è malato.

Ma la sciagurata legge sulla fecondazione assistita, oggi completamente svuotata dalle sentenze, prevedeva altri aspetti di inaudita violenza, proprio contro quella vita che in teoria si voleva difendere: il divieto di diagnosi preimpianto, anzitutto, una tecnica utilizzata ovunque e grazie alla quale i genitori portatori di malattie genetiche – spesso con storie strazianti di figli malati e morti sotto il loro occhi – possono invece avere figli sani. Non biondi e belli, solo non destinati a morte prematura. La contraddizione massima di questo divieto, anch’esso fortunatamente smontato grazie alle sentenze prima dei tribunali locali, poi della Consulta, stava nel fatto che lo stesso Stato, che ti impediva di impiantare un embrione malato, consentiva poi di farlo crescere nella pancia per poi praticare un aborto terapeutico fino al quinto mese. Una norma in vistosa opposizione con la 194 e terrificante nelle conseguenze sulla madri, costrette ad abortire dopo, ma impossibilitate a scegliere prima.

E poi, ancora: l’obbligo di impiantare un massimo di tre embrioni sui corpi delle donne, a forza e in un unico impianto, per sfuggire a quella crionservazione degli embrioni impossibile da evitare (e ai cui problemi etici si deve rispondere altrimenti). Questo ha significato per molte donne, prima che la Corte Costituzionale lo bocciasse, percorsi di fecondazione da un lato più fallimentari, dall’altro molto più dolorosi, con il risultato di aumentare, tra l’altro, quelle gravidanze plurigemellari in uno Stato “etico” che ti costringe ad avere figli per poi abbandonarti nel momento dell’assistenza e dell’aiuto.

L’esito di una legge definita “a tutela del concepito” è stato solo questo: un aumento esponenziale, in questi dieci anni, del turismo procreativo, vera vergogna di uno Stato di diritto. Oltre alle centinaia di storie individuali di coppie e famiglie le cui vite già, in difficoltà a causa di una diagnosi di sterilità, sono state ulteriormente martoriate da norme che lo stesso mondo medico ha dichiarato sbagliate oltre che impossibili da applicare (la legge prevedeva tra l’altro pesantissime pene pecuniarie per i “colpevoli” che volessero aiutare le donne nel grave reato di restare incinte).

Ma forse la cosa peggiore che ci è toccata subire in questi anni è stato il silenzio della politica, con l’eccezione dei radicali, promotori di un referendum, che si è svolto nel 2005, che purtroppo ha visto la partecipazione di solo un quarto dei votanti (a causa, anche dell’intervento a gamba tesa della Chiesa cattolica). Il silenzio non tanto di quelli che la legge l’hanno votata, ma dei successivi governi che hanno continuato a tacere, come se l’emergenza dei corpi non fosse altrettanto grave di quella economica.

Il gesto peggiore di tutti, pratico e simbolico, l’ha fatto il governo Monti che ha chiesto, giusto prima di andare a casa, il riesame della sentenza della Corte Europea dei diritti umani, che aveva bocciato la legge proprio sul tema della diagnosi preimpianto. Il motivo resta ancora ignoto, e anzi sarebbe forse il caso che l’ex premier un giorno ce lo raccontasse, perché l’unica motivazione appare quella di rendere la vita degli uomini e delle donne ancora più difficoltosa, in tempi di crisi e di scarsità di risorse. Altrettanto misteriosa resta l’attuale posizione del partito democratico guidato dal cattolico Renzi sui temi, cruciali, della bioetica. Aspettiamo di sapere, mentre quest’ultima sentenza della Consulta conferma una triste realtà dell’Italia. Il paese dove le leggi sono contro gli individui, e per ottenere verità e giustizia bisogna ricorrere per forza a un tribunale.

 

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