29 giugno 2015

Quando l’insetto è OGM

L’ingegneria genetica applicata agli insetti sta producendo risultati promettenti sia nella ricerca di base sia per applicazioni in campo sanitario e agricolo. Intervista con David O’Brochta, tra i primi a sviluppare linee transgeniche di Anopheles stephensi e A. gambiae, i principali vettori del parassita della malariadi Valentina Murelli

Genetica molecolare degli insetti. Sono tantissimi, nel mondo, i laboratori che se ne occupano, sviluppando tecniche sofisticate per studiare il genoma degli insetti e magari manipolarlo, producendo OGM. Da circa un anno, gli scienziati coinvolti possono scambiarsi informazioni e conoscenze su queste tecniche grazie a un network internazionale guidato da David O’Brochta, dell’Institute for Bioscience and Biotechnology Research dell’Università del Maryland, tra i primi a sviluppare linee transgeniche di Anopheles stephensi e A. gambiae, i principali vettori del parassita della malaria. Lo abbiamo distratto per un po’ dalle zanzare per farci raccontare del suo lavoro e di questo intrigante settore, tra applicazioni, prospettive e politica della ricerca.

Si dice OGM e si pensa subito alle piante. Eppure ci sono anche gli insetti: a che cosa servono?
È vero, sono già stati prodotti molti insetti transgenici: drosofile, zanzare, mosche, bachi da seta e altro ancora. Il primo obiettivo è la ricerca di base. Se vogliamo capire a che cosa serve e come funziona un gene, un modo è tirarlo fuori dal suo proprietario, modificarlo e rimetterlo a posto, per vedere se le modifiche fatte influiscono su particolari aspetti o comportamenti dell’organismo. Nel mio laboratorio usiamo questa tecnica per studiare la fisiologia di Anopheles stephensi, il vettore del plasmodio della malaria più diffuso in Asia. In particolare ci occupiamo di geni coinvolti nel funzionamento del sistema immunitario della zanzara, nell’ambito di una collaborazione con l’azienda biotecnologica Sanaria per lo sviluppo di un vaccino antimalarico.

Come funziona il vaccino di Sanaria e qual è il ruolo del suo laboratorio nel progetto?
Il vaccino è basato sugli sporozoiti, cellule immature che rappresentano uno degli stadi del ciclo
vitale del parassita. L’idea è che, una volta attenuate tramite irraggiamento, queste cellule non siano più in grado di provocare una forma attiva della malattia, ma rimangano capaci di stimolare una risposta immunitaria dell’ospite, proteggendolo da future infezioni. Le prime sperimentazioni cliniche hanno dato risultati incoraggianti, ma il problema di questa strategia è che richiede moltissimi sporozoiti e ottenerli è una gran fatica, perché vanno prelevati a mano tramite dissezione delle ghiandole salivari delle zanzare infette. Quindi più ce n’è e meglio è, e qui entra in gioco il nostro lavoro, che ha portato a zanzare geneticamente modificate capaci di ospitare molti più sporozoiti del normale.

In questo esempio l’ingegneria genetica è di fatto uno strumento operativo in ambito industriale. Sono possibili altri impieghi?
Certo, penso alle applicazioni per il controllo di popolazioni di insetti nocivi, come i vettori di malattie o i parassiti di piante di interesse commerciale. Supponiamo di produrre una linea transgenica fatta in modo che, quando il maschio si accoppia, la sua compagna generi una progenie di soli maschi. I quali, a loro volta, genereranno altri maschi. Se liberati nell’ambiente, questi insetti potranno portare all’estinzione definitiva di popolazioni locali. È quello che cerchiamo di ottenere in Aedes aegypti, la zanzara che trasmette la febbre di dengue, il gruppo di ricerca di Andrea Crisanti dell’Università di Perugia. Un approccio analogo è quello usato sempre in Aedes da Oxitec, un’azienda biotecnologica britannica: la loro linea transgenica si basa su un gene letale condizionale, che ne uccide le larve in particolari condizioni ambientali. In pratica è come disporre di un insetticida vivente, già sottoposto alle prime sperimentazioni in campo in Brasile, Malaysia, Panama e Isole Cayman.

Quando l’insetto è OGM
© Peter Ginter/Science Faction/Corbis

Era in previsione un rilascio di zanzare Oxitec anche in Florida, a Key West, ma la popolazione ha detto no. A che punto è il dibattito sugli OGM negli Stati Uniti?
Per quanto riguarda le piante non ci sono più opposizioni massicce, anche se c’è un costante brusio di fondo su questioni di sicurezza. La discussione oggi riguarda soprattutto l’opportunità di dichiarare in etichetta la natura di OGM di un certo prodotto. Di sicuro di insetti transgenici non si parla e del resto non ci sono in ballo grossi progetti di rilascio.

Ma secondo lei i tempi sono maturi per la liberazione nell’ambiente di questi organismi? Dipende dal paese: gli Stati Uniti avrebbero un quadro regolatorio adeguato, ma non per tutti è così. Poi bisogna mettere in conto la possibilità di opposizione popolare: l’idea di avere in giro ceppi transgenici di insetti, che già sono animali poco amati e poco conosciuti, accende ogni tipo di paura. In ogni caso, se la tecnologia è disponibile, il problema da affrontare non ha altre soluzioni immediate e i rischi sono stati attentamente valutati, perché non farlo?

Abbiamo accennato al suo lavoro con Sanaria. Quanto è importante per l’università statunitense la collaborazione con il settore privato?
Negli Stati Uniti il dialogo tra ricerca e industria è considerato strategico per l’innovazione tecnologica e lo sviluppo economico e in effetti negli ultimi dieci anni sia il governo federale sia quello locale di molti stati hanno fatto molto per potenziarlo. Io stesso faccio parte di un istituto nato proprio con l’obiettivo di colmare il divario tra ricerca di base e applicazioni tecnologiche, facilitando i contatti tra ricercatori e imprenditori.

Chiudiamo con il neonato network per il coordinamento della ricerca sulle tecnologie genetiche per gli insetti. Quali sono i suoi obiettivi e come funziona?
Chi studia gli insetti dispone di una mole immensa di dati genomici, frutto di vari progetti di sequenziamento. I dati, però, non bastano: per capire bene come funzionano geni e genomi bisogna manipolarli e dunque servono strumenti tecnologici adeguati. Ogni comunità di ricerca che lavora su un particolare insetto ha sviluppato nel tempo i propri strumenti, ma è difficile che queste competenze siano messe a disposizione di tutti. Il dialogo tra i vari gruppi è ancora limitato, sia perché si lavora su animali diversi sia perché sono diversi gli ambiti di indagine (fisiologia, comportamento, sociobiologia e così via). Il nostro obiettivo è fare in modo che le conoscenze tecnologiche acquisite possano spostarsi facilmente da una comunità all’altra. Lo facciamo con un blog di approfondimento, meeting, programmi di formazione peer to peer. Il network conta già 500 partecipanti attivi da tutto il mondo, Italia compresa.

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CHI E'
David O’Brochta è professore di genetica e di condotta responsabile della ricerca presso l’Università del Maryland a College Park, dove dirige il laboratorio di genetica molecolare degli insetti e l’Insect Transformation Facility, una struttura che fornisce agli insettologi di tutto il mondo servizi tecnici e di formazione per lo sviluppo di linee geneticamente modificate.
Ha ideato e guida l’Insect Genetic Technologies Research Coordination Network, un progetto finanziato dalla statunitense National Science Foundation per promuovere lo scambio di competenze tecnologiche nella comunità scientifica internazionale dedita agli insetti.
È uno dei massimi esperti di trasposoni (sequenze mobili di DNA) di questi organismi e del loro utilizzo come vettori per la modificazione genetica.
È condirettore della rivista «Insect Molecular Genetics».

(L'intervista è stata pubblicata sul numero 561 di Le Scienze, maggio 2015)