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Perché Snapchat ha detto no a Facebook

Spiegel e Murphy, i due giovani fondatori dell’app per la messaggistica che si autodistrugge, puntano a quotazioni più alte. E, almeno per il momento, a fare da soli

di Simone Cosimi

Non è mossa da tutti i giorni rifiutare un’offerta da Facebook. Anzi, rispedirne al mittente ben due nel giro di poco tempo. La prima da un miliardo di dollari. L’altra, recentissima, da tre. Eppure Evan Spiegel, 23enne Ceo e cofondatore di Snapchat, non sembra avere dubbi: non è ancora il momento di vendere la sua popolare app per la chat “effimera”, amatissima dai teenager visto che i contenuti trasmessi si autodistruggono dopo pochi secondi. Non a caso, è diventata l’epicentro di quel fenomeno noto come sexting, lo scambio di foto intime fra adolescenti che apre non pochi dubbi su privacy e sicurezza (le foto, per esempio, ormai si salvano grazie a SnapHack).

In ogni caso, se l’operazione fosse andata in porto sarebbe stata la più costosa finalizzata da Menlo Park. Assai più salata del miliardo sborsato lo scorso anno per Instagram. Le ragioni del gran rifiuto non sembrano tanto legate al forte interesse di altri gruppi, come tiene a precisare il Wall Street Journal. Piuttosto, nella testa di Spiegel e del socio Bobby Murphy – che fino al mese scorso lavoravano in un bungalow di Venice, in California – sembra esserci la volontà di portare Snapchat su livelli ancora più pachidermici degli oltre 350 milioni di messaggi giornalieri, stando ai dati di settembre. Ormai prossimi al raddoppio rispetto ai numeri di giugno.

In ogni caso, il ring è pieno di contendenti. Oltre a Facebook – che vede in Snapchat un veicolo per bloccare la lenta ma pericolosa emorragia di adolescenti dalla sua piattaforma – c’è per esempio Tencent Holdings, quelli di WeChat e anche di KaKao, altro servizio simile diffuso in Corea del Sud. Il gigante cinese dell’e-commerce avrebbe messo sul piatto un investimento da 200 milioni di dollari per una valutazione complessiva di Snapchat, che ha appena due anni, intorno ai 4 miliardi.

Secondo il New York Times, deve aver pesato nella decisione anche uno dei più influenti investitori di Snapchat, Benchmark Capital (13 milioni di dollari iniettati a Spiegel e Murphy) rimasta già bruciata dal passaggio di Instagram nelle mani di Mark Zuckerberg. Il fondo spingerebbe, almeno per il momento, per una società che competa da sola e non si leghi a giganti del web.

D’altronde, pur non generando ancora alcun profitto, è difficile per Spiegel, che ha in mano l’utenza più importante e redditizia del mercato online, incassare valutazioni e offerte inferiori a quella stimata, per esempio, per Pinterest (quasi 4 miliardi di dollari). Insomma, il problema non è tanto tenersi stretta Snapchat, quanto aspettare pazientemente un’offerta ancora più clamorosa, tanto più che il livello di coinvolgimento e la mole di traffico sembrano crescere senza sosta.

Appena lo scorso settembre il giovane Ceo ha infatti dichiarato nel corso di un evento che intende doppiare il successo raccolto a Oriente da applicazioni come WeChat. Come? Puntando su entrate di altro tipo che non siano pubblicitarie, proprio come Line e altre: vendendo giochi e servizi virtuali aggiuntivi alla funzione base. Basti pensare agli sticker di Line: adesivi virtuali che valgono 10 milioni di dollari al mese.

(Credit per la foto: Corbis Images)