13 febbraio 2016

Quello che i bambini vedono e gli adulti non vedono più

Dai tre ai quattro mesi di vita, i bambini hanno una capacità di vedere differenze tra le immagini degli oggetti che a partire dal quinto mese si perde per lasciare spazio alla costanza percettiva, che permette di riconoscere lo stesso oggetto in condizioni di luce e ambienti diversi. Questo meccanismo ha un profondo significato evolutivo perché consente un migliore adattamento all'ambienteSusana Martinez-Conde

Date un'occhiata alle celle di colore rosso sulle due facce del cubo di Rubik qui sotto. Se si osservano separatamente, in realtà sono arancioni a sinistra e viola a destra, ma appaiono più o meno della stessa tonalità di rosso perché il cervello le interpreta come celle rosse illuminate da una luce gialla o blu.

Quello che i bambini vedono e gli adulti non vedono più
© Dale Purves, R. Beau Lotto, Surajit Nundy, "Why We See What We Do", American Scientist, vol. 90, no. 3, page 236
Questo tipo di errata percezione è un esempio di costanza percettiva, un meccanismo che consente di riconoscere un oggetto in ambienti diversi e in condizioni di illuminazione molto differenti tra loro.

Le illusioni che permettono una costanza percettiva hanno un significato adattativo: basti pensare a cosa sarebbe successo se i nostri antenati avessero scambiato per nemico un amico ogni volta che una nuvola nascondeva il Sole, o se avessero perso traccia dei propri averi, o persino dei propri figli, ogni volta che uscivano dalla grotta e e si trovavano alla luce del Sole. In sintesi, siamo qui perché i sistemi percettivi dei nostri predecessori non si lasciavano confondere dai fastidiosi cambiamenti della realtà fisica, così come avviene nella nostra percezione adulta.

Ci sono molti indizi che gli effetti della costanza percettiva ci abbiano aiutato a sopravvivere, e continuano a farlo. Uno di essi è che non siamo nati con questa capacità, ma l'abbiamo sviluppata molti mesi dopo la nascita. Ciò significa che in una prima fase si vedono tutte le differenze; poi s'impara a ignorarne alcuni tipi in modo da poter riconoscere lo stesso oggetto come immutabile in molti scenari diversi. Quando emerge la costanza percettiva, si perde la capacità di rilevare le molteplici contraddizioni che sono invece molto evidenti ai bambini molto piccoli.

Ora, osservate le tre immagini di lumaca qui sotto e scegliete le due più simili tra loro. Le due lumache lucide sono praticamente identiche, giusto?

Quello che i bambini vedono e gli adulti non vedono più
immagini generate al computer dello stesso oggetto tridimensionale. L'oggetto A e l'oggetto B appaiono sotto diverse illuminazioni, ma sembrano simili. L'oggetto C è opaco e molto diverso da B: in realtà B e C sono più simili tra loro di quanto non siano A e B. (Cortesia Yang et al/Current Biology)
Sbagliato!
Se un bambino di quattro mesi potesse parlare, direbbe che siamo pazzi: è evidente che le più simili sono quella in mezzo e quella a destra! La lumaca di mezzo e quella a sinistra a noi sembrano quasi uguali, ma in realtà sono molto diverse in termini di intensità dei pixel.

Per i bambini piccoli distinguerle è semplice. Noi adulti non abbiamo alcuna difficoltà a vedere che le lumache al centro e a destra sono diverse, anche se la loro differenza fisica è molto più limitata di quella tra la lumaca al centro e quella a sinistra. In uno studio pubblicato lo scorso dicembre su “Current Biology”, un gruppo di psicologi guidati da Jiale Yang, dell'Università di Chuo, in Giappone, ha scoperto che per i bambini fino a 3-4 mesi di età è vero esattamente l'opposto.

Gli scienziati hanno studiato in che modo 42 bambini tra i tre e gli otto mesi esaminavano coppie di immagini tratte da oggetti reali tridimensionali. Poiché i bambini non possono descrivere quello che vedono, i ricercatori hanno misurato per quanto tempo restavano a guardare ciascuna immagine.

Precedenti ricerche hanno dimostrato che i bambini guardano per più tempo gli oggetti nuovi rispetto agli oggetti con cui hanno familiarità. In base al tempo trascorso da un bambino su una certa immagine, gli scienziati sono quindi riusciti a stabilire se pensava che fosse simile o diversa dall'immagine precedente.

Se il bambino dedicava meno tempo alla seconda immagine rispetto alla prima, significava che pensava di averla già vista (ne era annoiato, e per questo non era necessario guardarla per molto tempo). Se invece guardava la seconda immagine per un tempo equivalente a quello trascorso sulla prima, significava che trovava entrambe le immagini altrettanto interessanti e sorprendenti.

I dati hanno rivelato che, prima di sviluppare la costanza percettiva, tra i tre e i quattro mesi di età i bambini hanno un'abilità sorprendente nel discriminare differenze tra immagini dovute a variazioni di illuminazione che non sono salienti per gli adulti. Perdono questa abilità intorno ai cinque mesi. Poi, a seto-otto mesi, sviluppano la capacità di discriminare proprietà superficiali quali lucidità e opacità (che si mantiene fino all'età adulta). Per questo, iniziano a percepire le superfici lucide come molto diverse da quelli opache (proprio come facciamo noi adulti), anche se la maggior parte delle loro proprietà fisiche rimangono invariate.

La discriminazione delle superfici non è l'unico dominio percettivo in cui, crescendo, abbandoniamo la realtà per affidarci l'illusione. Durante il primo anno di vita, i bambini perdono una miriade di capacità di discriminazione: tra queste, la capacità di riconoscere le differenze tra facce di scimmie, difficilmente rilevabili di esseri umani adulti, e di distinguere i suoni del parlato in lingue diverse da quella della propria famiglia. Le differenze oggettive diventano similitudini soggettive.

La perdita di sensibilità nei confronti della variabilità delle informazioni che tutti abbiamo vissuto come i bambini ha creato un divario inviolabile tra noi e il mondo fisico. Allo stesso tempo, questa perdita è servita a sintonizzare la percezione con il nostro ambiente, il che ci permette di muoverci con successo... anche se ha lasciato una grande parte della realtà per sempre al di fuori della nostra portata.

(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 1° febbraio. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)